GIAN LUCA SILVAGNI
Professionalità e passione nello sport
Redazione, ottobre 2016

Non bastano una buona reflex ed ottime ottiche per fotografare lo sport. Occorrono anche tanta passione e spirito di sacrificio, improvvisazione e la capacità di prevedere l’attimo che sarà. Gian Luca Silvagni le ha e ci ha voluto raccontare, con umiltà ed un pizzico di ironia, una sua giornata tipica prima e durante una partita. Gian Luca e la sua esperienza "a bordo campo".

Sono davanti al palazzetto, a Rimini il palasport Flaminio lo chiamiamo amichevolmente così, è qui che giocano i Crabs, squadra del Rimini Basket che milita in serie B. Ma dove vado che è ancora chiuso? Sono in largo anticipo come sempre, è importante arrivare prima, ma io esagero. Amo lo sport e fotografarlo dovrebbe essere una bella occasione per seguire le partite da una posizione privilegiata, ma se fai foto la partita non te la godi: vivi l’intensità di una azione nel momento in cui rifiati e poi giù di nuovo a testa bassa.

Bello così. Forza, ora si entra, è aperto. Il palazzetto è magico, per i colori per i ricordi per la gente, lo frequento da quando ero piccolo tra concerti dei Pooh con mio fratello e partite di pallacanestro e pallamano. Sono dentro. Sono emozionato come se fosse la prima volta: un buon segno che la professione non è diventata routine. I primi minuti sono dedicati all’ambientamento, mi guardo intorno, valuto, scruto, se non conosco il palasport mi faccio un giro inquadrando il campo da diverse posizioni, al palazzetto non è necessario. Ok sono della partita… dov’è rotolato il tappo?

Gian Luca Silvagni fotografia sportiva

Rimini 2016, l’ingresso in campo di Francesco Foiera, la bandiera dei Crabs.

E’ capitata l’occasione e l’ho colta al volo. Alla soglia dei cinquanta ho scoperto quanto sia bella la fotografia sportiva e quanto abbia sbagliato nel non considerarla prima. Fotografare lo sport significa valorizzare persone che si impegnano per qualcosa di importante, tese a raggiungere un obiettivo, attraverso un gesto atletico, una smorfia, una tenerezza, non importa la sigla “A, B, C…” l’agonismo non è classificabile, è trasversale alla categoria. Nelle foto che faccio ricerco me stesso, dirla così sembra difficile da digerire se dall’altra parte dell’obiettivo c’è una alzatrice di vent’anni o una guardia alta due metri, ma lo scopo è questo, riconoscersi riflessi nel mondo e negli altri, e quando Stanislao Farri dice: “Fotografo principalmente per me… se poi le foto piacciono agli altri bene, altrimenti che se le facciano loro” non ha tutti i torti. Può sembrare un pensiero egoista ma è onesto, ha il pregio di porre sullo stesso piano chi la foto la fa e chi la vede.

La tensione sale, il palasport pian piano si anima. La punta del piede sfiora il campo di gioco, ci sono, sono a bordo campo. Inizio una sorta di riscaldamento fingendo di fotografare situazioni particolari, ma è un modo per verificare i settaggi della macchina, individuare le varie situazioni di luce e memorizzare nella testa le coppie tempo/diaframma e provare e riprovare affinché sia tutto in ordine.

Gian Luca Silvagni fotografia sportiva

Rimini 2016, l’allenatore Andrea Maghelli durante un time out.

Impostazione rigorosamente manuale dei tempi, dei diaframmi, degli ISO e della temperatura colore. Non ammetto che sia la macchina a decidere per me, lei si deve occupare esclusivamente della messa a fuoco e non le chiedo altro, una messa a fuoco veloce e precisa. Nella fotografia sportiva indoor ci sono tante variabili, la quantità di luce tra il centro del campo e i bordi, la qualità della luce, la presenza o meno di luci miste, di pareti colorate che introducono le dominanti, non quelle col frustino il body e la maschera ma quelle più subdole che rovinano, non sempre, una foto. E’ importante conoscere in modo approfondito gli strumenti di lavoro, mi riferisco soprattutto al menu delle reflex che si adoperano, all’occorrenza bisogna essere in grado di apportare modifiche velocemente senza commettere errori e soprattutto rimediare agli inconvenienti che possono presentarsi all’improvviso: rimani a bocca aperta, perdi l’azione decisiva o agisci svelto. A questo proposito una fotocamera di scorta non guasta mai.

Un altro fattore importante da curare è l’aspetto. Cercare di essere presentabili perché si è lì ed io stesso, per quanto insignificante possa essere rispetto alla partita, non sono invisibile e, anche volendo, non passo inosservato vista la stazza. Questo all’inizio era un problema tant’è che non mi azzardavo a bordo campo e cercavo di restare fuori dagli sguardi del pubblico. Poi pian piano son sceso a valle, una bella terapia di gruppo. Inoltre fa caldo. Sì, anche in inverno… Fa caldo. Ma guarda fuori fa freddo… Fa caldo. Sulle gradinate hanno il maglione… Ti dico che fa caldo e si suda. Scarpe comode per rimanere in piedi ore e ore, vestiti comodi per muoversi a proprio agio, acqua appresso e caramelle balsamiche che agevolano la concentrazione.

Siete pronti?

Gian Luca Silvagni fotografia sportiva

Rimini 2016, Francesco Foiera.

E’ il momento. Agitazione in corso. Il dito è pesante. Voglio una foto parte la raffica. Alzati dito!

L’andamento emozionale è quello di un fiume. Incomincio con una discesa tra le rapide, arrivo alla cascata e poi mi faccio trasportare dolcemente dalla serpentina del fiume fino a valle. Superati i primi 5 minuti la concentrazione cancella tutto il resto e si entra in simbiosi con la partita. E qui casca l’asino. Conoscere lo sport che si fotografa, la squadra, i giocatori, è un immenso vantaggio. Conoscere anche il carattere dei giocatori di una squadra permette di portare a casa foto “diverse”.

E’ un work in progress continuo. L’autocritica è essenziale, la selezione delle foto lo è altrettanto. Tirar fuori 20 scatti da 500 non è per niente facile e quelli sbagliati alla fin fine sono pochi. Cestinare! Cestinare! Cestinare! Non mi riferisco al Playmaker. E’ il motto di chi proviene da anni di fotografia analogica dove cestinare non significava “delete” di un file digitale ma realmente buttare frame di pellicole o plasticoni di diapositive. Significava privarsi fisicamente di qualcosa e faceva male. Chi ha superato questa fase è più propenso a cancellare giga e giga di file col solo movimento del dito, il più delle volte lo stesso che ha scattato la foto.

Gian Luca Silvagni fotografia sportiva

Rimini 2016, la grinta di Luca Toniato, guardia dei Crabs.

L’attrezzatura? Per questo tipo di fotografia lo strumento è importante per avere un file di qualità. Provengo da anni e anni di foto a 100 ISO in priorità di diaframmi, ora non scendo quasi mai sotto i 6400 ISO con tempi che variano da 1/400 a 1/1000 sempre e solo a tutta apertura. Obiettivi luminosi super costosi ultra pesanti? No, grazie. In APS-C temo che un F/2.8 faccia la differenza soprattutto nelle palestre poco e male illuminate, ma su FF non lo ritengo una priorità con i sensori di oggi. Il peso complessivo tra corpo macchina, obiettivo e impugnatura verticale (ci vuole) deve essere sopportabile visto che si lavora per molte ore sempre “sul pezzo”, con la fotocamera puntata costantemente addosso a qualcuno.

Ora scusate, la partita è finita, me ne torno a casa. Mi aspetta una nottata digitale, saper sviluppare in camera chiara il RAW è l’altra faccia della medaglia. Cestinate gente cestinate!

Gian Luca Silvagni © 10/2016
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Colgo l’occasione per ringraziare di cuore Massimo “Max” De Dominicis, Daniele “Well Done” Robotti, Manolo “Guru” Todini, Roberto Pronti, Marcello Guerra, Mariano “Matrix” Trissati, Italo Bastianelli e Aldo Danti. Ognuno di loro mi ha aiutato ad essere dove mi trovo adesso.

Gian Luca Silvagni fotografia sportiva

Rimini 2016, azione in attacco di Leonardo Battistini, Crabs Rimini.

Gian Luca Silvagni, classe ’65, riminese doc, è cresciuto a piadina e fotografia, dedicandosi da anni alla fotografia sportiva con passione e professionalità. E' possibile vedere una selezione di foto nel suo sito web dove ci sono anche tutte le informazioni per contattarlo. Altri articoli di Gian Luca Silvagni pubblicati su Nadir Magazine li potete trovare sotto "Fotografare lo Sport".