CIOFEGON: BASTA LA PAROLA
Nascita di un nuovo termine. Forse da suggerire all'Accademia della Crusca?
Agostino Maiello, dicembre 2011

Nel film “I due marescialli”, quello che si conclude con Vittorio De Sica che, inseguendo Totò (il quale, travestito da frate, gli ha appena rubato la valigia), lo chiama con un memorabile “Domenicano? Domenicano?”, c’è una scena in cui Totò si reca ad un bar chiamato Caffè dello Sport e, dopo aver sorseggiato un orribile caffè (in realtà un surrogato), dice: “Questa è una ciofeca, non è un caffè. (…) E non scrivete Caffè dello Sport, scrivete Ciofeca dello Sport!”.

L’uso del temine ciofeca per indicare qualcosa di infima qualità ha origine nell’Italia meridionale, in particolare in Sicilia ed in Campania, ed è probabilmente derivato dal termine arabo šafèq, che indica una bevanda dal gusto pessimo o alterato, ed in generale tutto ciò che è di pessima qualità rispetto alle aspettative. Non sappiamo se e quanto grazie a Totò, oggi il termine è diffuso un po’ in tutta Italia e lo abbiamo sentito adoperare anche a Milano o in Veneto. Perché ne parliamo? Perché circa una quindicina di anni fa, quando avevamo il tempo di partecipare ai gruppi di discussione di Usenet ed in particolare a it.arti.fotografia, eravamo soliti chiamare col termine “Ciofagon” o “Ciofegon” gli obiettivi di scarsa qualità, facendo un gioco di parole (una “crasi”, si dovrebbe dire) tra “ciofeca” ed il classico suffisso –gon, di derivazione greca, spesso utilizzato per denominare obiettivi fotografici (Distagon, Angulon, Variogon…).

Ancora oggi ci capita di leggere qua e là sulla Rete delle frasi in cui si usa Ciofegon/Ciofagon; in alcuni casi lo abbiamo visto nelle lettere che ci hanno inviato i lettori, del tipo: “Salve, vorrei comprare l’obiettivo XYZ, ma ho visto alcune prove e non sono convinto, non vorrei ritrovarmi con un ciofagon, voi lo avete provato?”. Non sappiamo se questi lettori fossero consapevoli di rivolgersi a chi quel termine lo ha inventato; osserviamo però che, usato con l’iniziale minuscola e con funzione nominale, il termine è appunto diventato un vero e proprio sostantivo, col significato di “obiettivo di scarsa qualità”.
E così, dopo decenni di onorata professione, pubblicazioni su libri e riviste, esposizioni alla Biennale di Venezia e quant’altro, al prestigioso curriculum vitae di Rino Giardiello bisogna aggiungere: “inventore del termine “Ciofegon”, indicante una schifezza di obiettivo”. Sic!

Ci sarebbe un altro termine del quale Giardiello rivendica con onore la paternità. Quando, nel 2003, acquistò la sua prima fotocamera digitale, una Sony DSC-707, colpito dalla sproporzione tra l’obiettivo ed il corpo della fotocamera, la ribattezzò “il Pisellone”, nomignolo poi mantenuto anche per i modelli successivi della stessa famiglia (la 717 e la 828). Ovviamente “pisellone” si presta facilmente ad ironie e doppi sensi, come ad esempio avvenne nel corso di un’intervista al comico Gianluca Belardi, che si trova raccontata qui.

Con il pensionamento della 828 e l’avvento delle reflex digitali, il termine Pisellone è caduto un po’ in disuso, per poi trovare nuova linfa in tempi più recenti con l’avvento delle Sony NEX, anch’esse fotocamere dal corpo piccolo e con obiettivi mediamente grandi: il “Pisellone” è tornato!

Agostino Maiello © 12/2011
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