L'HO SCANNATA, APERTA, CROPPATA E RIDOTTA IN GEIPÈG
Il nuovo linguaggio dei fotografi digitali
Michele Vacchiano, luglio 2008

Chi sta parlando non è un serial killer, che descrive le sevizie inflitte alla sua ultima vittima, ma un tranquillo fotoamatore, marito e padre esemplare, che si riferisce al trattamento di un'immagine. Eppure nemmeno lui è del tutto innocente. Il suo delitto è parimenti grave e la sua vittima illustre è... la lingua italiana!

Rino Giardiello © 2008Noi italiani tendiamo – si sa – ad essere un po’ esterofili e adottiamo volentieri parole straniere senza tradurle.

Prendiamo ad esempio la parola mouse.
Gli spagnoli lo chiamano ratòn, cioè “topolino”. Loro hanno preso la parola inglese e ne hanno fatto un calco semantico, cioè hanno dato un significato nuovo a un termine già esistente nella lingua spagnola per colmare una lacuna lessicale (cosa che avviene spesso nel campo della scienza e della tecnologia).
Noi invece abbiamo fatto un prestito (o imprestito) linguistico, cioè abbiamo semplicemente preso la parola straniera e l’abbiamo inserita nel nostro lessico. Il prestito può in questo modo configurarsi come un tipo particolare di neologismo.
Di per sé non è un male: dopo tutto è sintomo della vitalità e dell'elasticità di una lingua.
E non è nemmeno una novità. Lo facevano anche gli antichi romani quando usavano parole greche per fare gli snob (e il greco – vedi caso – era per il mondo antico quello che per noi è l’inglese).
Anche perché spesso non c’è proprio alternativa, nel senso che la traduzione è impossibile o inopportuna.

A parte il fatto che chiamare “topino” il mouse ci farebbe un po’ ridere, come tradurremmo la parola scanner?
Nemmeno il vocabolario risolve il problema.
Il dizionario Hazon-Garzanti (edizione 2003), traduce scanner come “analizzatore d’immagini”, “periferica per scansioni”.
Cioè, in pratica, traduce il termine con una definizione, un giro di parole che sarebbe scomodo usare in pratica: “Ho acquistato un nuovo analizzatore di immagini”. Ma non facciamoci ridere!
Per cui adoperiamo pure il termine scanner, come del resto suggerisce lo stesso dizionario.
Ma qui cominciano i guai, perché dal sostantivo scanner (sostantivo verbale derivato da to scan) noi pretendiamo di creare il verbo, secondo una procedura grammaticalmente anomala e del tutto scorretta.
Per cui ecco il complicato scannerizzare, l’improbabile scansire, il ridicolo – oltre che macabro – scannare, mentre dal sostantivo scansione si fa derivare il verbo scansionare (ma di solito sono i nomi che derivano dai verbi, non viceversa!).
Eppure questa volta il verbo italiano c’è, e non richiede nemmeno un prestito o un calco linguistico. Il Vocabolario della lingua italiana dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana (Treccani), edizione 1994, alla voce Scandire recita (punto 4): “In informatica e nella tecnica delle comunicazioni, eseguire l’operazione di scansione (v.)”. Obbedendo a quel “v.” e andando a controllare Scansione leggiamo (punto 2, parte a): “In informatica e nelle tecniche di telecomunicazione, analisi o campionamento di un’immagine (per es., del quadro trasmesso per televisione o del foglio trasmesso per telefax), che si esegue scorrendo in un ordine prestabilito, per es. riga per riga come nella lettura ordinaria, gli elementi (o pixel) nei quali si vuole scomporre l’immagine, e determinando con appositi sensori per ciascuno di essi i parametri rilevati (che per l’immagine televisiva sono, per es., la luminanza, il contrasto cromatico ecc.) che, trasformati in segnali analogici o digitali, possono venir registrati o trasmessi a distanza; il procedimento di scansione è spesso indicato col termine ingl. di scanning (v.), mentre sono detti scanner i dispositivi che realizzano la scansione. Molto discutibili sono i tentativi di adattare i due anglicismi in ital., rendendo rispettivamente con scannare il verbo to scan, e indicando con scannerizzare (da scanner) l’operazione di eseguire una scansione”. Più chiaro di così!

Dal canto suo, il “vecchio” Devoto-Oli, edizione 1971 (!), definisce Scandire come (punto 2): “Nelle telecomunicazioni, eseguire l’analisi dell’immagine da trasmettere, decomponendola in un gran numero di punti”, mentre lo Zingarelli del 1984 recita (punto 3): “Esplorare, mediante un fascio elettronico che passa in sequenza per ogni punto, linea o campo del mosaico di un tubo per telecamera, o dello schermo di un tubo televisivo”. Definizione tranquillamente adattabile al campo dell’analisi dell’immagine digitale.

Per cui, cari fotografi, smettetela di scannare (sgozzare), scansire (sistemare nelle scansìe?) e scannerizzare (del tutto inesistente), e limitatevi una buona volta a SCANDIRE!

Michele Vacchiano © 07/2008
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