IL PROFILO DELLE NUVOLE.
IMMAGINI DI UN PAESAGGIO ITALIANO
Serena Effe, dicembre 2006

Un fotografo (Luigi Ghirri) e uno scrittore (Gianni Celati) impegnati in una 'ricognizione affettiva' dei territori lungo il Po, all'indomani della rivoluzione fotografica sancita dal progetto collettivo "Viaggio in Italia". Immagini e parole dalla sensibilità affine, che, intessute in un unico racconto, disegnano i contorni di una 'poetica dello stupore'.

Formigine. Ingresso casa colonica.

Tutte le immagini © Eredi Luigi Ghirri.

Erano i primi anni Ottanta.
Un folto gruppo di fotografi - più uno scrittore - si aggirava per la penisola, mosso da un intento comune: scomporre il volto d'Italia attraverso una miriade di scatti che cogliessero il paese nella sua lirica essenzialità, senza niente concedere alla spettacolarizzazione e al sensazionalismo che guidava la fotografia in quegli anni (invischiata tra due dispotici fronti: asservimento alla cronaca, da una parte; sperimentazione tecnica a tutti i costi, dall'altra). Il progetto che li univa si chiamava Viaggio in Italia; il loro nume tutelare (nonché ideatore del tutto), Luigi Ghirri.

La cosiddetta 'stagione del paesaggio' degli anni Ottanta passa anche attraverso questa fatica collettiva, grazie ai nomi di Gabriele Basilico, Mario Cresci, Guido Guidi, Olivo Barbieri, Mimmo Jodice, Giovanni Chiaramonte... Autori di una rivoluzione fotografica che recupera il contatto diretto e 'affettivo' con le cose e con il mondo che si ha intorno, non più mediato (e falsato) da estetismi esasperati, stereotipi cartolineschi, baccano mediatico. Si ritorna alla realtà, adesso, pronti a guardarla con nuovi occhi, pronti a rivolgersi ai particolari più marginali, quotidiani, sommessi, per dedicar loro sguardi colmi di stupore. In due parole: si smette di cercare il meraviglioso nello stra-ordinario, per cimentarsi nella ben più ardua impresa di scovarlo nell'ordinario. Non si va più in cerca di simboli, ma di particolari che non rimandino ad altro se non a loro stessi. Si riscopre il piacere del silenzio, dell'assenza. Si impara un nuovo modo di guardare. Di stare al mondo.

Nogara. Bar della stazione.

Bologna. Via Stalingrado.

Il progetto sfociò poi in evento espositivo, che a partire dal 1984 propose le circa 300 immagini che lo componevano in una serie di mostre in giro per l'Italia. Ma questa è un'altra storia.
Innumerevoli furono gli ulteriori progetti che scaturirono da questo fondamentale lavoro, tra cui, appunto, Il profilo delle nuvole. Proprio in quegli anni, infatti, la società Riello Group era in cerca di un 'cantore' a cui affidare l'opera di promozione del territorio padano (territorio in cui la società era nata e cresciuta) attraverso una rilettura che fosse sensibile e originale, e che sapesse stimolare la riscoperta dei luoghi in maniera non scontata. La scelta, felicemente, cadde sulla coppia Luigi Ghirri e Gianni Celati (lo scrittore 'intruso' che a suo tempo aveva fatto parte della combriccola di Viaggio in Italia).

Nel 1989 il libro, dal titolo omonimo, era pronto: 109 immagini che possono a ben diritto essere considerate come un Manifesto della nuova fotografia italiana (oltre che, ovviamente, del lavoro di Ghirri); o, come scrisse Celati, "un album delle cose che si possono vedere, indicate nel modo in cui chiedono di essere viste".

Un cancello spalancato sulla nebbia, sul niente; seggiole di plastica rossa illuminate dall'insegna al neon di un bar, su cui sedersi a fare due chiacchiere, in attesa che il tempo passi; un benzinaio immerso nel viola carico di un tramonto qualsiasi; un Cristo in terracotta con le braccia aperte su una piazzetta deserta; un letto dalla testata antica; un muro scrostato, tinto di ramato, su cui sboccia lo stupore di una piccola rosa bianca; interni di vecchie ville che custodiscono strani ed esotici musei che nessuno ha più voglia di visitare; vecchie officine di provincia, con pareti che stanno su a forza di biciclette; un prato che non ha voglia di finire; ombre di scale; porte socchiuse; rami avvolti nel ghiaccio; distese arate; vecchi cascinali. Eccola, l'Italia lungo il Po vista da Ghirri. E' poco più di questo. Eppure è immensa, infinita, vera e commovente più di ogni altra. Come se i sottoscala, i ripostigli del mondo si fossero d'un tratto spalancati per far prendere aria alla magia di cui erano colmi.
Sono immagini scarne, concise, che non conoscono retorica. Immagini 'semplici', ma di quel tipo di semplicità (l'unica vera) che si conquista a fatica, intessendo complessità con una sorta di perizia alchimistica.

Cadecoppi. Dalla strada per Finale Emilia.

Lo sguardo di Ghirri accarezza queste marginalità di provincia, ne rivela la grazia inconsapevole attraverso sapienti giochi di luce ed equilibri compositivi impeccabili, usando il colore come ulteriore mezzo di riscatto di un reale negletto, che non fa notizia.
Immagini la cui eleganza si fa quasi superba (purché il termine sia usato nel senso che gli conferisce Celati): "superbia di un'eleganza che non ti mostra mai i suoi schemi, perché sa che la perfezione non deve essere appariscente, e che il ritmo è qualcosa che spunta al di là d'una misura regolare".
C'è stupore, sì, ma senza enfasi (che lo stupore, quand'è vero e profondo, lascia 'senza parole' e decanta nel silenzio).
Abituati come siamo al bombardamento di immagini 'ad effetto', davanti ad alcune di queste - vaghe e fuggevoli come il profilo mutevole delle nuvole - si ha la sensazione di sentirsi come smarriti, orfani d'appigli ("non vi è nessun elemento spettacolare o inconsueto a cui aggrapparsi", scrive Ghirri): ma è uno smarrimento 'buono', da coltivare, denso di promesse e nuovi orizzonti. Si pensi per un attimo a quante occasioni ci resterebbero precluse, se di tanto in tanto non ci si smarrisse, nel corso della vita.
E Celati ha parole bellissime per questo stato di 'dimenticanza' indotto dal paesaggio padano (e senza dubbio esaltato negli scatti di Ghirri) di cui il "magnanimo flusso" del Po si fa suggestiva metafora: "C'è quel vento che a tratti scuote gli arbusti sul ciglio della strada, arriva lì e disperde dei lucherini che volano via. Come la dimenticanza quando arriva con la sua onda, spazza la pianura in ogni angolo, e ti lascia lì dismemorato e intontito per le troppe cose che passano via".

La fotografia, con Ghirri, si fa tenerezza.
E' un avvicinarsi al mondo con delicatezza indicibile, è guardare tutto come se si vedesse per la prima volta.
"Non c'è niente di antico sotto il Sole", soleva ripetere, citando quanto scritto da Borges: tutto è nuovo, tutto è sorpresa, agli occhi di chi sappia osservare intensamente. "La monotonia non è che il sentimento deluso di chi s'aspetta sempre nuovi illusionismi, come se occorresse essere sedotti anche per fare un solo passo", gli fa eco Celati, ragionando su quanto siamo viziati.
Non c'è niente che non possa generare meraviglia, perché essa dimora negli occhi di chi guarda più che in ciò che è guardato. Ciò fa sì che si possa 'seminare' ovunque, e poi raccogliere, a piene mani, perché la meraviglia non conosce mezze misure: travolge, riempie tutto lo spazio possibile (persino quello, sconfinato, delle piattezze nebbiose della Pianura Padana).
E' questa specifica capacità di simbiosi con le cose che, per dirla con Celati, ha il pregio di "renderci meno apatici (più pazzi o più savi, più allegri o più disperati)". Qui non si attende più, pigramente, che sia il mondo, per primo, a farsi avanti (già impacchettato in forma di stereotipo o di allettante immagine mediatica): gli si va incontro, battendolo sul tempo, con la disponibilità totale e incontaminata di un bambino dagli occhi ancora vergini (non per niente è stata spesso chiamata in causa la poetica del 'fanciullino' pascoliano in parallelo con quella di Ghirri: la presenza in ognuno di noi di una voce 'fanciulla' che vede e sente le cose con stupefatto incantamento, cogliendone ingenuamente il mistero).

Bagno San Vito. Statale per Ostiglia.

Cittanova di Modena. Chiesa sulla via Emilia.

E' una poetica del vuoto, dell'assenza, del vasto; del meraviglioso che dimora nel consueto, e risorge dal quotidiano. Inevitabile (e illuminante) l'accostamento alla metafisica dechirichiana.

Nei quadri di De Chirico, così come nelle fotografie di Ghirri, l'apparenza del reale è venata di una sottile inquietudine che spreme fuori il mistero da ogni cosa, anche la più banale e dimessa: il tempo è come sospeso, lo spazio è desolato, la luce è radente, l'atmosfera è rarefatta, ma colma di presagi; e l'uomo non vi appare, se non come ombra fugace.

Stessa sorte gli tocca nelle immagini ghirriane: la presenza umana vive solo di allusioni, come se, scrive Celati, "gli uomini se ne fossero andati, per lasciare il campo libero alle cose".

Il libro Il profilo delle nuvole. Immagini di un paesaggio italiano, pubblicato nel 1989 da Feltrinelli, fu esaurito in breve tempo. Nel 2001 ne è stata fatta una seconda ristampa, ma fuori commercio, che era possibile ritirare a fronte di un'offerta destinata alla beneficenza e che fungeva da catalogo alle mostre via via dedicate al progetto (l'ultima in ordine di tempo è stata quella allestita al Centro Internazionale di Fotografia degli Scavi Scaligeri a Verona, conclusasi nell'ottobre 2006).
Ma c'è un libretto tutt'ora facilmente reperibile, che abbiamo imparato a conoscere nel corso di quest'articolo: è Verso la foce di Gianni Celati.

Campegine. Museo Fratelli Cervi.

Masone. Casa Benati.

Tutte le immagini © Eredi Luigi Ghirri.

E' anch'esso un libro di immagini, ma senza che ve ne sia stampata neanche una. Vi sono raccolti cinque brevi diari, redatti in tempi diversi nel corso di questo pellegrinaggio verso la foce del Po insieme a Ghirri e ad altri fotografi (alcuni si rifanno al progetto Viaggio in Italia, altri alludono a Il profilo delle nuvole). Leggendolo, le immagini ghirriane ci scorrono davanti agli occhi, prendono forma naturalmente, evocate da quelle parole che ne sono l'ideale accompagnamento: essenziali, scarne, dense di una poesia che ha a che fare più con la terra che col cielo. E' per questo, forse, che le sentiamo così vicine.

Sarà un'esperienza ancora più intensa, allora, guardare le foto di Ghirri con in mente parole come queste (di un Celati finalmente giunto alla deriva della foce): "Continuo a guardare il mare come se dovesse succedere qualcosa da un momento all'altro. Noi aspettiamo ma niente ci aspetta, né un'astronave né un destino. Se adesso cominciasse a piovere ti bagneresti, se questa notte farà freddo la tua gola ne soffrirà, se torni indietro a piedi nel buio dovrai farti coraggio, se continui a vagare sarai sempre più stanco. Ogni fenomeno è in sé sereno. Chiama le cose perché restino con te fino all'ultimo".

Serena Effe © 12/2006
Riproduzione Riservata
Courtesy Eredi Luigi Ghirri © per le foto che accompagnano questo articolo