LAVORO IN MOVIMENTO
Lo sguardo della videocamera sul comportamento sociale ed economico al Mast
Redazione di Nadir, febbraio 2017

MAST. GALLERY, BOLOGNA, 25 GENNAIO – 17 APRILE 2017. LAVORO IN MOVIMENTO, REALTÀ IN MOVIMENTO. TESTO DI URS STAHEL, CURATORE DELLA PHOTOGALLERY MAST E DELL’ESPOSIZIONE

MAST Bologna Lavoro in movimentoIl lavoro è in movimento, e con esso la realtà in cui viviamo, il fondamento della nostra esistenza, la nostra identità, la nostra autostima e la sicurezza in noi stessi. Tutto sembra essere in movimento, come se sedessimo sul dorso di una tigre senza avere la più vaga idea di quale sia la destinazione del nostro viaggio.

Se finora il racconto delle trasformazioni in atto è passato attraverso un percorso scandito dalla narrazione fotografica, in questa mostra sono i video a darne una rappresentazione visiva. Mediante l’interpretazione filmata della realtà, l’occhio della videocamera testimonia la mutabilità di un mondo – quello del lavoro e della produzione – in rapida metamorfosi, descrivendo in modo immediato e coinvolgente cambiamenti, evoluzioni e rotture.

Harun Farocki / Antje Ehmann propongono novanta video girati in quindici città diverse. Labour in a Single Shot (2011-2014) attinge dagli albori della storia del cinema. Ispirandosi a uno dei primi film mai realizzati, La Sortie de l’usine Lumière à Lyon (1895), nel quale i fratelli Lumière mostravano con una sola inquadratura operaie e operai all’uscita della fabbrica, Farocki e Ehmann hanno visitato quindici grandi città e in collaborazione con video- artisti e operatori locali hanno prodotto oltre quattrocento cortometraggi sul tema del lavoro. I filmati, girati in un unico piano sequenza, presentano il lavoro retribuito e non retribuito, materiale e immateriale, tradizionale e contemporaneo, industriale e preindustriale, il tutto da una doppia prospettiva: da un lato le azioni individuali, dall’altro il contesto sociale coercitivo in cui queste si compiono.

Yuri Ancarani esplora il lavoro invisibile, mostrando nei suoi tre video – Il Capo (2010), Da Vinci (2012) e Piattaforma Luna (2011) – individui intenti a svolgere compiti estremamente delicati. Nel primo il capo delle cave di marmo di Carrara con un elegante gioco di mani fornisce ai suoi uomini indicazioni precise quanto rischiose. Dirigendo la sua orchestra con gesti sublimi sullo sfondo delle vette e degli strapiombi delle Alpi Apuane, l’uomo lavora in un frastuono assordante, che nell’opera suona tuttavia come un paradossale silenzio. Nel secondo un chirurgo opera con il sistema Da Vinci, muovendosi nell’interregno fra il corpo e la macchina. Nel terzo i ricercatori degli abissi a bordo della loro capsula subacquea discendono lentamente verso il fondo degli oceani. “Volevo seguire da vicino una professione così estrema”, dice Ancarani. “Abbiamo vissuto per tre giorni in una camera iperbarica sotto una pressione elevatissima insieme ai sommozzatori, che sono stati i nostri attori. Abbiamo mangiato e dormito con loro, a volte respirando elio e parlando con un tono di voce distorto come Duffy Duck. È stata un’esperienza molto intensa. Spero di essere riuscito a restituirla nel film”, spiega l’artista.

L’opera di Ali Kazma è incentrata sul lavoro nelle sue diverse forme: il lavoro manuale presso le officine Alessi (Household Goods Factory, 2008), l’azione meccanica degli impiegati d’ufficio (O.K., 2010), la produzione ipertecnologica di automobili in uno stabilimento Audi (Automobile Factory, 2012). Kazma e Ancarani si concentrano entrambi sul ritmo del lavoro, dei lavoratori all’opera, dei loro gesti, cercando di catturare la “musica” che ne scaturisce. I video di questa mostra mettono in luce il cambiamento fisico in atto nel mondo dell’industria, vagano senza sosta negli impianti che si svuotano, mentre in altri luoghi le macchine continuano a battere e fischiare e in altri ancora la produzione procede nel silenzio assoluto, ma a ritmo vertiginoso e ad altissima precisione. Queste opere ci accompagnano attraverso realtà produttive semideserte perché completamente digitalizzate, così come in fabbriche abbandonate e ormai in disuso. Ci offrono immagini intense degli ambienti di lavoro e di commercio più diversi: dall’attività artigianale di un singolo individuo alla produzione di massa, dal lavoro umano a quello robotizzato, dalla produzione di energia a quella di beni e servizi high-tech, dallo sviluppo del prodotto alla contrattazione commerciale, dalle sfide di natura legale alle questioni strutturali ed esistenziali legate al sistema economico e alle sue forme di organizzazione collettiva della vita e del lavoro.

In Empty (2006), Willie Doherty riprende un palazzo per uffici vuoto a Belfast. Spostandosi tutt’intorno munito di macchina fotografica, l’artista scatta innumerevoli fotografie che monta poi in un film. Vediamo l’edificio con la vernice che si stacca dai muri e le parti metalliche aggredite dalla ruggine, nel mutare della luce al passaggio delle nuvole che coprono il sole. Il lento orbitare del punto di vista trasforma progressivamente l’immobile in un simbolo del vuoto, del passato, dell’inutilità legati al momento in cui il lavoro si ferma e le fabbriche chiudono.

In Factory (2003), Chen Chieh-jen tratta il crollo dell’industria tessile avvenuto a Taiwan a cavallo del 2000. L’artista racconta: “Negli anni sessanta, a seguito delle politiche della Guerra Fredda e grazie al basso costo del lavoro, Taiwan è diventata un importante centro industriale a livello mondiale. A partire dagli anni novanta, le sue industrie ad alto impiego di manodopera sono state via via delocalizzate verso zone in cui il costo del lavoro era ancora inferiore come conseguenza dei fenomeni di globalizzazione. La riduzione dei posti di lavoro e la chiusura delle fabbriche di Taiwan hanno costretto molti operai a una prolungata condizione di disoccupazione. Nel 2003, ho proposto a molte donne che avevano lavorato negli stabilimenti dell’industria di abbigliamento Lien Fu per più di vent’anni di interpretare in questo filmato il loro vecchio ruolo di operaie, in quella che era stata la sede della loro attività”. Poiché le donne erano disponibili a collaborare al video a patto di non dover parlare, questa sorta di re- enactment del lavoro nella ex fabbrica di tessuti somiglia a una pièce teatrale muta, messa in scena nei capannoni, tra gli oggetti abbandonati dopo la chiusura.

La produzione robotica di alta precisione nello stabilimento Audi del video di Ali Kazma e la fabbrica in disuso di Chen Chieh-jen sono messe a confronto con la videoinstallazione di Pieter Hugo, che mostra su dieci monitor l’orrore della discarica di Agbogbloshie, alla periferia di Accra, capitale del Ghana. L’opera, dal titolo Permanent Error (2010), si presenta in forma di reportage fotografico, libro e video. Qui si stagliano sugli schermi dieci individui che ci guardano, alle loro spalle intere distese di rifiuti elettronici, computer usati, rottamati da migliaia di persone. “Bruciano queste apparecchiature finché i fili metallici dei cavi non sono messi a nudo, e così le materie prime più pregiate presenti nei chip e nei circuiti stampati. Niente di tutto ciò è privo di sostanze tossiche, la lista pressoché infinita di quelle che finiscono nell’acqua, nell’aria e nelle mani di questa gente va dal piombo al cadmio, dal mercurio al cromo. E non esistono indumenti di protezione, per dirla tutta non esistono nemmeno attrezzature. L’era dell’informatica e l’età della pietra entrano in una collisione inarrestabile” (Freddy Langer, “Frankfurter Allgemeine Zeitung”).

A conclusione della mostra, uscendo dalla PhotoGallery, troviamo infine Flocking di Armin Linke (2008, con Ulrike Barwa- nietz, Maša Bušic, Irene Giardina, Herwig Hoffmann, Johanna Hoth, Giuseppe Lelasi, Samuel Korn, Renato Rinaldi, Marc Teuscher). Il progetto, a metà strada tra ricerca scientifica e produzione artistica, è stato elaborato nel corso di una collaborazione tra il Centro per la Meccanica Statistica e la Complessità (SMC) dell’Università La Sapienza di Roma, lo ZKM (Centro per l’Arte e la Tecnologia dei Media) di Karlsruhe e le facoltà di Fotografia e Media Art 3D dell’Università delle Arti e del Design di Karlsruhe. Grazie all’uso innovativo di tecniche di ripresa e visualizzazione in 3D, i risultati della ricerca dell’Università di Roma ci offrono nuove conclusioni sul comportamento degli stormi di uccelli. Il video mostra le traiettorie dei singoli uccelli quando volano insieme. I dati che risultano da queste immagini fortemente suggestive sono interessanti non solo per i biologi e i fisici, ma anche per gli economisti, i sociologi e per noi tutti, fornendo delle risposte alla domanda: come vivremo e lavoreremo insieme in futuro?

Oggi la realtà viene percepita come un insieme di piani paralleli che si affiancano, si susseguono, si sovrappongono. La mostra ne traccia un resoconto visivo attraverso una selezione di video che si configurano come piccole galassie, nelle quali la singola opera ha un valore autonomo ma trova il suo significato soprattutto in relazione alle altre, di cui diventa di volta in volta commento, critica, o tacita risposta. Per essere compreso a fondo e assimilato, il percorso espositivo richiede del tempo in più rispetto alla norma: ciascun visitatore è invitato a trovare il proprio ritmo. Solo così l’intensità spesso toccante, la forza e la ricchezza di queste immagini in movimento potranno restituire con forme, meccanismi narrativi e linguaggi visivi diversi, l’evoluzione del mondo del lavoro e della nostra vita.

Urs Stahel, curatore della photogallery MAST © 02/2017
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