FUR: UN RITRATTO IMMAGINARIO DI DIANE ARBUS
Rino Giardiello, novembre 2006

Più che un ritratto immaginario (molto immaginario!) della famosa fotografa americana, è un interessante ritratto della società americana degli anni '50 e '60. Atmosfere fiabesche, da gothic novel, per un film in cui la fotografia si fa metafora di evasione e di scoperta del 'diverso'.

Nadir Magazine ©Fur. Pelliccia. Ma in questo caso è sinonimo di curiosità, perché è la curiosità che spinge la trentacinquenne Diane Arbus, tipica moglie e madre dell'America borghese e benpensante degli anni '50 e '60, a fare visita al nuovo vicino di casa che occulta le sue fattezze sotto strani cappucci. Il motivo di questo celare la sua identità dietro una maschera, è presto detto: l'uomo appartiene a quella categoria di "diversi" che spesso hanno affollato i baracconi dei circhi; affetto da ipertricosi, è interamente ricoperto di peli. Una fitta pelliccia lo rende inaccettabile, 'sbagliato' e quindi da emarginare; "mostruoso" agli occhi della gente di quella società.
E' un film-metafora, denso di simboli che chiedono di venir interpretati alla luce dei concetti di diversità e ribellione alla tirannia del conforme: la Arbus è solo un pretesto. Se vi recherete al cinema sperando di vedere la famosa fotografa al lavoro, o sperando che si parli comunque di fotografia, senz'altro uscirete delusi dalla sala: fate finta che la Arbus non c'entri per niente e che si tratti di una donna qualsiasi che un giorno inizia, non senza timore, a guardarsi intorno e dentro se stessa - "diversa" anche lei e non certo per colpa dell'aspetto fisico - e che la fotografia sia una terapia, lo strumento per esorcizzare la paura. La ricerca del deforme diviene mezzo per affermare la propria diversità; la fotografia, mezzo di riscatto per la donna relegata da una certa società ad un ruolo stereotipato (sintomatico l'abbigliamento della Kidman all'inizio del film: ingessata negli abiti delle donne americane dei primi anni '60, diventa più spigliata e meno vestita man mano che il film procede).

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Alcune scene del film

E Diane Arbus?
Il titolo stesso, pur essendo onesto, può risultare fuorviante: più che "Un ritratto immaginario di Diane Arbus" doveva intitolarsi "Come - forse - nacque la Arbus fotografa", perché è solo di questa prima fase che si tratta. Ma - ripeto - la Arbus e la fotografia sono solo il pretesto per un film intelligente e ben realizzato – forse un po' 'ruffiano' in alcune parti, in cui viene sfruttata la sensualità e la carica erotica della Kidman per tenere alta l'attenzione dello spettatore - che affronta argomenti di una certa importanza: la diversità, i pregiudizi, l'emarginazione, i modi di comportarsi "perbene ed adeguati" a seconda dei ruoli, del sesso e dell'età. Il tutto, dipinto con toni e luci da Novella Gotica (perché non "La Bella e la Bestia"? Lionel gli somiglia in maniera incredibile). Il film mantiene una notevole tensione nella prima parte, grazie ai campi stretti ed ai passaggi selettivi su diversi piani di messa a fuoco. Una ricerca dei dettagli, nascosti nell'oscurità e nelle sfocature, prima, portati alla luce man mano che si va avanti con il film. Anche le inquadrature diventano più larghe, la profondità di campo più estesa e le scene più luminose, sino all'apertura totale della scena sull'oceano.

All'inizio del film viene dichiarato per ben tre volte che la storia è inventata, ma intanto il nome della Arbus è stato fatto a partire dal titolo ed è difficile per lo spettatore separare l'immagine e le idee della fotografa reale dalla timorosa e affascinante Nicol Kidman, repressa, in crisi e piena di voglia di trasgredire. Mancano del tutto la creatività della Arbus, il suo saper guardare e fotografare il diverso senza commenti, senza malizia e - soprattutto - senza pietismi: il "diverso" è mostruoso solo se lo si ritiene tale. Poca fotografia, in sostanza, in un film che vale comunque la pena di vedere, come una fiaba, raccogliendo con la fantasia i simboli che il regista ci propone: una chiave, una scala che sale verso l'ignoto e un oceano infinito nel quale tuffarsi per sempre.

Rino Giardiello © 11/2006
Riproduzione Riservata

Regista
Fur è il terzo lungometraggio di Steven Shainberg ed è stato film d'apertura alla I Edizione della Festa del Cinema di Roma del 2006. Suo primo film Hit Me nel 1996, presentato al Toronto International Film Festival. Nel 2002 ha diretto Secretary, film acclamato dalla critica, una storia d'amore ricca di humour nero basata su un racconto di Mary Gaitskill.

Scheda
Titolo originale: "Fur: an Imaginary Portrait of Diane Arbus"
Regia: Steve Shainberg
Sceneggiatura: Erid Cressida Wilson
Interpreti: Nicole Kidman, Robert Downey Jr., Ty Burrel
Durata: 122 minuti
Montaggio: Keicho Deguchi, Kristina Boden
Musiche: Carter Burwell
Scenografia: Amy Danger
Fotografia: Bill Pope
Paese, Anno: USA, 2006
Produzione: River Road Entertainment
Distribuzione: Nexo