LEICA CL MINIMALISMO TELEMETRICO
Pierpaolo Ghisetti, marzo 2014

La Leica CL è stato un modello di caratteristiche uniche nella storia della Leitz: figlia solitaria della collaborazione Minolta-Leitz, almeno per quello che riguarda gli apparecchi a telemetro, ha contribuito ad un classico paradosso degli anni Settanta, valido per diversi marchi tedeschi: ovvero trasferire la produzione in Giappone per perpetuare il Made in Germany, in quel momento storico in cui diverse case teutoniche, tra cui Zeiss e Rollei, avevano capito che per sopravvivere occorreva allearsi con l’avversario.
Nasce così nel 1971, e messa in vendita nel 1973, la “Leica Compatta”, progettata da Willi Stein, padre della M3, e disegnata di Karl Klos, con tanto di scritta sul frontale che la identifica, anche per gli increduli, come appartenente, almeno parzialmente, alla gloriosa stirpe di Wetzlar.

La stampa specializzata dell’epoca, in preda a facili entusiasmi per le camionate di reflex nipponiche che venivano riversate nelle vetrine dei negozi di fotografia, non la capì, non l’apprezzò e la bollò come inutile e sorpassata.

Inoltre il prezzo, malgrado la manifattura a Osaka, era stratosferico e le caratteristiche tecniche (apparentemente) molto semplici, in un momento storico dove la semplicità era paragonata alla povertà tecnologica, stretta parente dell’incapacità elettronica, peccato gravissimo in un’epoca abbagliata dalle nuove tecnologie applicate su Nikkormat EL, Canon EF, o l’avveniristica e splendida Contax RTS, e dal fatto che, essendo ormai l’industria nipponica decisamente indirizzata verso l’apparecchio reflex, tutto ciò che non lo era veniva ripudiato ed abbandonato in un limbo di medioevo tecnologico.

Forse era proprio il prezzo esoso che la distingueva dalla miriade di fotocamera compatte che affollavano il mercato, ma sicuramente le due ottiche in dotazione, supportate dalla cellula esposimetrica al CdS, con lettura TTL, simile come tecnologia a quella della M5, fornivano risultati di gran lunga superiori a qualunque compatta del periodo.

La base telemetrica di soli 19,5mm e la baionetta M, da un lato permettevano solo una limitata interscambiabilità delle ottiche, escludendo quelle luminose, dall’altra inserivano, in qualche modo, la CL nella Grande Storia delle fotocamera serie M. L’otturatore possedeva un movimento verticale, e non orizzontale, come le sorelle maggiori, e già questo sembrava togliere i sonni alle vestali della tradizione, forse più delle prestazioni dell’otturatore, limitate tra il 1/1000 e ½ di secondo.

Niente a confronto col fatto che la CL possedeva la particolarità di portare un doppio marchio, almeno sul mercato nipponico, sbandierando ai quattro venti non solo la collaborazione Osaka- Wetzlar, ma l’ambigua collocazione del prodotto, dal Made in Japan inciso in bianco nella versione Leitz Minolta, alla più discreta incisione sul fondello Mfd in Japan for Leitz Wetzar della versione standard.
La CL rappresentava la sconfessione definitiva di chi aveva fatto del Made in Germany una bandiera non solo tecnologica ma soprattutto di fede: proprio per questo la Leitz aveva rischiato l’anatema blasfemo su una piccola compatta e non su una ammiraglia della serie M. In definitiva era un’alternativa che la Leitz offriva non solo ai suoi fedeli e disorientati clienti, ma anche a coloro che volevano avvicinarsi al favoloso mondo del telemetro Leica, senza rischiare l’acquisto di una costosa M4: non un pezzo da esibire, non un oggetto da collezione, ma un minisistema fotografico da portare sempre con sé.
Troppe particolarità e, soprattutto, troppi sottintesi per un appassionato Leicista che voleva portare al collo una Leica, senza se e senza ma.

Purtroppo la CL, dopo 65'000 esemplari (il doppio dell’ancora più incompresa M5) e tre anni produttivi, ha dimostrato di essere un fenomeno transitorio ed irripetibile nella storia della Casa, un esperimento riuscito a metà che non ha avuto né fratelli né figli, in quanto la Minolta CLE è da considerarsi solo una lontana cugina, con caratteristiche profondamente diverse, ovvero esposizione automatica, un flash dedicato e tre ottiche Rokkor, marcate Made in Japan.
E’ curioso notare, a posteriori, che il motivo ufficiale della sospensione della CL è stato lo scarso successo commerciale: tuttavia la CL ha venduto, pur in soli tre anni, più di qualunque altra fotocamera della serie M contemporanea. Questi i riferimenti produttivi:

  • M4 = 57.999 pezzi in otto anni.
  • M4-2 + M4-P = 38.980 pezzi, in dieci anni.
  • M5 = 34.100 pezzi, in quattro anni.

Inoltre se si considera almeno i 20.000 pezzi della CL-Minolta, fabbricata sino al 1976, il totale arriva a ben 80-85.000 esemplari, un successo senza precedenti nella storia Leitz. Pertanto è lecito supporre che dietro il grande successo della CL si nascondesse la paura della morte della serie M, con conseguente perdita del giro di affari legato alle ottiche con baionetta M, il vero business Leitz, oltre probabilmente al fatto che a guadagnarci - nell’affare CL - era soprattutto la Minolta. Il fatto poi che la Leitz sconsigliasse decisamente di usare le due ottiche per la CL (ovvero il 40 Summicron e il 90 Elmar) sulle fotocamere della serie M, per motivi di scarsa precisione di messa a fuoco, fa ulteriormente sorgere dei dubbi. Infatti le due ottiche funzionano perfettamente su qualunque fotocamera M, e questo fa supporre la paura che il cliente finisse per utilizzare gli economici obiettivi della CL e non i molto più cari obiettivi M. Si decise pertanto di sopprimere la piccola creatura di successo, per ripristinare la linea M, momentaneamente interrotta tra la cessazione produttiva della M 5 e la rinascita della M4-2, in modo da rivitalizzare l’enorme parco delle ottiche con passo M.

Si è accusata la piccola CL di scarso successo, non solo facendole un torto, ma falsificando la verità storica, sull’altare di un business che vedeva troppo avvantaggiato il partner nipponico. Alla CL è stato dedicato un volume monografico dall’esperto Theo Kisselbach, edito dalla Hove.

Cosa rimane dell’esperimento CL? Sicuramente due ottiche formidabili, una tagliente come un rasoio, come solo un Summicron sa essere, e la seconda al limite della perfezione, come solo un Elmar può essere. Ma anche l’aver sperimentato alcune soluzioni tecnologiche che si ritroveranno sulla M5, una delle macchine più innovative della storia Leitz. Ma la CL dimostra anche che la Casa di Wetzlar, frequentemente tacciata di mancanza di iniziativa, è stata spesso più lungimirante dei propri clienti, loro sì perennemente ancorati ad un’epoca felice inesistente e utopistica, e alla fine autolesionistica per le sorti della Casa.

Pierpaolo Ghisetti © 03/2014
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Immagini
Le foto che accompagnano questo articolo sono state scattate nella zona delle Pale di S. Martino, nelle Dolomiti: in effetti la CL e i suoi due obiettivi sembrano particolarmente concepiti per la fotografia di montagna, piccoli, leggeri, portabili in qualunque tasca e con le giuste focali per far risaltare i particolari montuosi, senza ‘annegarli’ in un angolo di campo eccessivo. La resa è tipicamente Leitz: incisa, tridimensionale e brillante. Tra i difetti una evidente vignettatura ai primi due diaframmi di lavoro e, anche usando l’apposito paraluce in gomma, una notevole tendenza al flare nel controluce diretto a causa probabilmente delle 6 lenti. Pellicola diapositiva Rolleipan 200 su Leica CL.

Leitz Elmarit C 40/2,8
Alla storia della Leica CL appartiene anche una delle ottiche più elusive e, in qualche modo malfamate, della saga leitz, ovvero l’Elmarit-C 40/2,8. Si trattava di un’ottica concepita sullo schema ottico Elmar, con peso di 100g, contro i 110 del Summicron, e un’altezza di 3mm inferiore. La scala delle distanze, serigrafata e non incisa, era semplificata, in quanto appariva solo quella in metri, mentre nel Summicron vi era quella in metri di colore bianco, e quella in feet, di colore giallo.

A sinistra: il Leitz Elmarit 40/2,8 su Leica CL

L’Elmarit, come il Summicron, porta in bell’evidenza la scritta bianca Lens made in Germany. Da notare che la minima chiusura del diaframma (in tutte e tre le versioni, Summicron, Rokkor ed Elmarit a 10 lamelle) era stata portata a f/22, contro f/16 del Summicron. La minima distanza di messa a fuoco era sempre di 0,8 m, mentre la movimentazione del diaframma avveniva tramite una levetta e non, come nel Summicron, grazie ad una ghiera in rilievo zigrinata. Tuttavia la posizione della levetta era sbagliata in quanto era posta nella parte superiore dell’ottica e non in quella inferiore come sarebbe stato non solo logico ma utile. Infatti, per regolare il diaframma si oscurava il mirino col dito indice, vanificando l’operatività del tutto.

Dopo appena 500 esemplari fabbricati nel 1972 (secondo il FB Leica, 400 esemplari, secondo altre fonti), la produzione dell’Elmarit fu sospesa; l’ottica non entrò mai nei cataloghi Leica, e si dice che invece fosse distribuita presso i dipendenti Leitz. Il motivo del ritiro dal mercato dell’ottica fu dovuto, ufficialmente, alle scarse prestazioni dell’Elmarit, sia a tutta apertura che a f/5,6, non in linea con gli standard Leitz, che non ritenne di giocarsi il nome con un’ottica di base di qualità mediocre. L’Elmarit, un’ottica economica per una Leica economica, rischiava di divenire un boomerang tecnico che avrebbe ulteriormente portato critiche alla già discussa CL: si decise pertanto di sopprimerlo a favore dell’ottimo Summicron, ottica riuscitissima sotto molteplici aspetti.

Questo almeno quanto riferito dalla Leitz e ripetuto come un mantra acritico da tutti gli autori e cultori del marchio di Wetzlar: la realtà, nelle prove pratiche effettuate con quest’ottica, è diversa. Si tratta di un buon obiettivo dal classico schema a 4 lenti, con una resa, leggermente sotto tono a tutta apertura, ma complessivamente simile all’Elmar 50/2,8, il cui montaggio, all’epoca affidato ad una ditta rumena, accusata di scarsa competenza, non presenta difficoltà alcuna.

Anche in questo caso, come nella prematura soppressione della produzione della CL, viene il sospetto che i motivi fossero altri, ovvero risiedessero nell’accordo commerciale con la Minolta. Ovvero che l’ulteriore abbassamento del prezzo della CL, in unione con l’economico Elmarit, e il conseguente maggior successo, avrebbe finito per penalizzare il costoso Summicron 40, unico motivo di guadagni per la casa di Wetzlar. 
In questo caso la leggenda della scarsa qualità del misterioso Elmarit si sposa con la leggenda dello scarso successo della CL, in realtà una macchina di grande successo.
Anche in questo risiede il fascino della Leica CL: una macchina veramente anomala, anche nella sua storia.

Pierpaolo Ghisetti © 03/2014
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