INTERVISTA A MICHELE VACCHIANO
Come si svolgono gli "incontri di Nadir"? Ce lo spiega Michele Vacchiano

Nadir. Allora, Michele Vacchiano, che cos'è un workshop?
Michele Vacchiano. Una volta, quando organizzavo queste cose per il Parco Nazionale del Gran Paradiso, le chiamavamo "gite fotonaturalistiche". Si trattava di accompagnare gli iscritti lungo un itinerario prefissato spiegando loro che cosa c'era da vedere, che cosa poteva essere fotografato e come. Un po' come quando in America trovi le piazzuole panoramiche lungo la strada con il cartello "Fate la foto da qui".

Michele Vacchiano durante un workshop al Parco Regionale della Burcina (Biella). Foto: Giorgio Marchesi.

N. E adesso è ancora così?
M.V. Tutt'altro. Adesso i miei workshop sono più una provocazione che un insegnamento. Lo scopo è demolire le certezze acquisite per costruire una nuova consapevolezza fotografica: quella che io chiamo "rivoluzione copernicana".

N. Ehm... sarebbe?
M.V. Un capovolgimento della mentalità fotografica, un nuovo approccio al comunicare per immagini, se vogliamo una nuova filosofia, che consiste nel mettere al centro del procedimento fotografico non più il soggetto, ma il fotografo. Ne derivano conseguenze sconvolgenti. E' l'inizio di un'avventura della mente che porta molto lontano...

N. Non è questa la sede per approfondire, ma se uno volesse saperne di più?
M.V. Potrebbe visitare il mio sito www.michelevacchiano.com, seguire il link "I workshop" nella frame di sinistra e leggere la pagina "Perché i workshop".

N. Chi si iscrive ai tuoi workshop?
M.V. Chiunque, dal dilettante con la compatta digitale al professionista col banco ottico. L'importante non è il mezzo, ma l'uso che se ne fa.

N. C'è un numero chiuso?
M.V. Assolutamente no, anche perché il numero di iscritti non è mai elevatissimo: di solito si tratta di cinque, sei persone. Ma va bene così, un numero di partecipanti più elevato non mi permetterebbe di prestare a ciascuno la dovuta attenzione. Ognuno ha le sue competenze, le sue esperienze, i suoi percorsi, un livello di crescita fotografica che io devo rispettare, se voglio davvero costruire qualcosa.

N. Per alcuni fotografi, anche molto famosi, workshop significa "io lavoro per i fatti miei e voi state a guardare"...
M.V. Disapprovo incondizionatamente. A volte io non porto neppure la macchina fotografica per poter seguire meglio i miei allievi. Di solito, comunque, lavoro con il grande formato.

N. Ecco, questo è il punto: tu usi attrezzature di grande formato. Si tratta dunque di incontri riservati ai professionisti?
M.V. Assolutamente no. Come ho detto, ai miei workshop partecipano tanto neofiti con la compatta quanto "large format aficionados". Quello su cui io insisto è conoscere i propri strumenti di lavoro, interiorizzarne le procedure d'uso fino a renderle istintive, usare il mezzo tecnico ai limiti delle sue possibilità.

N. Perché allora tu usi il grande formato?
M.V. Le macchine di grande formato sono didatticamente semplici, ideali per illustrare l'essenza del procedimento di ripresa senza che questo venga mediato dalla complessità tecnologica del mezzo. Si capiscono molte cose guardando per la prima volta dentro un vetro smerigliato...

N. E' per questo che sei contrario all'eccesso di elettronica?
M.V. Non sono affatto contrario all'elettronica! Solo che quanto più un apparecchio è complesso e in grado di fare tutto da solo, tanto più c'è il rischio che l'utilizzatore si impigrisca, lasci fare ai circuiti senza intervenire creativamente. In questo modo otterrà le foto che vuole la macchina ma non quelle che vuole lui. Ho anche notato che molti utilizzatori di macchine sofisticate e complesse (per non dire inutilmente complicate) tendono ad armeggiare per interi minuti prima di capire come impostare un parametro o come far funzionare il flash in fill-in.

N. E questo è sbagliato?
M.V. Certo, perché in questo modo la macchina diventa un ostacolo, un qualcosa che si frappone tra noi e il soggetto. Invece la macchina deve essere un mezzo trasparente, un'estensione dei sensi, uno strumento dell'istinto. Nulla deve ostacolare il dialogo, o se vogliamo il rapporto dialettico, che si instaura tra fotografo e soggetto. E' come quando si guida: l'autista esperto è concentrato sulla strada, non sul mezzo; non si chiede quando cambiare marcia: lo fa e basta, perché l'auto è divenuta un'estensione del corpo e della mente.

N. Per questo tu insisti nel conoscere a fondo la propria macchina...
M.V. Certamente: soltanto così ne faremo uno strumento di creatività.

N. E' vero che dopo i tuoi workshop alcuni si sono "convertiti" al grande formato?
M.V. Sì, è vero. Sono coloro che hanno scelto la creatività totale e incondizionata, la fotografia intesa nella sua più genuina accezione di opera d'arte. Altri hanno rinunciato alla reflex tuttofare per rivolgersi a reflex meccaniche, riscoprendo così il piacere di scegliere in totale libertà come fotografare. A giudicare dai risultati, direi che il loro stile è migliorato non poco.

N. Il sistema zonale fa parte del tuo insegnamento?
M.V. Sì, anche se chi non fotografa con pellicole piane può applicarne la prima parte, quella relativa alla ripresa. In ogni caso io insisto molto sul fatto che la scelta della corretta esposizione non è un dato numerico, dipendente dal responso dell'esposimetro, ma un elemento espressivo. E in quanto tale non si misura, si decide. Per molti è stata un'importante conquista, che ha davvero cambiato il loro modo di fotografare.

N. Come si svolge la giornata-tipo?
M.V. Di prima mattina ci si ritrova nel luogo dell'appuntamento, dove ognuno giunge con i propri mezzi. Una breve sosta al caffè serve ai partecipanti per conoscersi e presentarsi, e a me per illustrare la mia "rivoluzione copernicana": un buon modo per motivare e "caricare" i miei allievi. Poi si parte per l'escursione vera e propria. Si tratta di solito di una breve e facile camminata, studiata per consentire ai partecipanti di affrontare il tema fotografico del giorno. Si pranza al sacco, oppure in qualche trattoria lungo la strada, e si finisce nel tardo pomeriggio.

N. Ecco, appunto, le trattorie. Ci è stato detto che a volte i tuoi workshop si colorano di interessanti spunti enogastronomici...
M.V. E' vero, io sono attento anche a questi particolari. Sono convinto che per fotografare un luogo bisogna saper entrare in contatto anche con la cultura materiale della gente che ci vive, una cultura fatta di modi di costruire, di stili abitativi, di usi e costumi, ma anche di vini e cucina. Soltanto quando si entra in contatto con il "genius loci", lo spirito del luogo, come dicevano gli antichi, si riesce a trasformare in fotografia creativa quella che diversamente rischierebbe di rivelarsi una fredda, banale cartolina.

N. E' per questo che i tuoi workshop si svolgono prevalentemente nel nordovest?
M.V. Sì, è anche per questo: il Piemonte, la Liguria e la Valle d'Aosta sono le regioni che conosco meglio, non solo dal punto di vista paesaggistico ma anche da quello storico e culturale. Così mi è più facile studiare un percorso dotato di tutte le necessarie caratteristiche.

N. Conti di organizzare incontri più impegnativi dei soliti workshop di una giornata?
M.V. Sto organizzando seminari di un weekend, dal venerdì pomeriggio alla domenica sera. Ne darò l'annuncio ufficiale non appena avrò definito tutti i particolari tecnici e logistici.

N. Come si fa per venire a conoscenza delle tue iniziative e partecipare ai tuoi incontri?
M.V. Nulla di più semplice: la programmazione (di tre mesi in tre mesi) compare sul mio sito, su Nadir e su alcuni altri siti di fotografia, oltre che sulle principali riviste del settore. Per iscriversi, basta telefonare (entro il giovedì sera precedente l'incontro) al numero 0114371674, che è semplicemente il mio numero di casa. Il costo per una giornata è di € 30,00 a persona. Si paga il giorno dell'incontro. I partecipanti devono lasciarmi i loro dati (compreso il codice fiscale) per permettermi di spedire poi a casa la fattura.

N. Bene, sei stato esauriente e preciso. Crediamo che sia tutto... Allora, buon lavoro!
M.V. Grazie, anche se - dato il modo in cui si svolgono i miei workshop - sarebbe più appropriato augurare "buon divertimento!"

Redazione di Nadir © 11/2002
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