ERTO E CASSO. IL VAJONT DA RISCOPRIRE

Di Antonio Zuccon

Josif Brodskij, nobel di letteratura, una volta disse: "Se c'è qualcosa che può sostituire l'amore, questa è la memoria. Memoria, io penso, non solo intesa come ricordo di persone bensì per tutto ciò che anima il creato, case, luoghi, paesaggi,oggetti, uomini". La memoria tende a riportare indietro, annulla il tempo, fa del ricordo presenza. Bella o brutta, felice o dolorosa, vecchia o giovane, la memoria è presente in pianta stabile. Ma col tempo tende a sbiadire e occorre ravvivarla.

Vi sono varie tecniche per ravvivare la memoria. C'è quella orale, conservata nelle storie, nei racconti tramandati di padre in figlio, recitata nei teatri, nelle osterie, per le piazze. C'è quella scritta, esternata nelle pagine dei libri, siano essi romanzi, saggi, diari, giornali e quant'altro. C'è la memoria cinematografica, ripresa da film, documentari testimonianze, interviste e vario materiale girato e registrato. C'è la memoria artistica, fermata dagli scultori nell'eternità della pietra, del bronzo o qualsivoglia materiale. I pittori immortalano sulle tele paesaggi, ritratti, oggetti, animali e via dicendo. Tutti questi sistemi cercano di imbalsamare la memoria affinchè non vada perduta. Ricordare per evocare amore, come diceva Brodskij. Ma pure dolore, odio, ira, vendetta e altri sentimenti meno nobili, giacché è doveroso ricordare tutto, anche le cose acuminate che lacerano e feriscono.

Un'altra tecnica che pietrifica la memoria affinchè la gomma dei secoli non passi a cancellarla è la fotografia. Cenerentola negletta e triste, a volte esaltata, spesso bistrattata da coloro che sanno cos'è arte e cosa non lo è, dobbiamo alla fotografia se possiamo vedere cose ormai sprofondate nell'abisso del tempo. La fotografia non inventa, ripropone. Rimanda con esattezza ciò che ha visto. La fotografia a volte crea tristezza dolce e malinconica. Se guardiamo domani una foto fatta ieri, realizziamo che siamo già più vecchi. Il tempo è passato. Poco, ma tanto per dire che non siamo più quelli del giorno prima. Chi di noi, tenendo in mano una vecchia foto di gioventù, dei figli lontani, dei genitori, non è stato preso da un groppo in gola? Basta entrare in un cimitero e spiare le foto dei morti per avere conferma. Sono lì, che ti guardano e sembra non ridano mai. Le foto ripotano il passato e il passato tiene per mano dolore e struggente nostalgia. Dalla fotografia non si scappa, come dai ricordi o dalla morte. Sfido chiunque ad affermare che non ha mai scattato una foto. Oggi poi, che si possono fare col cellulare, la fotografia ha invaso il pianeta.

Antonio Zuccon è uno che della fotografia ne ha fatto un'arte, una passione, uno scopo di vita. Antonio Zuccon, tra le varie attività, scatta fotografie. Foto di ogni tipo, per tanti soggetti, in ogni situazione, nei più disparati luoghi. Da noi ormai lo chiamano "quello delle foto". Ha dato alle stampe numerose pubblicazioni, soprattutto di paesi, tradizioni, scorci antichi, case, boschi, acque. Non fotografa sfilate di moda, è un fotografo di vita, nel senso che riprende quel che serve e aiuta a vivere. Ora, in questo libro, si è cimentato con un soggetto difficile. Ha voluto immortalare i fantasmi prima che scompaiano. Fantasmi di pietra. Può sembrare un paradosso che cose di pietra rischino di sparire per sempre. Invece non è così. I fantasmi di pietra sono le antiche case della Erto vecchia. La lunga teoria di case abbandonate dopo il disastro del Vajont che ancora si tengono per mano come grani di un rosario. Quelli sono fantasmi, non altri. Odorano di muschio e pietra morta e sono ben visibili. Quelli ancora in piedi. Toni Zuccon è andato a pescarli uno per uno. Li ha ripresi davanti, di lato, di scorcio, dall'alto. Li ha fermati sul posto, nel tempo, nello spazio, nell'oblio. Forse li ha fermati prima della loro scomparsa. Speriamo. Ma sperare non basta. Politici inesistenti, che hanno solo l'importanza che si danno e l'incuria e il disaffetto di molti paesani, permettono che il vecchio paese di Erto cada in rovina e distruzione. Sono crollate molte case, ormai, dalla sciagurata notte del 9 ottobre 1963, quando duemila persone entravano nel nulla per ambizione e interessi altrui. Quelle case non possono più essere ritratte. Sono scomparse. Sono mucchi di pietre sui quali trionfano muschi, ortiche e le nevi dell'inverno.

Aver avuto, a quei tempi, un accorto Zuccon, rimarrebbero almeno le immagini. Invece niente. Non fosse per una piccola foto scattata da chissà chi, nessuno nato dopo il Vajont saprebbe com'era fatta la chiesa medievale di San Martino, distrutta dall'onda. Le foto servono anche a questo: far vedere a chi non ha visto. Antonio Zuccon ha bazzicato per qualche anno tra i fantasmi di pietra. Schivo, silenzioso, lo strumento a tracolla, batteva le vie solitarie per riprendere quello che resta. A salvare, quantomeno sulla carta, le case dell'antico paese. Paese vincolato dalle belle arti. Guai perciò piantare un chiodo su una vecchia casa ertana. Lasciarla crollare, sì. Se avessimo dei politici con un po' di cuore e altrettanto cervello, il paese di Erto potrebbe essere salvato. Lo stato dovrebbe mettere a posto tutte le case, una per una. Dopodichè affittarle a studenti, famiglie, coppie, a tutti coloro che vogliono venire qui. Fare una grande università, un campus dove convivano facoltà varie: scienze forestali, agraria, botanica, geologia (abbiamo la frana più famosa del pianeta), scienze naturali eccetera. Il posto è bello, Antonio Zuccon lo sa. E lo sanno coloro che hanno visitato questa valle. Le case, rimesse a nuovo, con tanto di riscaldamento e servizi, rimarrebbero sempre ai legittimi proprietari che però, per cinquant'anni non potrebbero tenerle a uso privato. Lo stato, facendo pagare il giusto affitto, in un determinato numero di anni recupera l'investimento. Solo così si salva il vecchio paese, non con le chiacchiere.

"Tendo l'orecchio e sento, il passo dei ricordi, della perduta casa solo una pietra cerco". Così sta scritto su una vecchia casa di Erto. La gente non ha i soldi per sistemare le case. Se lo stato non interviene, tra qualche tempo dovremmo accontentarci di vedere il nostro paese sulle foto di Antonio Zuccon, l'unico che finora ha salvato qualche memoria. Sfidando l'oblio, l'incuria e l'indifferenza che stanno cancellando la vecchia Erto dalla faccia del mondo, Zuccon ci ha donato quell'atto d'amore che intendeva Brodskij. Un atto d'amore fatto di immagini e di memoria. Perchè, "se c'è qualcosa che può sostituire l'amore, questa è la memoria".

Mauro Corona © 02/2011
Dalla sua prefazione al libro "Erto e Casso, il Vajont da riscoprire"