NITIDEZZA A TUTTI I COSTI.
Come giocare con la profondità di campo.

Della famosa (o famigerata, dipende dai punti di vista) regola di Scheimpflug abbiamo già avuto occasione di parlare. Ricordiamo rapidamente che essa permette di ottimizzare la messa a fuoco del soggetto quando il piano su cui quest'ultimo giace, il piano dell'ottica e il piano focale si incontrano in un unico punto. Il disegno qui affianco visualizza in modo semplice un concetto che a parole sembra complicato.

A questo punto potrebbe sembrare che la regola di Scheimpflug (uffa, com'è faticoso scriverlo ogni volta!) riguardi solo i pochi fortunati (o pazzi) che lavorano col banco ottico. Invece no. Se ci pensate bene riguarda tutti. Quando si usa una fotocamera fissa, non è forse vero che il piano del soggetto, il piano dell'ottica e il piano focale devono incontrarsi in un punto posto all'infinito (cioè che il piano del soggetto dev'essere perfettamente parallelo al piano focale) per ottenere un'immagine nitida?

I guai, con la fotocamera fissa, cominciano quando il piano su cui giace il soggetto non è parallelo agli altri due. Non potendo basculare il piano dell'ottica, occorre lavorare sul diaframma per incrementare la profondità di campo. La quale, come tutti sappiamo, è un fenomeno visivo. In realtà esiste un solo punto in cui tutto è perfettamente a fuoco: tutti gli altri ci sembrano a fuoco a patto che siano più piccoli di un certo valore. Questo valore è il diametro del circolo di confusione. In pratica, tutti i punti-immagine non a fuoco vengono resi sulla pellicola non come punti ma come cerchietti. Tuttavia il nostro occhio - che non è uno strumento perfetto e non va troppo per il sottile - percepisce i cerchietti molto piccoli come punti. Quanto piccoli? Inferiori, appunto, al circolo di confusione. È ovvio che tutto questo si riferisce a una visione normale. Che cosa poi significhi "normale" è poi tutto da discutere, dato che molto dipende dalla capacità di accomodamento dell'occhio umano e dall'abilità individuale nel definire l'immagine: un astigmatico, un miope e un presbite non vedono allo stesso modo.

Il circolo di confusione si definisce in base a formule e varia in funzione della lunghezza focale dell'obiettivo. Per la generalità dei lavori fotografici si possono considerare ragionevolmente validi i seguenti valori:

  • 0,0508 mm per il piccolo formato,
  • 0,127 mm per il medio formato,
  • F /1720 per il grande formato, dove "F" è la lunghezza focale dell'obiettivo.

Esempio: con un obiettivo da 150 mm si avrà:

  • c = 150 / 1720 = 0,0872.

Per lavori generici che non richiedano un elevato grado di precisione si potrà considerare il diametro del circolo di confusione pari a un millesimo della lunghezza focale.

A questo punto bisogna capire come mettere a fuoco per garantirsi la massima nitidezza possibile. Per far questo, occorre calcolare la distanza iperfocale, usando la formula:

  • H = F2 / (f x c),

dove "H" è la distanza iperfocale, "F" è la lunghezza focale dell'obiettivo, "f" è l'apertura relativa, "c" è il diametro del circolo di confusione.

Esempio: con un obiettivo da 150 mm chiuso a f/22 si avrà:

  • H = 1502 / (22 x 0,0872)
  • H = 22500 / (22 x 0,0872)
  • H = 22500 / 1,9184 = 11728,5.

Questo significa, in pratica, che con un obiettivo da 150 mm (normale per il formato 10x12 cm) diaframmato a f/22 occorrerà mettere a fuoco alla distanza di 11 metri e 70 cm circa per godere della massima profondità di campo possibile.

Il valore di H ci consente di conoscere anche quale sia il limite prossimo della profondità di campo, cioè la distanza a partire dalla quale l'immagine apparirà nitida. La formula per calcolare il limite prossimo della pdc è:

  • P = (H x u) / (H + u)

dove "H" è la distanza iperfocale, mentre "u" è la distanza alla quale l'obiettivo è messo a fuoco.

Ad esempio, con la distanza iperfocale trovata precedentemente avremo:

  • P = (11728,5 x 11728,5) / (11728,5 + 11728,5) = 5864,25, cioè poco meno di sei metri.

Analogamente si calcola il limite remoto della pdc con la formula:

  • P = (H x u) / (H - u).

Con la solita distanza iperfocale calcolata prima avremo:

  • P = (11728,5 x 11728,5) / (11728,5 - 11728,5) = 137557712,25 / 0, cioè l'infinito.

Sui manuali di fotografia leggiamo sempre che la profondità di campo dipende da tre variabili: l'apertura relativa (cioè il diaframma), la lunghezza focale dell'obiettivo e la distanza di ripresa. Ma come avviene questo? La profondità di campo aumenta proporzionalmente al valore dell'apertura relativa secondo la formula:

  • P1 / P2 = d1 / d2

dove "P" è la profondità di campo e "d" l'apertura relativa impostata.

Esempio: data una pdc di 15 cm con obiettivo alla massima apertura (es. f/5,6), quanto bisogna diaframmare per ottenere una pdc di 60 cm? Applicando la formula precedente e ponendo d2 come incognita si avrà:

  • 15 / 60 = 5,6 / d2
  • d2 = 22,4 (approssimabile a 22), che è il diaframma da impostare.

Come agisce la distanza del soggetto sulla profondità di campo (P):

  • P1 / P2 = (u1)2 / (u2)2

Ne consegue che se la distanza u raddoppia la pdc aumenta di quattro volte; se triplica, la pdc risulta nove volte maggiore.

Come agisce la lunghezza focale sulla profondità di campo (P):

  • P1 / P2 = (f1)2 / (f2)2

Ne consegue che quanto più diminuisce la focale tanto più aumenta la pdc. Dimezzando la lunghezza focale la pdc aumenta di quattro volte.

Alla fine di tutte queste formule il commento di un fotografo normale non può essere che "GASP!". Anche ammesso di avere una mentalità matematica e ricordarsi le formule a memoria (io non ci sono mai riuscito), mica possiamo metterci lì e fare tutti i calcoli ogni volta che dobbiamo fare una fotografia, giusto?

Giusto, tant'è vero che tutti gli obiettivi per le reflex di piccolo e medio formato hanno quell'utilissima funzione (che non tutti sanno usare correttamente) che si chiama scala delle profondità di campo e che ci permette di controllare visivamente il limite prossimo e remoto della pdc a seconda del diaframma utilizzato, semplicemente ruotando la ghiera di messa a fuoco. Chi usa obiettivi autofocus non può usufruire di questa funzione. Peggio per lui.

Chi invece lavora con il grande formato deve proprio fare i calcoli, oppure rifarsi a tabelle già pronte e facilmente reperibili sui manuali di ottica o addirittura su Internet.

Per quanto riguarda Internet, esistono parecchi siti che mettono a disposizione utilissimi calcolatori on-line della profondità di campo e dei limiti prossimo e remoto. Basta inserire pochi dati (quali la lunghezza focale dell'obiettivo e il formato del fotogramma) e il calcolatore farà tutto da solo. Comodo, no? Peccato che quando si lavora sul campo non ci si possa portare dietro il computer! Comunque, per trovarli, è sufficiente digitare "Depth of field" sul prompt di un qualunque motore di ricerca.

Dopodiché, diventa inutile curare in modo certosino la profondità focale e la messa a fuoco quando si lavora a mano libera con un 135 mm a 1/30 di secondo; quando ci si dimentica a casa il paraluce; quando si usano filtri impolverati e pieni di ditate; quando per stampare si adopera un obiettivo da trentamila lire. La nitidezza dipende da un insieme complesso di fattori e il risultato finale dipende sempre dall'elemento più debole di tutta la catena.

Michele Vacchiano © 7/2000
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