LE RAGIONI DEL CUORE
Come e perché fotografiamo, ed altre divagazioni
Vitantonio Dell'Orto, gennaio 2007

Nadir Magazine ©

Un fiore (Geum rivale), soggetto tanto a portata di mano quanto carico di grazia.

"Come fotografiamo è ben più importante di cosa fotografiamo".

Recentemente un amico ha scritto questa frase semplice e diretta su una sua presentazione, laddove per "come" si intende un certo approccio, un modo di concepire la fotografia, più che la tecnica utilizzata. Franca e vera come solo le asserzioni apparentemente banali sanno essere, ha avuto molti riscontri positivi nel pubblico, e mi ha condotto ad una riflessione sul suo significato più profondo (a proposito, grazie Erminio).
Suona prima di tutto come un invito ad un approccio meditato e consapevole, più riflessivo sul nostro fotografare, con un peso maggiore dato all'interpretazione, allo studio e alla tecnica di rappresentazione. E se questo è vero, com'è vero, si pone subito un'altra questione, strettamente legata: perché fotografiamo la natura? Cosa ci induce a sorbirci lunghe attese (spesso vane), disagi, avversità meteorologiche, faticose camminate, costi e pesi non indifferenti? La risposta è ovviamente personale, ma credo di interpretare il pensiero della maggior parte dei fotografi naturalisti se affermo che lo facciamo perché vogliamo stabilire un contatto.

Certo, esistono motivazioni accessorie: la competizione con il soggetto, se parliamo di fotografia di animali (chi mi legge sa quanto la trovi sbagliata); il conseguimento di un risultato esteticamente ed emotivamente apprezzabile ed apprezzato dagli altri; persino la genuina soddisfazione di fissare in immagine un bel ricordo. Fondamentalmente però si cerca una relazione con l'ambiente, si aspira a vivere in pienezza la sensazione di appartenenza a ciò che amiamo, la Natura, e il piacere dell'osservazione e della scoperta di forme, colori, sensazioni che probabilmente non avremmo conosciuto in modo così intimo senza il pretesto di fotografarle. Ne consegue anche che la buona fotografia paradossalmente prescinde dal soggetto, e che non occorre percorrere migliaia di chilometri per ottenere buone immagini, anche se ovviamente il fascino degli ambienti naturali inconsueti o la maggior facilità di approccio alla fauna costituiscono spesso, e giustamente, un forte richiamo per molti; in primis il sottoscritto, che si sente cittadino del mondo proprio perché suddito di un regno naturale che è ovunque.
Basterebbe uscire da casa e dedicarsi a quello che, persino nel nostro paese vessato da una scarsa cultura naturalistica, è possibile trovare nel raggio di qualche decina di chilometri, e che proprio per questa sua contiguità è tanto più fragile e minacciato, e meritevole di attenzione. Il valore di una foto non sta nell'esotismo del soggetto, e nemmeno nelle difficoltà superate. Conta l'anima, la magia che il fotografo ha saputo infonderle, l'emozione che è riuscito a trasmettere.

La fotografia naturalistica va vissuta come un momento di passione e di amore, una liturgia che ci avvicina all'assoluto delle cose naturali. Un'occasione di crescita, di consapevolezza, di nuova attenzione per la Natura dovuta all'osservazione finalizzata allo scatto; tutto questo é più importante del soggetto che avremo scelto e del luogo dove l'avremo trovato, e persino della qualità finale dei nostri sforzi fotografici, della nostra bravura. La fotografia diventerà allora un mezzo, e non un fine, l'interfaccia ideale attraverso la quale posare un occhio diverso su quello che ci sta intorno; non fosse che per questo, mi spingo a dire che probabilmente ci farà diventare persone migliori.

Vitantonio Dell'Orto © 01/2007
Pubblicato su Oasis ne L'Arzigogolo n.162