L'IMMAGINE E LA LEGGE
LE BANCHE DATI ED IL DIRITTO D'AUTORE

Gianfranco Arciero, settembre 1999

Anche le banche dati godono ora della protezione per diritto d'autore. Questo ai sensi della direttiva 96/9/Ce recepita nel nostro ordinamento con decreto legislativo del 30 aprile scorso. E di ciò non possiamo che compiacerci. Con il decreto legislativo 29 dicembre 1992, n. 518, in attuazione della direttiva 91/250/Ce era stata introdotta nel nostro ordinamento la tutela dei programmi per computer, tutela estesa, di conseguenza, anche ai cosiddetti "giochi" indipendentemente da qualsiasi valutazione di contenuto. Fatta questa premessa passiamo ad alcune considerazioni di carattere fotografico. La solerzia e la meticolosità del legislatore nel creare strumenti persino interfacciati diretti a porre freno alle indebite utilizzazioni delle opere dell'ingegno in campo informatico non sembra trovare riscontro, infatti, in tema di immagine fotografica. La sola attuale convivenza tra fotografia "tradizionale" (chimica) e fotografia digitale (supporto magnetico), senza ancora preconizzare il passaggio irreversibile da un sistema all'altro, avrebbe già dovuto richiamare l'attenzione del legislatore. Partiamo dalla natura del supporto-matrice capace di generare la duplicazione delle immagini. La legge di tutela prende in considerazione esclusivamente il negativo (e, quindi, per estensione, la diapositiva originale) quale corpus mechanicum sul quale far vivere il corpus mysticum, l'immagine. Da questa combinazione nasce l'opera protetta nella sua completezza tanto che i diritti derivanti dalla protezione vengono posti, in primio luogo, in capo al detentore del "negativo". La maggiore duttilità propria della fotografia digitale ne consente una altrettanto duttile possibilità di manipolazione. Mentre "l'attentato" alla fotografia tradizionale avviene normalmente in sede di utilizzazione (tagli, stampa in bianco e nero da originale a colori, estrapolazione di particolari, creazione di fotomontaggi) nella fotografia digitale questo può avvenire già a monte. È possibile, tra l'altro, il caso della fotografia realizzata su commissione e il cui originale (materiale negativo o fotocolor) sia, per questo, nella disponibilità del committente. È noto che questi potrà utilizzare l'immagine soltanto per i fini per i quali è stata richiesta la prestazione del fotografo (esempio: per la sola realizzazione di un dépliant e questo escluderebbe automaticamente che il committente possa utilizzarla anche per una campagna affissioni, senza riconoscere al fotografo l'ulteriore compenso). Affidando l'originale a un operatore su programmi di elaborazione la fotografia potrà essere agevolmente trasformata fino a ricavare una seconda matrice nella quale non sempre possono essere individuati, con facilità, gli elementi originari della prima.

Si tratta di un aspetto indubbiamente nuovo rispetto al sistema di realizzazione e di utilizzazione delle immagini.

Prendiamo in considerazione un'altra ipotesi. Il fotografo che abbia realizzato un'immagine nella quale sia presente o un difetto tecnico (vistosa vignettatura, eccessiva sovra o sottoesposizione) o una carenza compositiva che la rendano inutilizzabile, può sopperire al difetto grazie alle prestazioni del "fotoritoccatore" specializzato nei relativi programmi informatici. Riportata l'immagine a "nuova vita" e quindi resala utilizzabile, a chi sarà da attribuirne la paternità? Lo abbiamo già affermato in precedenza: in questa ipotesi non riterremmo improbabile l'istituzione della figura del "coautore", già prevista dalla legge per altre categorie di opere. Se custodita con determinate cautele la fotografia tradizionale dura nel tempo; se esposto a campi magnetici il supporto digitale rischia la cancellazione definitiva. Alla stessa sorte può andare incontro per altri eventi connessi al suo essere "aleatorio". In questo caso come potrebbe tutelarsi l'autore? Può certificare con una stampa la paternità dell'opera indipendentemente dal possesso del supporto che l'ha generata?

Ci sovviene, a questo proposito, l'accorgimento messo in atto dagli autori pionieri del cinema negli Stati Uniti. Non essendo l'opera cinematografica ancora protetta, questa veniva sezionata in tanti fotogrammi singoli per essere ammessa alla tutela in quanto opera fotografica. Ovviamente tale stratagemma era reso possibile dalla limitatissima durata dei film e, quindi, dal ridotto numero di fotogrammi da stampare fotograficamente.

È chiaro che questa casistica poggia su una serie di ipotesi non tutte suscettibili di trasformarsi in casi concreti. Ma è pur vero che la ormai veterana L. 633 del 1941, sulla protezione del diritto d'autore e dei diritti connessi, meriterebbe ormai un dignitoso pensionamento. E, con essa, la opinabile distinzione delle fotografie in "opere fotografiche" e "semplice fotografie". Ma di questo parleremo su un prossimo numero.

Gianfranco Arciero © 9/1999
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