ADAMS, LA LUNA E IL LINGUAGGIO DELLA FOTOGRAFIA
Una recente discussione offre lo spunto per interessanti approfondimenti
Michele Vacchiano, aprile 2003

La scorsa settimana, parlando di un prossimo workshop, avevo ricordato ai partecipanti iscritti al mio Forum che pochi giorni prima dell'incontro la luna sarebbe stata piena. Questo avrebbe consentito di impressionare qualche lastra per poi utilizzarla durante il workshop per fotografare il paesaggio. In questo modo - anche grazie all'ausilio di un filtro arancio o rosso - la luna si sarebbe stagliata nel cielo arricchendo la fotografia.

Aggiunsi, in quell'occasione, che l'espediente è molto usato da chi lavora su pellicole piane e che lo stesso Ansel Adams potrebbe averlo utilizzato per la sua celebre immagine intitolata Il sorgere della luna a Hernandez.

Come mi aspettavo (e in realtà volevo) questa mia affermazione "dissacratoria" non ha mancato di suscitare una vivace discussione tra gli iscritti al Forum.

Ma poiché si tratta di un argomento che - lo vedremo - trascina con sé conseguenze interessanti, mi è sembrato opportuno non lasciarlo racchiuso nell'ambito ristretto di un gruppo di discussione, ed ecco la ragione di questo articolo.

La prima considerazione su cui ritengo utile soffermarmi è di carattere squisitamente tecnico, ma nonostante questo è indispensabile per capire ciò che verrà detto dopo.

Domanda: come si fa a fotografare un paesaggio notturno con la luna?

Risposta: non si può, e questo per una ragione semplicissima. La luna è un corpo grigio chiaro illuminato dal sole. Indipendentemente dalla sua distanza dalla terra la corretta esposizione per poterla fotografare coincide con quella necessaria a fotografare qualunque oggetto chiaro illuminato dal sole. Applicando la regola del 16, un oggetto grigio medio (o un paesaggio i cui valori tonali rientrino, una volta sommati, nel grigio medio) richiede 1/125 di secondo con f/16 qualora si utilizzi una pellicola di 100/21° ISO. Poiché la luna non cade esattamente nella zona V (grigio medio), ma nella zona VI o VII (a seconda delle condizioni atmosferiche), occorrerà incrementare l'esposizione di uno o due stop. Se ad esempio assumiamo che la luna cada in zona VI, la corretta esposizione si avrà con 1/125 di secondo e f/11.
Se si incrementasse l'esposizione di più di due stop, la luna finirebbe per cadere nelle zone più elevate della scala e i particolari della superficie (i mari, le pianure e i crateri le cui ombre costituiscono il "volto" della luna come noi lo percepiamo) scomparirebbero, trasformando la luna in un dischetto bianco. In questo modo lo spettatore potrebbe pensare che la luna sia stata ottenuta appoggiando sulla carta da stampa la classica monetina da 10 centesimi e che non si tratti di una vera immagine della luna.
Fotografando in questo modo la luna sullo sfondo del cielo notturno, è evidente che il cielo non riceverà un'esposizione sufficiente e che di conseguenza il negativo rimarrà del tutto trasparente (tranne in corrispondenza della luna), potendo così essere riutilizzato per una successiva esposizione.

A questo punto appare ovvio che un'esposizione così breve (necessaria per fotografare la luna rispettandone i particolari) non sarebbe assolutamente sufficiente per registrare sulla pellicola anche il paesaggio terrestre, per quanto illuminato dalla luce lunare.

Per cui, concludendo, se si esponesse per la luna il resto del paesaggio non verrebbe registrato sulla pellicola, mentre se si esponesse per il paesaggio i molti secondi necessari non soltanto brucerebbero la luna, ma la trasformerebbero in un ridicolo fagiolo bislungo a causa del suo moto di rivoluzione: in soli cinque secondi il nostro satellite percorre nel cielo un arco di cerchio sufficiente a deformarne l'immagine.

Al di là della doppia esposizione, esiste un altro modo per fotografare la luna e insieme il paesaggio terrestre? Sì, esiste, e consiste nel fotografare di giorno. Com'è noto la luna - in certi momenti del mese - è visibile anche durante il giorno, quando il paesaggio è illuminato dal sole. E' pertanto sufficiente un filtro rosso piuttosto denso (se si lavora in bianco e nero) e/o un filtro polarizzatore (sia in bianco e nero che a colori) per scurire il cielo, che in questo modo assumerebbe un aspetto "notturno". Il forte contrasto reso possibile dal filtro rosso e dal filtro polarizzatore suggerirebbe poi l'illuminazione tipica della luna, caratterizzata appunto da forti contrasti e da ombre molto dense (dato che di notte manca l'effetto "diffusore" del cielo). In più, chi lavora a colori potrebbe aggiungere al tutto un filtro azzurro piuttosto denso per simulare la luce "fredda" della notte (in realtà la luce della luna è bianca, ma noi siamo culturalmente condizionati ad attribuire alla notte dominanti azzurrine). Questo è uno dei trucchi usati nel cinema per simulare effetti notturni in pieno giorno.

Che tecnica ha usato Ansel Adams per realizzare la sua celebre fotografia?
Leggiamo ciò che lui stesso afferma nella sua autobiografia (ringrazio Luca Palucci per avermi fornito l'intero brano in formato elettronico):

Sulla strada verso Sud, mentre ci avvicinavamo al villaggio di Hernandez, ho visto un panorama fantastico. A est la luna sorgeva sopra nuvole distanti e cime innevate, a ovest il sole del tardo pomeriggio occhieggiava sopra un banco di nubi dirette a sud e illuminava di un bianco brillante le croci del cimitero della chiesa. Parcheggiata la giardinetta sul ciglio della strada, sono saltato fuori, ho racimolato le attrezzature mentre urlavo a Michel e a Cedric: "Passatemi questo, e quest'altro. Presto, santo cielo! Non abbiamo molto tempo!". Una volta montata la macchina fotografica e l'immagine composta e messa a fuoco, non riuscivo a trovare l'esposimetro Weston. Alle mie spalle il sole stava per scomparire dietro alle nuvole ed ero disperato. Improvvisamente mi sono ricordato che la luminanza della luna è di 250 candele per piede quadrato. Ho posto questo valore sulla Zona VII della scala di esposizione; con il filtro giallo Wratten G (n.15), l'esposizione era 1sec. a F32. Non avevo una lettura precisa dei valori delle ombre in primo piano. Dopo la prima esposizione ho velocemente rovesciato lo chassis della pellicola 8X10 per fare un duplicato del negativo: istintivamente sapevo di aver visualizzato una di quelle immagini importanti che sembrano le vittime predestinate di incidenti o di difetti fisici. Proprio quando ho tirato via la lastra, la luce del sole era scomparsa. Il momento magico era svanito per sempre. Sapevo che la foto era speciale già quando avevo aperto l'otturatore, ma non mi aspettavo quel successo decennale. Moonrise, Hernandez, New Mexico è la mia fotografia più nota, quella che mi ha portato più lettere e anche qui ripeto che non è assolutamente una doppia esposizione [il grassetto è nostro]. Nei primi anni in cui l'ho stampata, ho lasciato delle nuvole casuali nella parte alta del cielo, anche se avevo visualizzato il cielo in valori molto scuri e quasi senza nubi. Soltanto negli anni Settanta ho ottenuto una stampa pari alla visualizzazione originale che ricordo ancora vividamente.

Dunque il maestro afferma chiaramente che non si tratta di una doppia esposizione, ma di un'immagine scattata di giorno, o meglio al tramonto, con il sole alle spalle (che illumina le croci del cimitero e le nuvole) e la luna nel cielo, grazie all'ausilio di un filtro giallo scuro e di una stampa capace di rendere visibile il contrasto che Adams aveva "visualizzato".

E qui passiamo alla seconda considerazione. Quando Adams parla di visualizzazione, non si riferisce ad un procedimento fisiologico, ma a un percorso mentale. L'immagine fotografica non è una riproduzione della realtà fenomenica (phàinomai, io appaio), ma la traduzione dello stato dell'animo che quella particolare realtà ha indotto nel fotografo.

Perché la mia provocatoria affermazione (che la foto di Adams potesse essere il frutto di una doppia esposizione) ha suscitato reazioni non dico indignate, ma stupite? Perché ancora non riusciamo (nessuno di noi riesce) a liberarci completamente di quel vecchio pregiudizio che considera la fotografia una semplice riproduzione del reale, incapace di esprimere concetti che non siano concetti concreti.

Non è così! Il linguaggio della fotografia non è il linguaggio della cronaca, ma il linguaggio della poesia, anzi - meglio - il linguaggio del sogno. La metafora, lo spostamento, la sostituzione (tipici procedimenti onirici) le appartengono in modo peculiare e la collocano di prepotenza nel mondo dell'immaginario. La morfologia della fiaba (Propp, 1928) è il metodo più adatto a descrivere ed analizzare il peculiare "respiro narrativo" di una fotografia (o di una sequenza di immagini).

E proprio per questo il fatto che Il sorgere della luna a Hernandez sia o non sia il risultato di una doppia esposizione riveste, alla fine, un'importanza del tutto trascurabile. La doppia esposizione, al pari della mascheratura in stampa, del raddrizzamento delle linee verticali o della stampa tone-line non è un "truccaccio" o peggio un inganno ai danni dello spettatore, ma una tecnica creativa il cui scopo è quello di tradurre sulla carta l'intimo sentire del fotografo, di comunicare a chi osserverà l'immagine non tanto l'esistenza di un certo soggetto in un certo tempo, quanto piuttosto le sensazioni, le emozioni e - perché no? - il turbamento interiore che quel soggetto hanno provocato in lui.

Michele Vacchiano © 04/2003