DIEGO MORMORIO E LA CATTURA DEL TEMPO
Agostino Maiello, giugno 2016

La casa editrice Postcart ha da poco presentato la terza edizione del saggio "Catturare il tempo", di Diego Mormorio, pubblicato per la prima volta nel 2011.

Mormorio (saggista, docente, storico e critico della fotografia) presenta in questo libro una sintetica carrellata sulla storia della fotografia avente come cardine un aspetto, che è anche al contempo un punto di vista, ben specifico: quello della rappresentazione del tempo, vale a dire di come le immagini incorporano il dato cronologico del reale. L'analisi, in altre parole, tematizza come i fotografi dagli albori ad oggi abbiano affrontato, consapevolmente o meno, il fattore "tempo" nelle proprie opere.

Diego Mormorio Fermare il tempo ©Chiunque pratichi la fotografia sa bene che il tempo di posa è, insieme al diaframma, ciò che determina l'esposizione, e quindi l'aspetto finale dell'immagine. Se c'è una foto, allora c'è stato un intervallo temporale, una durata che ha dato vita all'immagine; può essere stata di 1/8000 di secondo, oppure ore ed ore di esposizione: e questa enorme variabilità, potenzialmente infinita, non si limita ad influenzare l'operatività della ripresa fotografica; ha anche un forte impatto sull'estetica delle immagini prodotte, e sui ragionamenti che se ne possono dedurre. "La fotografia (…) è per sua natura legata all'istante. Nasce e si sviluppa come arte dell'attimo. Il cammino verso questa meta è stato, però, lungo e complesso". E' da questa premessa che parte l'analisi di Mormorio, che individua un momento preciso in cui, nella cultura occidentale, l'uomo ha iniziato a rapportarsi in un certo modo con lo scorrere del tempo; e quel momento è il fiorire della civiltà greca classica. "Dall'antica Grecia in poi, la nostra cultura vive nell'angoscia di vedere sparire le cose: dai più intimi affetti a tutto il resto. Instancabile, come il peggiore dei mostri, il tempo ci appare come il fagocitatore di tutto. Esso travolge ogni bellezza, insieme a tutte le bruttezze del mondo. Non risparmia nulla, né il profumo della rosa né il peggiore assassino. Dagli antichi Greci in qua, in Occidente, noi pensiamo che tutte le cose compaiano e scompaiano nel nulla, e che di esse non rimane niente oltre il ricordo. La cultura occidentale è cresciuta su questa visione nichilista del mondo, che il filosofo Emanuele Severino ha definito l'estrema follia dell'Occidente." Questa tematica innerva il seguito del ragionamento: "Tra il naturalismo greco e la fotografia non vi è alcuna distanza. L'artista greco e quello che usa la fotografia provengono dallo stesso luogo e vanno verso la stessa meta. Vengono dall'idea che tutte le cose, comparendo, inevitabilmente scompaiono nel nulla. Sono mossi da un sentimento che ha legato l'uomo all'attimo. Dall'idea che l'attimo è la misura di tutte le cose. E che, nella loro comparsa, tutte le cose sono lì per essere afferrate. Fu a partire da questa concezione del mondo che il naturalismo greco si affermò e aprì la strada alla fotografia. Divenne sguardo sulla fugacità delle cose. Prima degli antichi greci la rappresentazione figurativa non fu mai collegata all'attimo. Non veniva raffigurato quello che si vede in un determinato istante, da un determinato punto di vista. Secondo una logica <metafisica> e simbolica, le figure non avevano alcun rapporto col momentaneo, ma con l'eternità. L'immagine rappresentava un evento che doveva ripetersi continuamente e per sempre."

Inquadrato l'ambito del ragionamento, il testo conduce il lettore attraverso i circa due secoli di storia della fotografia. Con la sua consueta scrittura precisa ma mai pesante, accurata quanto scorrevole, Mormorio presenta via via generi e tecniche fotografiche, approfondendo per ciascuno il tema oggetto dell'analisi. Vediamo così l'evolversi dei dagherrotipi, del calotipo, la nascita del "negativo", le stampe all'albumina ed al collodio, fino all'avvento della gelatina, poi delle pellicole ed infine del digitale. E' banale osservare che le immagini realizzate dalla nascita della fotografia ad oggi sono state solo quelle realizzabili dalle attrezzature e dalle tecniche disponibili in ogni epoca: ecco dunque che vediamo mostrate, ed analizzate, fotografie di paesaggio, di ritratto, di reportage, immagini che raccontano il movimento (si pensi ai famosi studi di Muybridge sul movimento delle zampe dei cavalli), immagini che grazie alle esposizioni multiple o alla stereoscopia hanno cercato di andare oltre i limiti delle riprese statiche, in un percorso storico che inevitabilmente sfiora anche l'evolversi del costume, le guerre, i mutamenti della società, i progressi della scienza. Una lettura colta ma non pedante, utile ad arricchire il proprio bagaglio di cultura fotografica approfondendo un aspetto a volte trascurato, stimolando la curiosità verso opere o autori non sempre noti ai più.

Diego Mormorio Fermare il tempo ©

Non si può non chiudere questo breve commento sul saggio di Mormorio senza rifarsi ad una famosa immagine scattata da Harold E. Edgerton (l'inventore del flash elettronico), citata nel finale: "Ogni fotografia (…) contiene una certa quantità di tempo – i minuti o i secondi necessari per l'esposizione. A partire da questa consapevolezza, avendo davanti un'immagine fotografica, possiamo immaginare di entrarvi dentro e, da personaggi non ripresi dalla macchina fotografica, guardare quanto succede nel tempo in cui la fotografia viene ripresa." Ci si chiede cosa accadrebbe "se entrassimo dentro l'immagine della pallottola che oltrepassa la mela (…). Sentiremmo il colpo di pistola ma non avremmo assolutamente la possibilità di cogliere col nostro occhio l'attimo in cui il metallo attraversa la mela. Tutto sarebbe così veloce da risultare a noi impercettibile. Eppure, se restiamo fuori dalla scena e guardiamo la foto come possiamo fare adesso, vediamo chiaramente che c'è una distanza temporale dal momento in cui la pallottola entra nella mela e quello in cui, dopo averla attraversata, si trova a pochi centimetri da essa. Ecco questa immagine, forse più di ogni altra, ci lascia perfettamente comprendere che ogni fotografia, anche quella dell'epoca della fulmineità, al pari delle immagini fotografiche del primo periodo, è un deposito temporale. Ma di che cosa ci parla la foto della mela attraversata dalla pallottola? Ci parla del tempo, parlandoci della pistola, della mela, della pallottola, di chi preme il grilletto della pistola. Ci parla dell'esistenza delle cose, della fisica dei corpi, della loro storia. Che cos'è, infatti, il tempo – il giorno, l'ora, il minuto, il secondo – se non la misura con cui si calcola il compimento dei singoli fenomeni? Il tempo non esiste in natura. In natura esistono solo le cose, i "fenomeni". Una fotografia – ripresa in otto ore, in due minuti o in un milionesimo di secondo – è sempre soltanto la visione di una cosa in un momento della sua esistenza, sia essa una donna che salta, un edificio che crolla o la mela che viene attraversata da una pallottola. <Catturare il tempo> corrisponde a conservare un documento della continua trasformazione delle cose. Un documento che, come tutto, è condannato alla deperibilità e, dunque, alla scomparsa."

Agostino Maiello © 06/2016
Riproduzione Riservata

Scheda volume
CATTURARE IL TEMPO - Lentezza e rapidità nella fotografia
di Diego Mormorio
ISBN 978-88-98391-39-4
192 pagine, 136 foto, formato 12x20cm
Terza Edizione ampliata
Edizioni Postcart