QUANDO L'AZZURRO NON PORTA IL SERENO
Uso corretto dei filtri fotografici. Conoscerli meglio
Michele Vacchiano, maggio 2000

Un lettore di Aosta mi ha spedito la mail che, ottenuto il suo permesso, riporto qui di seguito. Dato che l'argomento è di interesse generale, ne approfitto per una risposta "pubblica" che è anche un excursus nel mondo dei filtri.

Mi scrive Oreste Berthod: "Egregio dottor Vacchiano, sono disperato! Le mie fotografie in montagna sono tutte azzurre! La neve è azzurrina invece che bianca e lo sfondo appare sempre immerso nella foschia. Lo so che lei mi risponderà citandomi i raggi UV e la necessità di usare filtri di protezione: ma a me non piace fare come i principianti, che appiccicano un filtro da quattro soldi a obiettivi da due o tre milioni e lo lasciano sempre montato, per cui li uso solo quando ne avverto la reale necessità, ma a quanto pare non è sufficiente. Allora ho pensato che la causa non fosse soltanto quella: ho cambiato pellicola almeno cinque o sei volte, passando da quelle "professional" a quelle da supermercato, ma il fenomeno permane. Ho provato a dare la colpa agli obiettivi, ma non è possibile che obiettivi di marche diverse diano lo stesso risultato. La mia attrezzatura: Nikon (F70 e F90) con ottiche originali, no zoom, una Fuji 6x9 con ottica da 90 mm (vecchio modello), e occasionalmente una vecchia ma perfettamente funzionante Linhof Technika (anni '60) con un moderno Super Angulon 90 mm f/8. Tra l'altro, avevo letto un suo intervento riguardante la trasmissione spettrale di questo obiettivo, e mi sembra di ricordare che lei ne avesse sottolineato la scarsa capacità di trasmissione nella banda dell'azzurro. Come mai allora ottengo questi toni sgradevolmente freddi? Sto seriamente pensando di passare al bianco e nero…"

Il fenomeno lamentato dal signor Berthod affligge tutti coloro che, per professione o per passione, fotografano in montagna, o comunque in zone dove l'irraggiamento ultravioletto è particolarmente forte. Velatura dell'emulsione, desaturazione dei toni, effetto foschia, spostamento della banda spettrale verso l'azzurro: questi i sintomi evidenti della presenza di raggi UV al momento delle riprese. Ma ormai è troppo tardi per rimediare. E allora che fare? Come facciamo a sapere se ci troviamo in presenza di "rischio UV", dato che la radiazione ultravioletta è invisibile? Semplice: se in quel luogo e in quell'ora c'è la possibilità di abbronzarsi (e di scottarsi), allora vuol dire che tutt'intorno è pieno zeppo di raggi ultravioletti! In alta quota, ma anche al livello del mare nelle ore centrali della giornata; quando il cielo è sereno ma anche quando è velato (le nubi non fermano la radiazione ultravioletta, ma anzi la diffondono per ogni dove); quando siamo in presenza di superfici riflettenti (neve, acqua, sabbia chiara) che "raddoppiano" l'effetto UV (non per niente le fanatiche della tintarella prendono il sole con uno specchio sotto il mento, così che ricordano Maria Antonietta con la testa nel vassoio dopo la decapitazione)…

Si stupisce, il gentile lettore, che il filtro UV non funzioni. In effetti non sempre l'assorbimento del filtro si rivela sufficiente. Non per nulla case come la B+W producono filtri UV di diversa densità. Un tentativo ulteriore potrebbe essere sostituire il classico UV (trasparente) con uno skylight leggermente rosato (e di gradazione piuttosto densa), che compenserebbe meglio la dominante azzurra delle sue diapositive. Anche il filtro polarizzatore è in grado di abbattere l'effetto foschia, incrementando oltretutto la saturazione cromatica. Il polarizzatore renderebbe superfluo l'UV, anche perché tutti i filtri di buona qualità hanno subito un trattamento anti-ultravioletti.

Anche l'uso sistematico e costante del paraluce può migliorare la situazione. Il paraluce impedisce ai raggi luminosi (compresi gli UV, ovviamente) provenienti dall'esterno del campo inquadrato di colpire obliquamente la lente frontale causando "flare" e riflessi parassiti. Parte della desaturazione tonale derivante dal fotografare in alta montagna è dovuta proprio alla forte luminosità ambientale, che spesso si rende responsabile di questo fenomeno.
Quando siamo in alta montagna noi sappiamo bene come proteggerci: se il sole picchia usiamo un berretto di tela bianca per evitare l'insolazione (il rischio è presente anche quando l'aria ci sembra ingannevolmente fresca); contro l'abbagliamento usiamo occhiali da ghiacciaio capaci di assorbire fino al 90% della luce. Perché non facciamo lo stesso con la nostra pellicola? Anche lei teme l'eccesso di luce, e anche lei, come noi, ha bisogno degli "occhiali da sole" (un buon filtro) e di un efficace paraluce, che ha la stessa funzione dei ripari laterali in cuoio applicati ai nostri occhiali da alta quota.

Ma esistono altri accorgimenti utili a ridurre sempre più il deleterio effetto dei raggi ultravioletti. Prima di tutto bisognerebbe evitare di fotografare nelle ore centrali della giornata: dalle 11 del mattino alle 3 del pomeriggio la presenza di radiazione ultravioletta è massima, come non cessa di ripeterci il telegiornale quando ci ammannisce gli annuali consigli per stare bene in vacanza: così sappiamo che le ore in cui si rischia l'eritema solare sono anche quelle in cui è meglio lasciare la macchina fotografica nello zaino. La cosa non è difficile per il buon alpinista, ben consapevole del fatto che nelle ore intorno al mezzodì è fortemente consigliabile essere già di ritorno, dati gli effetti ben noti del sole sui ghiacciai. Gli altri, gli escursionisti più "tranquilli", in quelle ore saranno ancora in giro e dovranno forzatamente fare i conti con i raggi ultravioletti. Il consiglio di evitare di fotografare vale soprattutto per loro.
La scelta della pellicola è determinante: le marche migliori hanno uno strato anti-UV decisamente più efficace di quello presente sulle emulsioni economiche. Se si rimane al top della gamma (Fuji Velvia e Provia, Kodak Ektachrome 64P e 100P, Agfa RSX Professional) le prestazioni rimangono in ogni caso elevate.
Il trattamento antiriflessi dell'obiettivo riveste anch'esso un'importanza essenziale: un buon trattamento migliora la trasmissione spettrale, riduce il rischio di riflessi interni e garantisce elevati livelli di contrasto e saturazione cromatica.

In ultimo, i filtri. Come argutamente sottolinea il lettore, non ha senso applicare "un filtro da quattro soldi a obiettivi da due o tre milioni". I filtri economici non sono stati sottoposti a un trattamento antiriflessi efficace; inoltre è sempre presente il rischio che le due superfici del filtro non siano perfettamente piane e parallele, con gravi conseguenze sulla nitidezza a causa di un'errata rifrazione. Il consiglio è quello di utilizzare sempre filtri di ottima qualità, possibilmente originali per essere certi che abbiano subito lo stesso trattamento antiriflessi delle lenti dell'obiettivo, o comunque prodotti da case che garantiscono i necessari, severissimi controlli di qualità. Certo, un buon filtro è costoso, ma anche buttar via le fotografie lo è.
E se dopo tutte queste precauzioni le nostre foto continueranno ad essere azzurrine… ebbene, allora cercheremo di spiegare ai nostri spettatori (o ai nostri committenti, che è più dura) che la fotografia in montagna ha queste caratteristiche, prendere o lasciare. In alternativa, non resta che assecondare la tentazione del signor Berthod e passare al bianco e nero.

Michele Vacchiano © 05/2000
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