PANORAMA
Un racconto su Vittorio Sella
Pierpaolo Ghisetti, novembre 2011

Vittorio Sella verso la fine degli anni Trenta

Karakorum, 22 Giugno 1909.

- Vittorio, secondo te quanto manca?
- Non riesco bene a valutare le distanze, Erminio, ma penso un paio d’ore. Calcolo che la forcella sia vicina ai 6000 metri.
- Cosa dice Brocherel?
- Cosa vuoi che dica, quello lì va più veloce di un camoscio, sta con noi solo per seguire gli ordini del Duca! Piuttosto, la camera e le lastre sono a posto?
- Ma sì, me lo hai già chiesto dieci volte, ha tutto il coolie dietro di noi.
- E la scatola con i chimici?
- Niente paura Vittorio, l’ho io, ma speriamo che questo benedetto vento diminuisca!
- Eh, qui se ci succede qualcosa non è mica come sul Rosa, pieno di turisti tutti diretti a quella nuova capanna Margherita!
- Ma dai, di cosa ti preoccupi, Brocherel saprebbe trovare la strada verso il campo base come se fosse a casa sua a Courmayeur.
- Dai, ancora un ultimo sforzo!

Vittorio Sella, Erminio Botta, Enrico Brocherel e un portatore balti salgono lentamente verso un colle senza nome. Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi, ha voluto ancora una volta con sé, come documentarista ufficiale della sua spedizione al K2, in Himalaya, Vittorio Sella e il suo fedele assistente, Erminio Botta. Nelle precedenti spedizioni al Ruwenzori in Africa, e al Monte St. Elia in Alaska, la documentazione fotografica di Sella ha propagandato in Italia e all’estero le imprese di quel coraggioso manipolo d’italiani, con immagini spettacolari e impeccabili, che hanno suscitato ammirazione in tutto il mondo.
Già la mattina Sella aveva effettuato alcune riprese al gigantesco K2, la seconda montagna del globo, alta ben 8611 metri, con una piccola Kodak 9x12cm che portava sempre nel sacco.
Sella e Botta, pur allenati da anni d’estenuanti ascensioni e lunghe traversate sul Monte Rosa e nell’Oberland Bernese, faticavano non poco a causa della quota elevata: cercavano di prendere fiato ogni mezz’ora, appoggiandosi alle lunghe piccozze, imponendosi un ritmo costante e graduale. Brocherel invece sembrava non si accorgesse nemmeno del dislivello, del vento e del freddo. Sella, dentro di sé, gli lanciò un’imprecazione: ma di che cosa erano fatte quelle benedette Guide di Courmayeur? Dopo anni di arrampicate sapeva perfettamente per esperienza diretta che era inutile entrare in competizione con quegli stambecchi valdostani!
Dietro il gruppetto degli europei il balti, oberato dal peso della grossa camera e dal cavalletto, incespicava ogni tre passi nella neve farinosa e cedevole.


Himalaya 1

- Ma Vittorio, non bastava portare la Kodak 9x12?
- Sai bene, Erminio, che per la qualità d’immagine che pretendo, la Kodak va bene solo per le istantanee. Con i vasti e composti panorami che ho in mente, ci vuole per forza una camera 20x25.
- Lo so, hai ragione, però che bello sarebbe se un domani inventassero una camera per noi alpinisti fotografi, leggera e tascabile!
- Sarebbe bello avere anche le ali e tornare a Biella volando, invece di farci un mese di navigazione! Sai però, ho sentito dire che in Germania...


Himalaya 2

In quel momento Brocherel, levando la piccozza verso il cielo, lanciò un richiamo: erano arrivati all’apice del colle.
Davanti a loro si stendeva un paesaggio di centinaia di cime scintillanti di ghiaccio, così numerose che contarle tutte era impossibile. In basso il ghiacciaio del Baltoro, coperto di detriti, si allungava come un gigantesco serpente nerastro, mentre dalle valli laterali altri ghiacciai lo alimentavano, rendendo la visione grandiosa ed indimenticabile.
Erano nel cuore del Karakorum: la potenza di quella natura selvaggia e primordiale si dispiegava davanti a quel manipolo d’avventurosi in tutta la propria potenza. Gli uomini avvertirono chiaramente l’indifferenza alla loro presenza di quel mondo minerale, costituito da rocce e ghiacci, provando la definitiva sensazione d’essere dei semplici nulla di fronte all’immenso scenario che sfidava l’eternità. Passo dopo passo erano entrati in un’altra dimensione e, ora che la fatica permetteva una pausa, ne avvertivano tutta l’angosciante verità.
Il mondo che conoscevano, che avevano frequentato per anni, la loro palestra d’uomini e alpinisti, il Rosa, l’Oberland, perfino il Bianco, al confronto, non erano che semplici colline, piccoli giocattoli con cui s’erano trastullati, nell’illusoria convinzione d’avere a che fare con grandi montagne e ghiacciai. Il Cervino, il loro adorato, incomparabile Cervino, in realtà non era che un sasso: posto tra le montagne del Karakorum sarebbe passato quasi inosservato.


Himalaya 3

Erano stati abituati a riconoscere le cime, chiamandole ciascuno col proprio nome, a nominare passi, a dare toponimi precisi ai ghiacciai che attraversavano: qui invece tranne un paio di montagne e di ghiacciai, non esistevano né nomi né riferimenti. Tutto era sconosciuto e terribilmente senza nome.
La drammatica realtà del mondo Himalayano li annichilì in un istante.  
Rimasero immobili per diverso tempo: non avrebbero saputo dire se per recuperare le forze o se schiacciati dalla potenza degli elementi.
Finalmente Botta si scosse: dopo aver tossito ripetutamente per la quota e la fatica, estrasse dal sacco un voluminoso termometro: la temperatura era di soli otto gradi sotto lo zero, ma il vento acuiva sensibilmente la sensazione di gelo.
Mentre il balti erigeva un piccolo muro con le pietre per creare un riparo, gli uomini scesero di poco sull’altro versante, sperando così di trovare un riparo dal vento. Sella si guardò preoccupato i piedi immersi nella neve farinosa: malgrado le tomaie impellicciate che si era fatto costruire appositamente dal migliore calzolaio di Biella, avvertiva qualche sintomo di congelamento. Botta iniziò a piazzare il cavalletto, mentre lui si occupava della pesante Dallmeyer 20x25. Le sei lastre che aveva portato con sé erano arrivate sul colle tutte intatte. Dopo aver estratto l’obiettivo Ross & C. dal suo astuccio, Vittorio l’avvitò attentamente alla piastra anteriore della camera.


Himalaya 4

La quota, la stanchezza, il freddo e il vento rendevano penosa la situazione. Mentre Sella e Botta trafficavano faticosamente intorno alla grossa camera, inserendo con estrema delicatezza le lastre, Brocherel, nonostante il vento, si accese tranquillamente la pipa, fissando quel panorama sconosciuto ed immenso. Per lui, valdostano da innumerevoli generazioni, esisteva solo il Monte Bianco, le altre montagne neanche le considerava; ma in queste lande avvertiva indistintamente una sorta di paura, un istintivo timore, che non aveva mai provato, neanche quella volta che, sul tormentato ghiacciaio del Freney, i suoi compagni Petigax e Ollier l’avevano tirato fuori dal crepaccio in cui era caduto.
Poiché occorreva scattare diverse pose per creare il panorama che Sella aveva in mente di eseguire e siccome ogni posa durava diversi minuti, il vento che faceva vibrare tutto il complesso della fotocamera causava non pochi problemi. Con la sua abituale pazienza Sella calcolava l’esposizione ad occhio, scandendo il tempo col suo cronometro. Dopo circa due ore aveva eseguito solo tre scatti, nei pochi intervalli di tempo in cui il vento aveva concesso una tregua.
Davanti a loro troneggiava, imponente e inaccessibile, la mirabile piramide del K2.

- Tu cosa dici Vittorio, riuscirà il Duca a trovare la via di salita?
- Mi sembra che il K2 sia un osso ben più duro del Ruwenzori, Erminio, e la quota si fa sentire.
- Se non trova la via Petigax, non la trova nessuno, interloquì Brocherel, che parlava preferibilmente solo di montagna. Ma mi sembra che si potrebbe tentare con quell’altra montagna di fronte, com’è che si chiama, signor Sella?
- Bride Peak; sì, in effetti, sembra più facile, anche se indubbiamente più bassa. (Oggi il Bride Peak è più noto col nome di Chogolisa)


Himalaya 5

Le nubi in cielo correvano come impazzite, spinte da un vento che gli uomini non avevano mai visto, né sul Monte Rosa né sul Bianco.

- Allora cosa dici Brocherel, scendiamo?
- Per me, se volete, possiamo stare ancora qui, tanto io mica capisco perché dobbiamo fare tanta fatica per delle fotografie!
- A te cosa piacerebbe fare Brocherel?
lo provocò Botta, strizzando l’occhio a Vittorio.
- Un bel paiolo di polenta col lardo e un fiasco di quello buono, ecco cosa ci vorrebbe!
- Ma queste montagne non ti piacciono?
- Oh, per essere grandi sono grandi, ma io preferisco sempre il Dente del Gigante o le Grandes Jorasses!

Nel primo pomeriggio i quattro uomini iniziarono la discesa nella neve fresca, sferzati da un vento sempre più implacabile. Spesso scivolavano sulle lastre di ghiaccio, nascoste dalla neve fresca. Mentre si manteneva in equilibrio appoggiandosi alla lunga piccozza, Sella era sempre più preoccupato, in quanto ora le preziose lastre impressionate erano costate un’intera giornata di fatiche, e pensare di ripetere quella sfacchinata era semplicemente impossibile.

- Senti Erminio, le lastre sono a posto?
- Le ho avvolte io stesso una per una e impacchettate per bene.
- Sai bene che finché non l’avremo sviluppate non starò tranquillo!
- Dovresti fare come le nostre guide di Courmayeur: Petigax, Savoie e il nostro Brocherel non si preoccupano mai, al massimo si accendono la pipa quando c’è un passaggio difficile!
- Cosa vuoi farci, la responsabilità che ho verso il Duca è grande, e non posso certo permettermi di sbagliare.

Sella, coscienzioso e preciso, avvertiva il peso dell’eccezionalità degli avvenimenti vissuti nelle spedizioni con il Duca degli Abruzzi, e viveva pertanto il suo ruolo di documentarista ufficiale con una sorta di tensione interiore di chi non si può permettere di compiere errori.

- Eh certo, se esistessero delle macchine leggere e veloci, sarebbe tutta un’altra cosa, ci pensi Vittorio?
-
Non credo che noi le vedremo mai, mi sembra difficile che una macchina fotografica abbia una pellicola inferiore al 6x6, se non quelle macchinette per i dilettanti.
-
Vedrai che prima o poi i tedeschi ci riescono, profetizzava Botta.


Everest (8848m) durante un volo Paro (Bhutan) – Kathmandu (Nepal)

Ma ormai per Vittorio Sella era tardi. Aveva deciso che questa sarebbe stata la sua ultima spedizione col Duca. Aveva ormai cinquant’anni e doveva occuparsi delle sue proprietà a San Gerolamo, vicino a Biella. Certo una bella fotocamera, piccola, compatta e magari con ottiche Zeiss……Basta! Ormai era deciso, avrebbe sicuramente continuato ad andare in montagna, ma solo sul Cervino o sul Rosa, ormai non sopportava più quegli strapazzi e la lontananza da casa per mesi interi. Magari avrebbe potuto dedicarsi a quelle strane montagne di roccia chiara, sempre al sole e al caldo, laggiù all’Est, nell’Impero Asburgico, quelle montagne da cui tutti tornavano innamorati. Le Dolomiti.
Forse per Vittorio era arrivata l’ora di smettere di patire al ghiaccio e al freddo.
 Sella fece in realtà in tempo a vedere l’evoluzione delle macchine fotografiche, poiché morì nel 1943. Ma certo le sue fotografie, impeccabili e grandiose, non sarebbero state le stesse se fossero state eseguite con una fotocamera di piccolo formato.
Il colle raggiunto dai quattro uomini quel 22 giugno 1909 è segnato ancora oggi sulle carte del Karakorum come Colle Vittorio Sella.

Pierpaolo Ghisetti © 11/2011
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VITTORIO SELLA
Nato a Biella il 28 agosto 1859, nipote di Quintino, ministro e fondatore del CAI, il Club Alpino Italiano. La famiglia Sella possedeva una nota industria tessile, e l’educazione del giovane Vittorio è indirizzata verso un profondo rispetto del senso del dovere, sia nei confronti della famiglia che del lavoro. Al liceo Vittorio mostra un’evidente predisposizione per le materie scientifiche. Nel 1878, dopo il servizio militare, mentre frequenta la scuola professionale a Biella, nasce l’interesse per la fotografia. Vittorio Besso, affermato fotografo locale, gli presta la prima fotocamera, formato 30x38, con cui Sella realizza, nel luglio del 1879, il suo primo panorama di montagna. Sotto l’influenza dello zio Quintino, Vittorio diviene un grande appassionato di montagna e compie innumerevoli ascensioni su tutto l’arco alpino, alcune delle quali molto impegnative, come ad esempio la scalata invernale al Cervino nel 1882, un vero record per l’epoca. Nello stesso anno sposa la cugina Linda Mosca, da cui avrà quattro figli. Le sue foto, inviate alla Società Geografica Italiana, ricevono la medaglia d’oro.
Tra il 1883 e il 1888 intensifica le campagne fotografiche su tutto l’arco alpino, e le foto ottenute sono vendute in tutto il mondo per illustrare libri e giornali, con riconoscimenti entusiastici anche dell’inglese Alpine Journal. Tra il 1889 e il 1896 compie tre viaggi tra le montagne del Caucaso, riportando immagini di grande valore geografico ed etnografico, tanto che il governo russo lo insignisce con la croce dell’ordine di S.Anna.
Nel 1897 partecipa con il Duca degli Abruzzi alla spedizione al Monte St.Elia in Alaska, e nel 1899 è nel Sikkim con la spedizione Freshfield. A causa dei lunghi e faticosi viaggi affida la cura del suo laboratorio fotografico, presso la tenuta di famiglia di S.Gerolamo, al suo fedele assistente Erminio Botta.
Nel 1905 è ancora col Duca degli Abruzzi nell’avventurosa spedizione al Ruwenzori, in Africa, ma l’apice della sua carriera alpinistica e fotografica lo raggiunge nel 1909, con una nuova spedizione del Duca per tentare la scalata al K2, la seconda montagna della terra, situata nell’inesplorato Karakorum. Con questa spedizione si chiude il periodo avventuroso della vita di Sella, che decide di ritirarsi dalle grandi avventure, in quanto ormai non riesce più a sopportare gli strapazzi e le ansie dei lunghi viaggi. Negli anni a venire si occuperà della famiglia e delle due aziende agricole, una presso Alghero in Sardegna e quella vinicola presso Biella. Tuttavia continua a ristampare con tecniche diverse le proprie fotografie e a tenere in ordine l’immenso archivio, composto da migliaia di lastre. Muore nel 1943.
Nelle fotografie di Vittorio Sella la perfezione tecnica, la scala tonale dei grigi, la scelta dell’inquadratura, l’attesa della luce giusta, si fondono così mirabilmente da far sembrare le sue immagini facili e immediate. Ma se si considerano gli incredibili sforzi fisici e psicologici dei suoi viaggi, autentiche spedizioni di scoperta che duravano diversi mesi, il peso dell’apparecchiatura fotografica, sino a 30 chili, e le difficoltà ambientali estreme in cui occorreva poi eseguire lo sviluppo delle lastre, dalle temperature torride e cariche d’umidità del Centro Africa, ai freddi polari delle cime himalayane, si resta quasi increduli. Non solo per i mirabili risultati, ma soprattutto per la tenacia mostrata da Sella nel percorrere la propria strada di fotografo di montagna, senza mai deflettere pur di raggiungere la perfezione.

Per approfondire l’eccezionale lavoro di Vittorio Sella consigliamo il fondamentale:
DAL CAUCASO ALL’HIMALAYA Vittorio Sella fotografo alpinista esploratore. TCI 1981
Dove sono anche inseriti, a parte, alcuni dei famosi panorami eseguiti con la tecnica degli scatti multipli.

Tutte le foto sono di Pierpaolo Ghisetti con Leica M.