VEDERMI ALLA TERZA PERSONA
La fotografia di Claude Cahun
Carlo Riggi, settembre 2008

Carpanini Cahun © Nadir 2008Una donna allo specchio

“Vedermi alla terza persona” di Clara Carpanini è la prima monografia italiana dedicata a Claude Cahun (1894-1954, al secolo Lucy Schwob), scrittrice, poetessa, saggista, attrice teatrale e fotografa, la cui opera, troppo anticonvenzionale e sopra le righe per l’epoca, è rimasta nell’oblio per decenni. I temi ricorrenti riguardano il Sé e l’identità di genere, il doppio, la maschera, lo stereotipo sociale. Nella produzione di Cahun si ritrovano gli echi della cultura mitteleuropea del primo ‘900, dal simbolismo, al dadaismo al surrealismo, e uno scambio proficuo con le correnti originali della psicoanalisi francese e specialmente con il Lacan dello Stadio dello specchio. André Breton la definì uno dei quattro o cinque spiriti più interessanti e curiosi del proprio tempo.

Claude Cahun, orgogliosamente donna, omosessuale, ebrea e comunista, impresse alla sua opera una forte valenza autobiografica. La sua fotografia, composta prevalentemente da autoritratti, si sviluppa in una dimensione relazionale condivisa con la compagna Suzanne Malherbe (in arte Marcel Moore), ”l’autre moi”. Fu forse proprio questa autoreferenzialità, che osò eludere l’oggettivazione dello sguardo maschile, ciò che impedì per molto tempo alle fotografie di Cahun di incontrare un pubblico allargato.
La sua ricerca oscillò costantemente tra l’esplorazione decentrata e lo sguardo narcisistico orientato primariamente sul corpo. Un corpo che necessita di essere riconosciuto, guardato con continuità, senza interruzioni pena la frammentazione del Sé, catastrofe che l’artista attualizza e domina attraverso una ricomposizione delle parti ottenuta con montaggi (fotografici, ma anche giochi di parole) intrinsecamente sovversivi.
A partire dagli autoritratti il soggetto viene ricreato, riplasmato, sovvertito nei suoi stereotipi, ricombinato nelle sue relazioni con l’ambiente; un processo di self-invention mediato da imprevedibili filtri simbolici giocati sul registro del surrealismo. Un perdersi (dello stereotipo) per ritrovarsi in una dimensione di insaturità e indefinitezza che apre alla molteplicità dei Sé. Il fotomontaggio come strumento per ribaltare semanticamente i messaggi dell’ideologia dominante.

Claude Cahun © Nadir 2008La prepotente aspirazione all’inconoscibile può essere soddisfatta solo attraverso il concatenarsi di nuovi significanti e nuove ambivalenze simboliche, un rosario interminabile di maschere di maschere. Il soggetto è anche oggetto, in una circolarità rassicurante ma immobilizzante in cui l’artista introduce stranianti salti logici: alla disperante sterilità del feticcio subentra così una nuova potenziale fecondità di senso.
Il discorso sul contributo dell’omosessualità alla creatività è assai attuale, viziato spesso da elementi ideologici. L’omosessualità è relegata da alcuni nell’ambito angusto della perversione, e quindi anticreativa per eccellenza, da altri ritenuta al contrario atteggiamento disvelatore e intrinsecamente liberatorio. Quale che sia la realtà clinica – o le realtà cliniche – di certo la Cahun fa della propria androginia, senza troppa enfasi, uno strumento di lotta all’oppressione, quella nazista come quella, più sottile ma non meno soffocante, del pregiudizio sociale.   
La predilezione per la fotografia (forma d’arte in presenza) si accompagna a una sorta di diffidenza per il linguaggio, vissuto come troppo astratto, sovradeterminato e incontrollabile. Evidentemente, tra le forme di oppressione dalle quali tentava di liberarsi, vi era pure quella dell’inconscio, una ribellione agita attraverso il tentativo di plasmare un nuovo (dis)ordine immaginario a partire dall’objet trouvé, di cui la fotografia rappresenta una sorta di verifica empirica. Battaglia persa in partenza ma foriera in Cahun di mirabili esiti creativi. In questa mancata resa al determinismo psichico, ci pare che l’artista, spirito autenticamente libero, resista anche ad una totale accondiscendenza alle tesi del Surrealismo cui pure aderisce.

Clara Carpanini ci accompagna con piglio sicuro nei sentieri tortuosi e sorprendenti della poetica di Cahun, raccontandone il percorso artistico e il contesto in cui esso si sviluppa. Il libro, impreziosito dalla bella prefazione di Federica Muzzarelli, è ben documentato, meditato, digerito dall’autrice per i suoi lettori; il linguaggio non è mai ampolloso e la necessaria complessità di alcuni passaggi costituisce stimolo di pensiero senza divenire elemento escludente per i non addetti ai lavori.
Il volume alimenta una sana curiosità intorno a Claude Cahun e alla sua opera, e ci lascia una sottile nostalgia: in un’epoca in cui di nuovo, e più subdolamente, si affaccia il fantasma di un verbo omologante e anticreativo, avremmo davvero bisogno di un’artista come Cahun capace di giocare se stessa per sconvolgere gli schemi, sovvertire tante finte verità catodiche e aprire le menti alla molteplicità dei Sé e allo stupore di nuovi mondi possibili.

Carlo Riggi © 09/2008
Riproduzione Riservata

Claude Cahun © Nadir 2008

Cahun © Nadir 2008

Il libro.
Clara Carpanini
“Vedermi alla terza persona. La fotografia di Claude Cahun”
Editrice Quinlan, Bologna 2008
126 pagg. Euro 14,50

L'Autore.
Clara Carpanini è dottoranda in Storia dell’Arte presso il Dipartimento delle Arti Visive (Università di Bologna) e tutor dell’insegnamento di Storia e Tecnica della Fotografia per il corso di laurea triennale in Culture e Tecniche del Costume e della Moda (Università di Bologna, sede di Rimini). Collabora regolarmente con le riviste “Around Photography” e “D’Ars”.