IL SOGNO DELLA FOTOGRAFIA
di Italo Zannier

Non una 'storia della fotografia', bensì una microstoria della sua invenzione,
che ha il pregio di farcene riscoprire la carica magica e alchemica attraverso
nomi e procedimenti sconosciuti o dimenticati.







Questa è una storia della fotografia che si arresta laddove le altre solitamente cominciano. Già: perché la fotografia, prima di concretizzarsi in invenzione (e relativo brevetto, nel 1839), fu soprattutto idea, suggestione incessante, ansia di scoperta e, appunto, sogno.
Un sogno - quello di captare e conservare le sembianze del mondo in maniera automatica, sfruttando la luce - che attraversa i secoli, come una necessità universalmente avvertita (tanto che, volendo, la si può a buon diritto far risalire fino al mito di Narciso!) e che lungo la strada ha trovato fertile dimora nelle menti di filosofi, alchimisti, stregoni (presunti tali), scienziati.
Rettifichiamo, dunque: non una storia della fotografia, bensì - per dirla con l'autore - una "microstoria della sua archeologia", quando ancora il termine stesso di 'fotografia' era di là da venire.
Il libro nasce come omaggio alla genialità dello sconosciuto scienziato secentesco Marco Antonio Cellio (precoce inventore, tra l'altro, di un complesso marchingegno a specchi, antenato della camera lucida), sulla scia dell'entusiasmo per la riscoperta - da parte di Zannier stesso - di un suo libro, risalente al 1680, intitolato Fosforo o'vero la pietra bolognese preparata per rilucere tra l'ombre. Un titolo che evoca atmosfere misteriose ed alchemiche, le stesse che percorrono le pagine del libro di Zannier.
Ma il Cellio non è certo l'unico protagonista. Sfilano nomi perlopiù sconosciuti e oscuri, riportati alla luce dopo un oblio di secoli in forza della loro curiosità, spesso perseguita contro ogni logica, e assai coraggiosamente: l'idea di 'catturare' le sembianze del reale era considerata talmente incredibile, che il più delle volte generava sospetti di infernali 'patti col diavolo', conducendo al carcere o, nei casi peggiori, alla condanna al rogo (tanto che, ancora nel 1861, fu promulgato un editto punitivo nei confronti dei fotografi che fossero in possesso di un apparecchio non dichiarato! La fotografia ha continuato oltre ogni limite razionale a 'far paura').

Se Niépce fu il primo uomo - almeno, a quanto se ne sa fino ad ora - che riuscì a fissare e a rendere stabile e duratura un'immagine creata direttamente dalla luce (e vi riuscì intorno al 1826, dando vita alla prima fotografia conosciuta: il celebre point de vue dalla finestra della sua stanza a Gras), furono assai numerosi coloro che, prima di quella data, si scervellarono intorno agli altri due elementi fondanti la fotografia: il concetto di camera obscura (utilizzata per la prima volta dall'astronomo Alhazen nel X secolo, per osservare un'eclissi di Sole) e la sperimentazione di sostanze fotosensibili.
E' un susseguirsi di esperimenti, descritti con dovizia di particolari, il più delle volte tramite citazioni da testi antichi che ci trasportano in realtà lontanissime, dal fascino innegabile. E se i nomi di Niépce, Daguerre, Talbot e Bayard non possono mancare, per una volta tanto non la fanno da padroni. Nel corso della lettura, ci imbatteremo per esempio in un'antica fiaba cinese intitolata Il Principe Tartaruga, nella quale il genio del fiume Tiao fa dono al principe di uno specchio magico in grado di trattenere l'immagine di chi vi si specchia: l'analogia con il dagherrotipo è sorprendente!; o ci inoltreremo nei sotterranei fantascientifici del romanzo Giphantie di Tiphaigne de La Roche (del 1760: un testo incredibilmente profetico) alla scoperta del primo museo di fotografia al mondo, seppure solo immaginato; conosceremo pittori dimenticati divenuti in passato oggetto di fantastiche leggende grazie alla loro abilità pittorica, talmente naturalistica da farli credere addirittura proto-inventori della fotografia (è il caso dell'olandese Torrentius e di Panselinos di Tessalonica); o passeggeremo immersi nell'oscurità di boschi secenteschi alla ricerca di pietre fosforescenti (perché contenenti fosforo, e quindi 'avide di luce') con cui creare disegni rilucenti nel buio atti a spaventare gli astanti (nonché a dar vita, letteralmente, alle prime foto-grafie). E i nomi, le curiosità, i misteri che emergono nel corso della lettura sono assai più numerosi.
L'unica pecca riscontrabile è forse proprio questo saltare qua e là attraverso i secoli, rendendo ardua l'impresa di crearsi in mente un percorso cronologico lineare. Ma ciò non offusca il pregio principale di questo libro, che è quello di riportarci alla mente quel po' di magia e mistero indicibili che dimorano nell'atto stesso del fotografare.


Serena Effe © 12/2006

A destra:
 un laboratorio di alchimisti in un dipinto di Giovanni Stradano. E' in ambienti del genere che maturarono i primi esperimenti intorno ai materiali sensibili alla luce (spesso confusi - come accadde con la fosforescente 'pietra bolognese' - con la leggendaria 'pietra filosofale', che si supponeva capace di tramutare il metallo in oro)


Titolo: Il sogno della fotografia

Autore: Italo Zannier

Editore: Skira, 2006

Pagine: 85, con immagini a colori

Prezzo: 16 euro


Sommario:

Introduzione
Orme di luce

I. L'invenzione contestata: Daguerre o Cellio?
II. L'idea primigenia della fotografia
III. La profezia di Tiphaigne de La Roche
IV. Presunti inventori della fotografia
V. Panselinos di Tessalonica: prima di Daguerre?
VI. Le illusioni notturne del lucente fosforo
VII. Le immagini di Moser e il Breyerrotipo
VIII. Il fosforico Marco Antonio Cellio