LA FOTOGRAFIA. ILLUSIONE O RIVELAZIONE?
di Francesca Alinovi e Claudio Marra
Serena Effe, novembre 2006

Un testo precursore che, riedito dopo 25 anni, ha mantenuto intatta la forza necessaria a guidare il lettore in un percorso storico-critico appassionato ed appassionante, all'insegna della contaminazione incessante tra la fotografia e le altre arti.

Henry Peach Robinson, Alba e Tramonto, 1861. Robinson, padre del Pittorialismo fotografico, fu talmente affascinato da questa figura di vecchio incontrata per caso, che gli inventò attorno una fotografia. Si fece costruire un vero cottage (di cartapesta e mattoni) per assecondare la sua fantasia. L'immagine finale è frutto di un'abile sovrimpressione, in fase di stampa - con l'ausilio di mascherine di velluto nero - di diversi negativi. Ovvero: come materializzare un sogno.

Di fronte alle morbide immagini di Julia Margaret Cameron, come non parlare della diatriba - estetica ed etica insieme - 'sfuocato VS nitido', o dei temi prediletti dai coevi pittori Preraffaelliti?

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Abbiamo lasciato volontariamente degli spazi vuoti (con tanto di didascalie) laddove avremmo voluto inserire delle immagini, al fine di sensibilizzare i lettori e i non addetti ai lavori su questa che a noi sembra una vergognosa speculazione, immorale e ostile alla libera, gratuita e spassionata diffusione della cultura sul web. Un metodo ignobile, atto solo a mortificare e ghettizzare ulteriormente l'arte e la cultura in Italia.

Titolo d'esordio della nuova collana di saggistica fotografica, intitolata 'round photography (e pubblicata dall'editrice Quinlan, a cui fa capo anche la rivista Around Photography, di cui trovate la nostra recensione QUI), questo saggio svela già nella copertina le due linee guida che tracciano il percorso lungo il quale si svilupperà ogni riflessione.
Dunque, se da una parte la fotografia sarà indagata in una prospettiva 'illusionistica', dall'altra ci si dedicherà a sondare le sue potenzialità 'disvelatrici'.
Ad ogni modo, la domanda di partenza, "illusione o rivelazione?", nasce già orfana di risposte: basterà poco per rendersi conto, nel corso della lettura, come sia obiettivamente impossibile relegare la fotografia in una qualsiasi delle due categorie.

La fotografia, sin dalle sue origini, si configura immediatamente come un groviglio inestricabile di realtà e artificio, di occultamento e disvelamento. All'interno di ogni scatto (così come all'interno di ogni epoca) c'è un po' dell'uno e un po' dell'altro, contemporaneamente (e ogni distinzione può essere fatta solo in base al prevalere di una o l'altra delle due identità).
La fotografia può essere tutto e il contrario di tutto, in sostanza, ma una cosa è certa: non potrà mai essere considerata come una mera rappresentazione oggettiva del reale 'così com'è'. Prendiamolo come ideale punto di partenza per cimentarci in questa appassionante lettura.

Due parole sugli autori. Claudio Marra sarà probabilmente un nome noto ai più: docente di Storia della Fotografia all'Università di Bologna, è attualmente tra i massimi studiosi del campo ed ha al suo attivo numerosi titoli di saggistica (ricordo solo il più celebre e il più recente: Fotografia e pittura nel Novecento e L'immagine infedele); Francesca Alinovi era una promettente ricercatrice presso il Dipartimento di Arti Visive della stessa Università, drammaticamente scomparsa due anni dopo la pubblicazione del libro.

Mi verrebbe da esordire affermando senza indugi l'estrema piacevolezza di questo saggio, che si legge senza intoppi, che 'scivola via' che è un piacere, nonostante la densità estrema dei contenuti.
Poi, ripensandoci, mi rendo conto che molta di questa immediatezza dipende forse dalla minore o maggiore preparazione di ogni singolo lettore...ma probabilmente meno di quanto accada di solito: è davvero una lettura che sorprende piacevolmente, con la sua comunicatività accogliente che, specie nella prima parte, sa fare a meno di tutti quei tronfi paroloni che appesantiscono mortalmente la gran parte dei saggi (e non fatevi spaventare dall'introduzione di Barilli!: bella, ma un po' più impegnativa per i non 'addetti ai lavori').

I due punti di vista, storico e critico, si sviluppano di pari passo, amalgamandosi senza scosse e riuscendo a non cadere nei due difetti troppo spesso appaiati a questi due differenti approcci: niente pedanteria, quindi, e nessuna aridità da 'elenco telefonico' di certe storie della fotografia. Qui la lettura riesce in molti casi a farsi addirittura avvincente, probabilmente anche grazie ad una delle caratteristiche peculiari più importanti del saggio: lo sviluppo del 'fare fotografia' viene infatti inserito in un panorama ben più ampio, all'insegna di una fertile contaminazione reciproca tra le diverse arti.
Ed è soprattutto questo aspetto che, 25 anni fa (all'epoca della sua prima pubblicazione), fece di questo libro un testo precursore (considerato che la contaminazione tra le arti è la cifra caratteristica dell'oggi), tanto da farlo arrivare ai giorni nostri senza aver perso di attualità.
L'ambiziosa volontà dei due autori era quella di accogliere le tante storie divise in un'unica storia che le contenga tutte e che renda conto degli inestricabili rapporti tra l'una e l'altra arte: ecco quindi che, accanto ovviamente alla fotografia, ci si troverà a parlare di pittura, di mutamenti delle teorie estetiche e percettive, di letteratura, architettura, filosofia e cinema, seguendone gli sviluppi paralleli.
Una metodologia di studio che, se oggi può apparirci scontata, nei primi anni Ottanta non lo era affatto, e anzi fu inaugurata, in Italia, proprio da testi come questo.

Un percorso sfaccettato, quindi, che appena può si insinua nel 'dietro le quinte' dell'immagine, svelando interessanti retroscena e soprattutto rendendo incredibilmente viva e pulsante la storia della fotografia (soprattutto nella prima parte: ne è un esempio, tra i tantissimi altri, il racconto dell'avventurosa creazione del fotomontaggio Alba e Tramonto di Robinson, riportato sopra).
Al di là di ogni categoria astratta, in fin dei conti la fotografia emerge soprattutto in quanto passione e, direi quasi, febbre travolgente.

La prima parte è dedicata alla fotografia come illusione, fuga, evasione: dal tempo, dallo spazio, da se stessi (in due parole: dalla realtà).
Una fotografia che, lungi dal farsi specchio fedele del reale, amplifica il caos delle apparenze, generando infinite altre realtà ed identità parallele, materializzando fantasie e sogni, confondendo le acque calme della verosimiglianza attraverso 'messe in scena', trucchi, invenzioni.
Si parte inevitabilmente dalle origini (anni in cui la fotografia è in piena crisi di identità, lacerata a causa della sua duplice e ambigua natura: meccanico-scientifica e creativo-artistica; anni di accese polemiche tra Pittorialisti e fotografi 'puri': gli uni impegnati a conferire dignità d'arte alla fotografia attraverso l'artificio, in perenne competizione con la pittura, gli altri ad aborrirlo in nome di un'oggettività scientifica), fino ad arrivare all'Arte concettuale degli anni Sessanta e Settanta del Novecento.

Un lungo percorso, dunque, nel corso del quale si incontrano, tra gli altri, i travagliati fotomontaggi di Rejlander e Robinson, i fantastici racconti inventati da Lewis Carroll - compreso Alice in Wonderland - per convincere le sue modelle-bambine a posare per lui, le imprese eroiche dei primi fotografi in fuga nell'esotismo d'Oriente, costretti a girare il mondo trascinandosi dietro spropositate attrezzature; e ancora: il nostalgico barone von Gloeden, intento a resuscitare un passato mitico, spalmando una speciale lozione sui giovanissimi corpi siciliani dei suoi modelli, per renderli levigati come statue antiche; il visionario 'spiritismo architettonico' di Laughlin, il surrealismo di Angus McBean. Per finire con l'ambiguità erotica, il travestitismo e i tormenti concettuali di artisti-fotografi (che possono finalmente dirsi tali, essendo caduta la rigida opposizione iniziale) come Duane Michals, Urs Lüthi, o un Robert Mapplethorpe appena affacciatosi alla ribalta, che trovano nella fotografia - mescolata a piacere con ogni altra arte - il mezzo ideale per smaterializzare l'opera (l'oggetto artistico), materializzando al contempo l'idea, il concetto, che sono poi gli indiscussi protagonisti di questa stagione artistica.

La seconda parte oppone all'occultamento di cui sopra (ma in maniera elastica e 'senza combattimento', per dirla con Marra) un fare fotografico all'insegna del disvelamento epifanico del reale, in grado di conferire rilievo e fascino a ciò che prima languiva nell'insignificanza.
Alla stregua di un ready-made dadaista, la fotografia viene qui presa in considerazione in quanto mezzo di 'rivelazione', appunto, capace di indirizzare le cose alla nostra attenzione, grazie anche alla loro decontestualizzazione dal fluire continuo del tempo (il 'fermare l'attimo' è senza dubbio un procedimento straniante); spogliate da ogni velo offuscante, sono così messe in grado di 'parlare' con voce nuova, potente, dandoci la sensazione di vederle davvero per la prima volta. Che cos'è infatti il 'momento decisivo' di tanta fotografia istantanea novecentesca, se non il far la posta alla realtà, pronti a coglierla fulmineamente nell'attimo in cui ci si riveli in modo nuovo, lasciando trasparire la sua essenza profonda?



Qui avrebbe dovuto esserci un'immagine. Ringraziamo la SIAE e il suo remare contro la libera diffusione della cultura sul web



Alfred Stieglitz, Inverno sulla Quinta Strada, 1893. Frutto di un appostamento di tre ore, nel mezzo alla bufera, in attesa del "momento d'equilibrio": quello in cui le cose si rivelino in maniera nuova, in cui il caos del mondo si dissolva per un attimo, lasciando affiorare il vero volto del reale. Un esempio, dunque, di 'fotografia rivelativa'.




Qui avrebbe dovuto esserci un'immagine. Ringraziamo la SIAE e il suo remare contro la libera diffusione della cultura sul web



Anche le rayografie di Man Ray rispondono ad una necessità 'rivelativa': il disporre casualmente gli oggetti più banali su carta sensibile, lasciando che vi si stampino liberamente, non è altro che un modo di interrogare il reale. Dare letteralmente 'carta bianca' agli oggetti significa invitarli a rivelare la loro essenza, al di là di ogni apparenza o vincolante funzione pratica

La fotografia, accantonata ogni simulazione, diviene sguardo indagatore che interroga il mondo per 'coglierlo di sorpresa', eternando in immagine ogni cedimento, per quanto impercettibile esso sia. E' un tentativo di penetrare sotto la scorza dura dell'apparenza, per riconquistare una relazione col mondo che si basi non più sul suo 'mettersi in posa', bensì sul suo rivelarsi al nostro occhio senza più trucchi. Una fotografia che, anziché fuggirlo, 'va verso il mondo' invece di simularne dei nuovi, tentando di far emergere da ciò che ha intorno qualcosa che altrimenti sarebbe rimasto irrimediabilmente nascosto (sia esso un particolare 'fisico' o un'immateriale sensazione).
Questo approccio trova il suo habitat naturale nello specifico culturale del Novecento, in cui la fotografia, sempre meno affannata a rincorrere un'artisticità esasperata che tenga a bada il suo complesso di inferiorità nei confronti della pittura (dal quale va progressivamente liberandosi), può finalmente dedicarsi a testare queste sue ulteriori capacità sensibili. Ecco quindi sfilare, in questa seconda parte, i grandi nomi del XX secolo: l'istantaneità pioniera di Stieglitz, la 'schedatura di tipi' di Sander, i 'particolari inutili' di Atget, la fotodinamica di Bragaglia, lo snobismo di Man Ray nei confronti della macchina fotografica e la magia surreale dei suoi rayographs (corrispettivi in immagine della 'scrittura automatica' usata per sondare le profondità dell'inconscio), i montaggi dadaisti di Heartfield, la 'candid photography' di Salomon, l'ambiguo fascino del vizio nel 'bordello senza muri' di Brassaï; e poi gli inevitabili Cartier-Bresson, Ansel Adams e Diane Arbus, per concludere infine con un'incursione in ambito Pop e Concettuale.

Un testo, in conclusione, che riconcilia con un genere troppo spesso anti-comunicativo per antonomasia come la saggistica, ma soprattutto - nonostante il suo inevitabile arrestarsi a 25 anni fa - un validissimo strumento di approfondimento di storia e critica della fotografia.

Serena Effe © 11/2006
Riproduzione Riservata

SCHEDA

Titolo: La fotografia. Illusione o rivelazione?
Autori: Francesca Alinovi - Claudio Marra
Editore: Quinlan, 2006 (prima edizione per Il Mulino, 1981)
Pagine: 319 (39 immagini b/n nell'inserto centrale)
Prezzo: 20 euro


Sommario:

Prefazione di Roberto Maggiori
Introduzione di Renato Barilli
Nota di Claudio Marra


Parte prima
La fotografia: l'illusione della realtà
di Francesca Alinovi
1. La fotografia: l'illusione della realtà
2. I padri dell'illusionismo fotografico: Rejlander e Robinson
3. La foto d'evasione
4. L'esotismo fotografico
5. Nostalgia e revivalismo: il post-modernismo fotografico
6. Realtà dell'illusione

Parte seconda
La fotografia come rivelazione
di Claudio Marra
1. La rete culturologica
2. Sulla strada della rivelazione
3. Il contributo delle avanguardie storiche
4. Le due grandi strade del realismo: il momento decisivo o l'eternità congelata
5. Pop, concettuale, body, narrative: verso la normalizzazione