PICCOLI E BRILLANTI
Prova sul campo di obiettivi un po' speciali
Il campo della macrofotografia in grande formato è molto più esteso di quanto comunemente non si pensi. Il fotoamatore che usa le reflex di piccolo formato intende, con il termine "macro", un campo ben preciso. Nel grande formato, invece...


L'Apo-Ronar 300 mm f/9 usato per questo test (e poi - sigh! - restituito).



Lo Schneider G-Claron 305 mm f/9 ha un aspetto più "normale" di quello dell'Apo-Ronar, anche se appare di dimensioni più ridotte rispetto a un classico obiettivo standard di pari focale.

L'informazione tecnica fornita da Schneider dichiara che i G-Claron sono ottimizzati per rapporti di riproduzione che vanno da 1:5 a 5:1 (in pratica dal ritratto alla macrofotografia spinta), con massima correzione al rapporto di 1:1. Ciò non esclude comunque che li si possa usare con risultati più che accettabili anche a distanze medio-lunghe.



La neve è sempre un buon test per la resa del contrasto e dei toni intermedi. Ovviamente la scansione non rende giustizia al negativo originale, dove la texture della neve è ricca di sfumature di bianco. Il contrasto è elevato ma non tappa le ombre. Obiettivo Rodenstock Apo-Ronar 300 mm f/9.



Più morbido ma sempre ricco di toni il G-Claron 305 mm f/9.



Buona la resa del colore del G-Claron, caratterizzato da un cromatismo saturo e brillante anche senza filtro polarizzatore.

Nel grande formato, invece, la macrofotografia copre una gamma piuttosto vasta di applicazioni e certamente non si riferisce alla ripresa di fiori e insetti a cui ci si dedica con il piccolo formato. Al rapporto di 1:1 chi lavora in 35 mm riesce a riempire il fotogramma con una farfalla o un fiorellino; chi usa il grande formato lo riempie con una boccetta di profumo, o con una bottiglia di vino, o con il volto del soggetto, a seconda del formato utilizzato. Ne consegue che i campi di applicazione sono diversi, prevalentemente inerenti alla fotografia pubblicitaria, allo still-life e a tutte quelle applicazioni che vanno sotto il nome generico di tabletop photography.

Gli obiettivi ottimizzati per lavorare da vicino sono prodotti in diversi modelli e secondo differenti "filosofie" costruttive. Qui ci occuperemo di due serie - prodotte rispettivamente da Rodenstock e Schneider - estremamente interessanti non solo per chi si occupa di close-up.

Stiamo parlando dei Rodenstock Apo-Ronar e degli Schneider G-Claron, questi ultimi usciti da poco di produzione ma ancora reperibili sul mercato dell'usato.

Che cos'hanno di speciale questi obiettivi?

Innanzitutto la loro luminosità (o - per essere più precisi - la loro apertura relativa massima) è piuttosto ridotta: f/9. La scelta è voluta: un'apertura relativa massima non eccezionale permette di mantenere compatte le dimensioni e non costituisce un problema quando si lavori in studio (dove le lampade consentono un'illuminazione più che sufficiente), ma neppure all'aperto, con il soggetto illuminato dal sole.

Poi, come detto, le dimensioni, davvero compatte, che consentono l'utilizzo di otturatori più piccoli di quelli normalmente usati per le focali standard corrispondenti. Ad esempio, sia l'Apo-Ronar che il G-Claron 300 mm f/9 sono montati su otturatori Copal #1. Il che rappresenta un innegabile vantaggio per chi li debba utilizzare all'aperto, montati su una fotocamera folding.

Il cerchio di copertura è generalmente buono e diventa eccezionale alle brevi distanze di ripresa.

Pur essendo ottimizzati per un range di rapporti di ingrandimento prossimi a 1:1, questi obiettivi sono in grado - se opportunamente diaframmati - di effettuare riprese a distanze medio-lunghe con risultati eccellenti in termini di nitidezza e contrasto.

Il loro disegno ottico e la specifica destinazione d'uso garantiscono una planeità di campo eccezionale, che si rivela utile non soltanto a chi fotografa da vicino ma anche al fotografo di architettura.

Le caratteristiche

Esaminiamo le caratteristiche delle due serie, che - pur essendo progettate per risolvere problemi analoghi - non sono certamente sovrapponibili.

  • Entrambe le serie utilizzano il collaudato schema simmetrico proprio degli obiettivi destinati alla fotografia ravvicinata. Lo schema dei G-Claron è più complesso: 6 lenti in quattro gruppi anziché le 4 lenti in 4 gruppi degli Apo-Ronar.
  • L'angolo di campo è più vasto nei G-Claron: 64 gradi contro i 44 dei Rodenstock.
  • Il cerchio di copertura, come detto, è buono all'infinito ed eccezionale alle brevi distanze. Ad esempio, il Rodenstock Apo-Ronar 150 mm f/9 copre 135 mm all'infinito e 180 al rapporto di 1:1. Il che vuol dire che può essere usato sul formato 6x9 all'infinito ma già sul 4x5" per il close-up. L'Apo-Ronar 360 mm ha un cerchio di copertura pari a 318 mm all'infinito e a 424 mm al rapporto di 1:1. Il suo corrispondente Schneider, il G-Claron 355 mm f/9, ha un cerchio di copertura più ampio: 444 mm a 1:1.
  • Il tiraggio meccanico non è significativamente inferiore alla lunghezza focale nominale, il che impone di prestare attenzione alle possibilità di allungamento del soffietto. L'Apo-Ronar 360 mm f/9, ad esempio, ha un tiraggio di 351 mm, molto simile a quello (350 mm) del G-Claron 355 mm.

La prova sul campo

Una nitidezza eccezionale, tagliente, quasi eccessiva caratterizza le prestazioni dell'Apo-Ronar 300 mm f/9 da me provato. Il contrasto è elevato, i bordi netti e incisi. Più morbido, come da tradizione, il G-Claron 305 mm f/9, ma anche più ricco di toni intermedi. L'immagine (ma sono impressioni soggettive) sembra dotata di un maggiore respiro, anche grazie al più ampio angolo di campo. Gli obiettivi sono leggeri e maneggevoli, ideali per l'uso sul campo. Entrambi pesano meno di tre etti, otturatore compreso. Quello che mi ha disturbato è la scarsa luminosità dell'immagine proiettata sul vetro smerigliato. Non in interni, dove ho potuto illuminare il soggetto a mio piacere, ma all'aperto, nonostante ci fosse il sole. Noi miopi abbiamo bisogno di tanta luce per vederci, e quell'immagine stenta e buietta mi rendeva davvero difficile inquadrare e mettere a fuoco, nonostante il panno nero tubolare della Lotus dal quale non passerebbe nemmeno la luce di un'esplosione nucleare! Del resto - come già detto - la compattezza e l'incisione delle linee e dei toni bisogna pur pagarle in qualche modo.

Alle brevi distanze la resa è eccellente, ma anche alle distanze medio-lunghe non ho notato cali di resa. Devo dire però che ho quasi sempre utilizzato diaframmi molto chiusi, fino a f/45 e in un caso f/64. A diaframmi più aperti (f/16) mi è parso di notare, nel G-Claron, una lieve ma evidente vignettatura meccanica, che però scompariva del tutto già a f/22.

Ho volutamente testato le due ottiche (il G-Claron 305 mm e l'Apo Ronar 300 mm) in situazioni "difficili", cioè non alle brevi distanze di ripresa per le quali esse sono ottimizzate, ma per riprese generiche di paesaggio. Devo dire che l'esame dei negativi e delle diapositive mostra risultati inattesi in termini di contrasto e resa tonale, che restano a livelli del tutto compatibili con quelli garantiti dagli obiettivi non macro. Se proprio dovessi esprimere una preferenza (ma è una questione di sfumature) tenderei a privilegiare - per l'uso sul campo - l'incisione e il contrasto del Rodenstock. Purtroppo la scansione destinata al web non è in grado di rilevare la ricchezza dei negativi e delle diapositive originali.

Michele Vacchiano © 4/2002