IMAGINARY TOWNS
Francesco Romoli, giugno 2013

Palazzi in rovina, perduti in qualche deserto oltre la realtà. Riflessi di quello che è stato. Personaggi che abitano case che non esistono più.  Un mondo proiettato o perduto oltre i confini di un universo dove si disegnano e si raccontano le avventure di esseri fragili che ignorano perché siano nati. E ai quali non basteranno duemila anni per diventare grandi.

Questo è il mondo immaginato da Francesco Romoli, un mondo che nasce sul nostro, immaginario, fantastico, inquietante. Ma è un mondo poi così lontano? Per secoli le credenze religiose ed i modelli di società legati alla terra e alla coltivazione hanno elargito granitiche certezze. L’uomo che viveva di agricoltura abitava dove c’era la terra e si spostava solo in casi drammatici, quando la terra si faceva avara, per tragedie climatiche o cataclismi demografici.  Questo “restare” era del proprietario come del bracciante, perché la terra sosteneva entrambi. Allo stesso tempo, un forte modello religioso era l’unica entità che offrisse risposte alle domande esistenziali dell’uomo. Nel corso dei secoli, dalle prime civiltà mesopotamiche all’antico Egitto, dalla Grecia classica all’impero Romano fino al medioevo, la religione, pur con strutture e organizzazioni diverse da epoca ad epoca, ha rappresentato quella rete di salvataggio di cui l’uomo ha sempre avuto bisogno. Ma il Novecento, dopo l’ottimismo dell’illuminismo e del positivismo, si è aperto con un nugolo di teorie destabilizzanti ed il Duemila prosegue su quelle premesse. La relatività di Einstein, la fisica quantistica di Planck, il concetto di inconscio di Freud, il teorema di incompletezza di Gödel, il principio di indeterminazione di Heisenberg, se non hanno cambiato la nostra vita in maniera immediata hanno però sottilmente corroso nel tempo le nostre convinzioni. Si diffondono in poco tempo opinioni sul fatto che esistano limiti a ciò che possiamo prevedere. Pian piano l’essere religiosi e credere nell’azione provvidenziale di un Dio, in gran parte del mondo, sono diventate sempre più scelte individuali e private, che non impegnano la società nel suo insieme. Non portiamo alcuna certezza nel nostro zaino e non abbiamo niente da dichiarare.

Quando la città/polis del Rinascimento è diventata una metropoli, con tutte le sue contraddizioni, l’ansia è arrivata al suo apice. La società rurale è feroce ma toglie il senso di colpa, non consente quasi mai di scegliere. Ma la modernità reca il parto dell’ansia. L’oggetto della conoscenza è diventato un bersaglio mobile. Si deve venire a patti con il fatto che si sta usando un metodo incerto e che i risultati vanno guardati con la disponibilità a riformularli ogni qualvolta si acquisiscano nuovi dati. Del resto le strategie di sopravvivenza fondate sulla scienza sperimentale si sono dimostrate più efficaci di quelle fondate su metafisiche forti, che calmano l’inquietudine, ma non riescono a produrre più cibo, a far fronte elle epidemie, a portare l’igiene.
Le immagini di questa serie quindi rappresentano la perdita dell’equilibrio, l’instabilità del mondo e il senso di precario che ne consegue. E’ l’ora che se ne va, è la terra che scappa sotto i piedi, è la vita di ogni giorno con i suoi tempi molto rapidi ed i molti vuoti di senso. E’ l’inganno di una società dei consumi che crea bisogni illusori ma che dietro la facciata non offre nulla. Le città di cartone sono al tempo stesso opprimenti prigioni e strutture tragicamente fragili e precarie, che possono imprigionare solo chi crede di non avere una scelta.
E l’uomo è da solo perché deve trovare da solo un motivo per vivere.

La realizzazione.
L’idea per questo lavoro mi è venuta per caso mentre guardavo disegni e rendering realizzati da vari artisti e che rappresentavano mondi fantastici e inquietanti. Mi sono domandato come avrei potuto creare qualcosa di simile usando la fotografia. Adoperando solo Photoshop ed un software di rendering non avrei ottenuto quell’aspetto ambiguo che queste immagini secondo me hanno, in bilico tra reale e onirico, tra disegno e fotografia. Ho quindi deciso di scattare delle foto "vere" dalle quali partire per poi elaborarle in Photoshop ed arrivare così alle immagini finali che desideravo realizzare.
Come soggetti ho usato delle scatole di cartone per gli edifici e un flash esterno per la gestione della luce. Ho scelto di posizionare le scatole in un piccolo stanzino perché la pavimentazione irregolare mi sembrava più adatta all'idea che di rappresentazione che avevo in mente. Peraltro, le piccole dimensioni mi hanno permesso di gestire al meglio la luce. Ho posizionato quindi il flash in vari punti, modificando la potenza e l’ampiezza della parabola e facendo un po’ di prove. Se volevo una luce morbida e un po' più diffusa aprivo la parabola e diminuivo la potenza. Se volevo una luce forte e concentrata chiudevo la parabola e aumentavo la potenza. Così facendo sono riuscito ad avere le ombre e le zone di luce esattamente come volevo, immagine per immagine.

 

Sequenza tipica della realizzazione di un'immagine

Una volta scattate le foto ed aperte in Photoshop, ho iniziato la fase di editing che le ha trasformate nelle immagini definitive. Per prima cosa ho ritagliato lo sfondo (dello stanzino), ed ho individuato nel mio archivio di immagini delle foto che avessero sfondi adatti, in particolare i cieli che sentivo come "giusti". Ho poi fuso i due piani (scatole e sfondi), usando le maschere ed un pennello morbido.
Il passo successivo è consistito nel sovrapporre gli edifici alle scatole, inserendo poi le figure umane. Infine, con l'utilizzo di varie texture, ho uniformato il tutto, dando inoltre alle immagini quell'aspetto decadente che caratterizza l'intera serie.

Francesco Romoli © 06/2013
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