SECONDO PIA
Un dilettante di grande formato
Michele Vacchiano, gennaio 2005

Il nome del fotografo astigiano Secondo Pia (1855-1941) è strettamente legato, nella storiografia ufficiale, a quella fotografia della Sindone che rivelò per la prima volta la sua natura di negativo fotografico. Questo privilegio ebbe però una contropartita sgradevole: il fatto che ogni altra attività di Secondo Pia venisse messa in subordine, e quasi dimenticata, a favore di quell'unico episodio.

Ritratto di Secondo Pia.

La cripta della chiesa romanica di S. Anastasio, fotografata dal Pia subito dopo la sua scoperta.

Piazza del Duomo a Torino durante l'ostensione del 1898.

La macchina con cui Secondo Pia fotografò la sindone.

L'interno del duomo di Torino durante l'ostensione del 1898, fotografato da Secondo Pia.

Il volto dell'uomo della sindone così come apparve a Secondo Pia dopo lo sviluppo delle lastre.

In realtà il Nostro ebbe una vita ricca e densa di avvenimenti: avvocato, amministratore pubblico, membro di varie società, Secondo Pia fu soprattutto un fotografo dilettante.
Non si pensi alla connotazione negativa del termine. Dilettante è colui che si occupa di fotografia per diletto, e cioè per passione. Libero dalle costrizioni e dalla routine cui è costretto a sottostare il fotografo professionista, egli è libero di intraprendere un suo cammino di crescita fotografica, dedicandosi ai soggetti e ai generi che più lo appagano e che più stimolano la sua creatività, raggiungendo spesso risultati superiori - in termini qualitativi - a quelli di molti professionisti.
Secondo Pia fu dunque un dilettante, di quelli che oggi verrebbero definiti "fotoamatori evoluti". Ma non volle mai mettersi in mostra, ed anche per questa sua innata (e molto sabauda) ritrosia egli è oggi meno conosciuto di quanto meriterebbe.
Le sue "campagne fotografiche" costituiscono oggi un archivio di insuperabile valore per ricostruire la storia urbanistica e architettonica del Piemonte. La sua straordinaria capacità tecnica, unita a una non comune sensibilità estetica, dipingono quadri vivi e dinamici della vita del territorio. Un territorio con cui mantenne sempre stretti legami, non solo come fotografo ma anche come amministratore (fu consigliere comunale e sindaco ad Asti) e soprattutto come uomo. Oggi le sue fotografie sono conservate non solo presso l'Archivio storico comunale di Asti (Fondo Pia), ma anche presso il Museo nazionale del cinema di Torino (Mole antonelliana), la Confraternita del SS: Sudario, la Soprintendenza per i Beni Artistici e storici del Piemonte, la Biblioteca Reale di Torino e il Seminario vescovile di Asti.
Il suo interesse per la fotografia maturò negli anni grazie agli insegnamenti dello zio materno Orazio Mussi, che lo iniziò alla difficile arte e che al compimento della maggiore età (1876) gli regalò il primo apparecchio fotografico. Fu un amore a prima vista che durò tutta la vita e che lo portò a conseguire risultati di elevatissimo livello qualitativo. Una passione che lo sostenne sempre e gli permise di affrontare le fatiche, non indifferenti, a cui un fotografo ambulante doveva sottoporsi nella seconda metà dell'Ottocento. Pia percorreva il Piemonte a bordo di un carro trainato da buoi, sul quale era montato il laboratorio necessario alla preparazione e all'immediato sviluppo richiesti dalle lastre al collodio umido. E nonostante questo, con un "understatement" tutto piemontese, egli chiamava "ricreazioni" le sue estenuanti campagne fotografiche, che lo portarono persino a risalire la Valle d'Aosta alla ricerca di monumenti e luoghi fino ad allora negletti e sconosciuti. Edifici, chiese, ma anche affreschi e particolari quali mobili, portoni e serrature costituivano i suoi soggetti preferiti. La sua opera costituisce di fatto un censimento del patrimonio culturale piemontese realizzato con mentalità e criteri decisamente moderni. Prima di partire studiava luoghi e architetture documentandosi su guide e pubblicazioni varie; aveva creato una rete di informatori in grado di segnalargli luoghi, oggetti e siti di particolare interesse; intratteneva una fitta corrispondenza con sindaci, parroci e persone in vario modo esperte dei luoghi che intendeva visitare. Per ogni soggetto fotografato, poi, compilava una scheda minuziosa contenente informazioni tecniche ma anche storiche ed artistiche. Di lui rimangono 6000 negativi in bianco e nero, 2500 diapositive in bianco e nero, 300 diapositive a colori realizzate da lastre Autochrome Lumière, che egli utilizzò fin dalla loro comparsa sul mercato agli inizi del Novecento.
Provenendo da una famiglia nobile e facoltosa e svolgendo un'attività forense, Pia poteva permettersi un hobby costoso, dal quale di fatto non ricavò alcun utile. Regalava con generosità le sue fotografie, accontentandosi delle soddisfazioni derivanti da un lavoro ben fatto.
In occasione dell'ostensione del 1898, don Natale Noguier de Malijai, insegnante di fisica presso il liceo Valsalice, suggerisce al barone Antonio Manno di chiedere a re Umberto I il permesso di fotografare la sindone. All'epoca Pia era presidente di un sodalizio di "cultori dell'arte fotografica", aveva 43 anni e 22 anni di esperienza alle spalle. Noto per la sua integrità e la sua dirittura morale, era anche considerato un fotografo abile ed esperto, specializzato non solo nella fotografia di monumenti, ma anche nella fotografia in interni in condizioni di scarsa illuminazione. Casa Savoia, preoccupata dei risvolti economici che la vendita delle fotografie avrebbe potuto implicare, fu dapprima incerta se concedere l'autorizzazione, ma alla fine cedette, non solo per le insistenze del barone Manno, ma anche perché Pia si assunse l'onere economico dell'intera operazione rinunciando, per di più, ad ogni diritto sulle fotografie.
Fotografare la sindone non fu facile. Il lenzuolo era illuminato da due fari elettrici: una novità assoluta per l'epoca ma una vera incognita per il fotografo: come avrebbe reagito l'emulsione a quella luce del tutto inusuale? E soprattutto, come regolare i contrasti e come supplire alle irregolarità di illuminazione che i due fari generavano sul soggetto? Pia ebbe l'idea di anteporre ai fari due vetri smerigliati, in modo da diffondere e uniformare la luce, e nel pomeriggio del 25 maggio impressionò le prime lastre di prova. Ma dopo i primi due scatti il calore dei fari provocò la rottura dei vetri smerigliati e Pia dovette interrompere il lavoro.
Lo sviluppo delle prime due lastre fu sufficiente al fotografo per comprendere appieno l'importanza del suo lavoro: un volto umano, in positivo, aveva preso forma sulla lastra di vetro: la sindone altro non era che un gigantesco negativo fotografico! La sera del 28 maggio Pia portò a termine il suo lavoro e i primi risultati furono confermati.
Così lo stesso Pia descrive la sua scoperta, in una memoria inviata, in francese, ad Arthur Loth che la pubblicò in un suo articolo del 1907, La photographie du Saint Suaire de Turin, p. 17-21: "Esposi due lastre cm 50x60, una con posa di 14 minuti e l'altra con posa di 20 minuti, usando un obiettivo Voigtländer con diaframma da due millimetri. Anteposi all'obiettivo un filtro giallo molto chiaro usando lastre ortocromatiche di marca Edward sviluppate in una normale soluzione di ossalato ferroso, senza alcuna speciale preparazione chimica che potesse in qualche modo alterare l'abituale risultato dello sviluppo. Chiuso in camera oscura, tutto intento al mio lavoro, ho provato una fortissima emozione quando durante lo sviluppo [avvenuto in luce di sicurezza perché la lastra era ortocromatica, e quindi in grado di rendere visibile la formazione dell'immagine, NdT] ho visto per la prima volta apparire sulla lastra il sacro volto, con tanta evidenza che ne rimasi stupito e anche lieto, perché da quel momento potevo avere la certezza del buon esito della mia impresa."
Il nipote di un aiutante del Pia, che lo attendeva fuori della camera oscura, racconta così l'evento: "Sulla soglia della camera oscura era il Pia. Con le mani stringeva la grande lastra ancora gocciolante di fissativo. Fattoglisi incontro mio nonno fu colpito dalla strana espressione del suo volto. Abbassò gli occhi sulla lastra e vide. In piedi, uno di fronte all'altro, i due non riuscivano a staccare lo sguardo da quell'immagine negativa meravigliosa che per loro esperienza fotografica doveva essere in negativo e invece... Fu il Pia a rompere per primo il silenzio: Varda, Carlin, se sossì a l'è nen un miràcol!" (Guarda, Carlino, se questo non è un miracolo).
Negli anni successivi Pia non si vantò mai della sua scoperta, dichiarandosi il semplice strumento, molto fortunato, di una rivelazione che comunque prima o poi sarebbe stata fatta. Purtroppo, nonostante la sua dirittura morale, dovette anche difendersi da basse insinuazioni che "mosse da persone disinformate e in malafede" tentarono di screditare il suo lavoro dipingendolo come una volgare truffa. La mentalità di coloro che si rifiutano di accostare l'occhio al cannocchiale di Galileo è dura a morire.
Oggi, sulla facciata della casa dove Secondo Pia sviluppò le prime lastre, si possono leggere queste parole, incise su una lapide: "In questa casa, il 25 maggio 1898, l'avv. Secondo Pia sviluppò la prima fotografia della Sindone. Qui accorsero, richiamati dalla sorprendente rivelazione del negativo fotografico, autorità e studiosi per rendere omaggio alla grande capacità dell'instancabile e disinteressato fotografo del Piemonte e della Sindone. Il 25 maggio 1998 la Confraternita del SS. Sudario di Torino pose questo ricordo".

Michele Vacchiano © 1/2005
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