OLTRE IL PAESAGGIO. GABRIELE BASILICO 1978-2006
Serena Effe, giugno 2007

La Fondazione Ragghianti di Lucca, fino al 29 luglio 2007, ospita una retrospettiva dedicata ad uno dei più celebri rappresentanti della scuola fotografica italiana nel mondo. La sua trentennale ricerca sul paesaggio urbano è ripercorsa attraverso un'ottantina di foto, a cui vanno ad aggiungersi quelle di altri 8 giovani autori, proposti dallo stesso Basilico, le cui ricerce si inseriscono anch'esse nel vasto ambito della "fotografia di paesaggio".

Trent'anni esatti sono trascorsi da quel 1977 in cui quello di Gabriele Basilico, classe 1944, era ancora un nome tra i tanti. Gli altri nomi in questione erano, nella fattispecie, quelli dei fotografi che, insieme a lui, parteciparono in quell'anno alla mostra "L'occhio di Milano": un'esposizione che riuniva le ricerche di quarantotto autori accomunati dall'aver fatto del capoluogo lombardo - dell'espansione delle sue periferie e delle trasformazioni urbane e sociali cominciate a partire dalla ricostruzione del secondo dopoguerra - il loro privilegiato campo d'indagine.

La direzione preminente che avrebbe preso il lavoro fotografico di Basilico, reduce da una laurea in Architettura, era quindi, già a quel tempo, sufficientemente chiara: il paesaggio urbano, le mutevoli fisionomie metropolitane, le forme della città, l'architettura storica e contemporenea. E sono stati effettivamente questi gli elementi fondamentali - anche se non esclusivi - che hanno caratterizzato la sua trentennale carriera, tanto che il suo nome è al giorno d'oggi sinonimo della fotografia italiana (e non solo) d'architettura: una devozione ostinata, la sua, portata avanti «con un atteggiamento sentimentale e metodologico che qualcuno, con un po' di ironia, ha accomunato più al percorso di un "missionario" che a quello di un fotografo, per la sua ossessiva ripetitività», ricorda Basilico.

Trent'anni in perenne ascesa nell'ambito del panorama internazionale, scanditi da innumerevoli e prestigiosi incarichi e collaborazioni con istituzioni pubbliche italiane e straniere, mostre in tutto il mondo (il cui vertice è costituito dalla grande retrospettiva che l'anno passato gli è stata dedicata dalla Maison Européenne de la Photographie) ed una serie di pubblicazioni di cui non è facile tenere il conto, al punto tale che nel 2006 si è sentita la necessità di pubblicare un ulteriore libro - Photo Books 1978-2005 - che elencasse e catalogasse tutti i precedenti! Ma procediamo con ordine. Nel corso del biennio successivo - '78-'80 - Basilico porta avanti un progetto che, decretando ancor più chiaramente la sua originalità di sguardo, gli varrà nel 1983 la sua prima mostra singola, al milanese PAC (Padiglione di Arte Contemporanea): si tratta della serie "Milano, ritratti di fabbriche", documentata nella mostra allestita alla Fondazione Ragghianti da una selezione di 40 immagini. In questi "ritratti", il fotografo dosa con perizia quasi alchemica luci, ombre e volumi, fino a trarne un distillato di forme e geometrie dalla purezza cristallina. Una sinfonia di angoli, linee, superfici, prospettive, luci risolute che disegnano ombre nette, modellando con rigore le forme architettoniche e rivelandone il vigore plastico.


E così come ad un valente ritrattista - in pittura come in fotografia - si richiede non soltanto l'abilità di ritrarre l'esteriorità del soggetto, ma anche quella di far emergere nell'immagine un sentore d'interiorità (o "anima" che dir si voglia) tale da suscitare nell'osservatore una sottile quanto arcana vibrazione, allo stesso modo Basilico ci restituisce una visione in grado di rapire i nostri sguardi a partire dalla - e nonostante la - caparbia materialità e reticenza di intonaco, lamiera, mattone e cemento. Immagini depurate da ogni elemento superfluo, quasi ipnotiche nella loro essenzialità e pulizia, tanto che l'occhio vi indugia beatamente, come pacificato nel constatare come niente vi sia di troppo e niente manchi: l'equilibrio compositivo è talmente esemplare da sfiorare l'inverosimile, fino ad evocare una vagamente intimidatoria grandiosità: «ho visto l'architettura riproporsi, filtrata dalla luce, in modo scenografico e monumentale», ricorda Basilico, ripercorrendo il farsi di questo suo importante progetto. E' chiaro come ci si trovi di fronte ad un fare fotografico che ha imboccato una strada opposta rispetto a quella indicata dalla lezione del reportage, che aveva più o meno monopolizzato il panorama fotografico fin dal '45: niente più "istanti decisivi" alla Cartier-Bresson, ma un'osservazione lenta, che si prende tutto il tempo necessario per comporre l'inquadratura, dosare i rapporti interni, attendere che la luce sia quella giusta; l'istinto viene domato da una riflessività che si concretizza in «un'esperienza solitaria, un dialogo silenzioso con lo spazio, un'esplorazione laconica dei luoghi. Paradossalmente un atteggiamento anomalo e asimmetrico, se confrontato con il mandato sociale di cui i fotografi si sono fatti carico in questi anni», osserva Basilico. Il paesaggio cessa, attraverso fasi successive, di essere concepito esclusivamente come mero "fondale" che si limiti ad accogliere scenograficamente le azioni e la gestualità dell'uomo, ed emerge da questo limbo umanista fino a conquistarsi un ruolo da protagonista. Oltre a questo "sentire comune", a questa necessità di svolta collettivamente avvertita, un altro riferimento fondamentale riguardo la nascita dei "Ritratti di fabbriche" risulta essere il lavoro dei coniugi tedeschi Bernd e Hilla Becher, ai quali Basilico afferma di essersi profondamente ispirato in questo suo primo lavoro.

I caratteri in comune sono lampanti: prospettiva frontale, essenzialità, intento di descrizione particolareggiata ed oggettiva («oggettiva fino all'assenza - annota Basilico a proposito di se stesso - caratterizzata da un grande rispetto verso le cose»), propensione verso l'archeologia industriale e, ultima ma non ultima, volontà di restituire dignità estetica al mondo produttivo (non a caso, uno dei più importanti volumi dei Becher si intitola "Sculture anonime"). Basilico attinge chiaramente, in questa sua prima fase, alle loro modalità espressive, senza però lasciarsi eccessivamente tentare da quelle serialità e catalogazione sistematiche e dall'ossessiva ricerca tipologica che caratterizzano l'opera dei due tedeschi, tanto da averla condotta a lambire le sponde dell'arte concettuale e del minimalismo.
Un ulteriore, plausibile accostamento può derivare dalla constatazione di una certa affinità stilistica con il pittore e fotografo americano Charles Sheeler, creatore anch'esso di immagini nitide e geometricamente irreprensibili, che intorno agli anni Venti del Novecento compì un'indagine fotografica sull'architettura autoctona americana e su quella industriale degli stabilimenti Ford a River Rouge; in pittura il suo 'realismo fotografico' prese non a caso il nome di Precisionism ('precisionismo'): molti dei suoi paesaggi e prospettive architettoniche appaiono incredibilmente affini alle successive vedute urbane di Basilico.

Nel 1984 il recupero in forze di un'attenzione fotografica al paesaggio viene sancita da due fondamentali progetti, diversissimi tra loro ma ambedue orientati verso l'indagine delle trasformazioni del territorio e la ricerca di un nuovo senso da conferire al paesaggio contemporaneo: da una parte Luigi Ghirri (e compagnia, Basilico incluso) e il suo Viaggio in Italia, dall'altra il governo francese e la Mission Photographique de la D.A.T.A.R. (Délégation a l'Aménagement du Territoire et a l'Action Régional); quest'ultima, riallacciandosi idealmente alla prima campagna fotografica ad iniziativa statale della storia della fotografia (la celebre Mission Héliographique del 1851, a cui presero parte, tra gli altri, Le Secq, Bayard e Le Gray), affidò ad un gruppo di fotografi internazionali il compito di registrare criticamente i mutamenti del paesaggio contemporaneo francese. Basilico fu tra questi: è il suo primo incarico internazionale; dalla sua esplorazione fotografica delle coste del Nord della Francia scaturì il noto volume "Bord de mer" (pubblicato per la prima volta nel 1990, stesso anno in cui esce la sua raccolta dedicata ai "Porti di mare"). Da questo momento in poi si avrà un susseguirsi ininterrotto di collaborazioni ed incarichi, in Italia e all'estero, consacrati alla ricerca sul paesaggio urbano: la Beirut devastata da 15 anni di guerra civile, e poi Berlino, Parigi, Napoli, Valencia e Lisbona... solo per citarne alcune. Sguardo sul paesaggio, appunto, e non più soltanto sull'architettura: infatti, se in passato Basilico si era lasciato sedurre in maniera quasi esclusiva «dalla forma degli edifici, dalle facciate, dagli angoli, dalle superfici, dalla profondità dei volumi e dalle differenze di linguaggio dei manufatti», adesso nell'inquadratura accoglie anche «tutto quello che sta fuori dal profilo e dalla massa degli edifici, e che contribuisce al disegno "urbano" dello spazio». Ecco allora che lo spazio poco a poco si dilata, fino ad includere ed elevare al rango di elemento strutturale dell'immagine tutto ciò che, altrimenti, sarebbe stato considerato come un fattore "di disturbo": transenne, segnali stradali, cartelloni pubblicitari, semafori, lampioni, cavi elettrici di tram e filobus contribuiscono allora a rafforzare la trama compositiva, e, alludendo alla funzione per cui sono nati, riconducono forme e superfici sulla Terra, tra gli uomini, anziché trattenerle in una rarefatta bolla di astrazione eminentemente formale (come secondo alcuni accadeva con le immagini precedenti, tacciate talvolta di una certa "afasia emotiva" e di eccessivo formalismo).


Questa più matura e assai vasta fase - tuttora in corso d'opera - è documentata in mostra da una selezione di altre 40 immagini, ognuna delle quali risulta fin dal primo colpo d'occhio profondamente permeata da quella "sensuale intelligenza" - come ebbe a definirla un osservatore d'eccezione come Ferdinando Scianna - che ci colpisce in forza della sua abilità nello svelarci, pur con un linguaggio severo e disciplinato, la tensione estetica e quasi "sensuale", appunto, sottesa agli elementi raffigurati, siano essi edifici, incroci stradali o panoramiche cittadine a volo d'uccello. Anche queste ben più recenti immagini continuano perlopiù ad essere sgombre di presenze umane, tanto da far tornare in mente l'immobilità deserta ed improbabile di certe vedute cittadine racchiuse nei primi dagherrotipi, ancora troppo poco sensibili per riuscire a considerare seriamente la fuggevole impermanenza della vita umana; come se la stasi poderosa delle architetture avesse "assorbito" ogni movimento, tramutando il reale in una visione atemporale. Permane dunque un senso di metafisica sospensione e spaesamento, quello stesso che nel corso degli anni ha generato talvolta un accostamento delle fotografie di Basilico alle tele dechirichiane, o, considerata l'identità dei soggetti, a quelle di Sironi. Ma se volessimo attenerci con maggiore scrupolo alle parole del diretto interessato, allora l'unico nome che dovremmo chiamare in causa sarebbe quello di Walker Evans, maestro in quello "stile documentario" che mitiga la freddezza della rappresentazione oggettiva attraverso un'attenzione - per quanto discreta e non accentratrice - al versante estetico della composizione: si misura così la distanza tra il "guardare" e il "sentire" un luogo, tra il mero "subirlo" e il farne invece esperienza sensibile e partecipe, sconfinando così in un territorio che si estende ben "oltre il paesaggio", per l'appunto.

Gabriele Basilico risulta essere l'unico fotografo chiamato a far parte della sezione internazionale nell'ambito della 52° Biennale Internazionale d'Arte di Venezia (la cui inaugurazione è alle porte): l'ennesimo riconoscimento per un autore che è riuscito a mantenere una non comune coerenza e incisività espressiva, coltivando una riconoscibilità stilistica sempre fedele ai propri assunti quanto nel contempo capace di rinnovarsi dall'interno. Se, tra le innumerevoli possibili, scegliessimo qui di considerare la definizione formalista che di Arte ha fornito Clive Bell - secondo cui è da considerarsi arte l'opera provvista di una "forma significante", capace cioè di «produrre un'emozione estetica in chi guarda attraverso una particolare combinazione di linee e forme» -, ecco che sullo statuto delle fotografie di Basilico rimarrebbe ben poco di che interrogarsi.

Serena Effe © 06/2007
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La mostra è accompagnata dall'uscita di un bel catalogo, edito dalla Fondazione Ragghianti stessa, che raccoglie le 80 immagini di Basilico insieme a quelle degli otto giovani proposti (Riccardo Bucci, Luca Casonato, Luigi Gariglio, Claudio Gobbi, Stefano Graziani, Marco Introini, Maurizio Montagna, Claudio Sabatino). 210 pagine, formato 27x23,5cm. Contiene un testo critico di Vittorio Fagone (direttore della Fondazione e curatore della mostra), una riflessione di Basilico e uno scritto di Francesco Zanot. E' acquistabile sul sito della Fondazione all'onestissimo prezzo di 25 Euro.

Cade come si suol dire "a fagiolo" l'imminente pubblicazione, per la Bruno Mondadori Editore, di un'interessante raccolta di scritti di Basilico, dal titolo Architetture, città, visioni. Riflessioni sulla fotografia. Un percorso lungo la sua carriera di fotografo, dalla formazione allo svolgersi dei progetti più importanti; ecco il sommario dei 14 interventi proposti: La formazione, il Politecnico, l'architettura, Aldo Rossi - La scoperta della fotografia attraverso i libri, gli esordi - Milano ritratti di fabbriche - La transizione. Gli anni ottanta e il ritorno al paesaggio - Bord de Mer: guardare le coste e oltre - Porti di mare - Beirut e la pelle della città - La tecnica del rabdomante - Lungo il paesaggio italiano - Il corpo della città e dentro la città interrotta - L'agopuntura, la forma della città fra tempi e modi dello sguardo e dell'immagine - Appunti di viaggio fra storie e città - Architetti e fotografia, architettura e fotografia - Lo spazio (e il tempo) dell'immagine. Conclusioni?
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