MILANO E IL CENTRO FORMA
Una passeggiata in cerca di una Milano un po' più "vera", tra stereotipi che crollano, guglie che ancora reggono, grandi eventi culturali e qualche indirizzo sicuro per gli appassionati di fotografia.
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L'interno di un vecchio tram che con il suo sferraglìo rende caratteristico il paesaggio urbano milanese.

Sono partita con la testa infarcita di pregiudizi, i soliti, quelli più triti e scontati, sufficienti però a farmi rimandare di anno in anno una visita a Milano per la poca voglia di dover affrontare, nell'ordine: 1. i milanesi (non me ne vogliate, in fondo neanche noi fiorentini godiamo di buona reputazione!) 2. il caos frastornante 3. la freddezza del luogo (intesa come generale disposizione "morale" della città) 4. lo smog. La sorpresa più grande è stata vederli cadere uno ad uno, vuoi per l'innegabile clemenza metereologica - niente nebbia! -, vuoi per l'effettiva natura di giudizi affrettati e stereotipati.
Per quanto riguarda i milanesi: nelle mie quattro giornate, la quasi totalità dei contatti - dal posto in cui dormivo, a quelli in cui ho mangiato, dai commessi dei negozi ai semplici passanti a cui è capitato di chiedere qualche informazione - erano meridionali, o immigrati dai quattro angoli del mondo; pertanto archivio la pratica, riservandomi il beneficio del dubbio, per insufficienza di "prove": è difficile incontrare milanesi, a Milano. Il caos, senza dubbio ci sarà, come quasi in ogni città un po' più estesa: ma, non essendomi trovata nell'obbligo di farmi un giro turistico in tangenziale, posso dire che, da semplice visitatrice, Milano mi ha accolto con una sana vitalità, e la frenesia un po' sopra le righe di certi angoli della città è stata ben accetta, in quanto parte integrante e fondamentale della personalità tipica di Milano. Oltre a questo, c'è da dire che le piccole "oasi" di pace assoluta si trovano facilmente: una per tutte, lungo il tragitto che vi porta dalla Pinacoteca di Brera al Castello sforzesco, via dei Fiori Chiari è un piccolo salottino calmo e pacifico, dove se il tempo è bello potrete rifocillarvi alla "Fagotteria di Brera" (al n° 26), un minuscolo negozietto dove - ma và?! - si parla meridionale e si mangia una pizza alle zucchine che è la fine del mondo, seduti sulle panchine appena fuori dalla porta.

L'idea poi che Milano sia solo lavoro lavoro e ancora lavoro (e relativo benessere materiale), senza concessioni appena un po' più poetiche o almeno leggermente più "rilassate", mi pare una cosa totalmente ininfluente nel tratteggiarne negativamente i contorni più intimi. E' una realtà innegabile, geneticamente impressa, ma più che in ogni altro luogo qui vale il detto Il mondo è bello perché è vario! Questo banale - ma saggio - motto è l'unica via di scampo che ho trovato per evitare quella leggera nausea al cospetto di "personaggi tipici" quali per esempio signore simil-aristocratiche impellicciate con insopportabili cagnetti al seguito - dotati anch'essi di cappottino - che guardano tutto e tutti dall'alto in basso, o improbabili giovani "rampanti" tutti travestiti da Costantino (e se questo nome non vi dice niente, stringetevi la mano anche da parte mia, e ritenetevi graziati). Ora che ci penso, questa ultima considerazione sugli autoctoni modifica leggermente l'archiviazione della pratica "Milanesi" di cui sopra… ma sorvoliamo! Anche perché a ben vedere, una grossa fetta dell' "anima" di una città - la più tenace e profonda - si crea anche contro la volontà stessa degli abitanti. Milano, per sua e nostra fortuna, non è solo questo. A tal proposito, rimandiamo ogni altra divagazione e atterriamo nei pressi del simbolo di Milano per eccellenza: il Duomo.

Nadir Magazine ©Il Duomo
Come promesso, si è presentato ritroso e impacchettato, con quella facciata che di rado si concede, sempre impegnata in un continuo maquillage e coperta da grandi teloni bianchi, come si conviene ad ogni vera star. Ma è facile prenderlo alla sprovvista, arrivando da dietro, da piazza Fontana: da lì la sua magnificenza di marmi grigi e rosa si coglie impreparata, e non ha tempo di sfuggire allo sguardo, come un'apparizione, che tanto poco ha a che fare con il resto dell'architettura. Sarà il colore tenue, sarà la leggerezza tipica dello stile tardogotico, ma il Duomo sembra davvero sorgere dal nulla, come sospeso su una nuvola, svettante tra i tetti, come un immenso sospiro di sollievo che coglie di sorpresa. La Veneranda Fabbrica che l'ha fatto sorgere è realmente "veneranda": 600 anni ci sono voluti, dalla prima pietra posta, nel 1386, fino alla conclusione dell'opera, tra continue incertezze e ripensamenti (anche se in realtà la Veneranda non avrà mai fine, viste le continue opere necessarie per salvaguardarlo dai deleteri attacchi dell'inquinamento e delle vibrazioni del traffico e della metropolitana). Un record! Ma ben venga la lentezza, se il risultato è questa sterminata foresta di guglie, pinnacoli e statue (circa 3400, queste ultime, arrotondando per difetto), questa magia dei più disparati colori di una delle tante meravigliose vetrate che si riflettono, in un freddo pomeriggio di gennaio, sul grigio di uno degli imponenti pilastri, all'interno, come un immenso caleidoscopio di luce; questa estensione monumentale, che ne fa la terza chiesa della cattolicità per superficie (dopo San Pietro e la Cattedrale di Siviglia). Incredibile come l'atmosfera riesca a sopravvivere anche nonostante le agghiaccianti luci al neon attaccate un po' ovunque all'interno della chiesa (uno dei tanti interventi a beneficio dei "turisti", che con spietata leggerezza uccidono letteralmente l'anima dei luoghi). Sembra che, nei pressi dell'abside, sia conficcato uno dei chiodi della croce: in alto, molto in alto, così che neanche gli imperatori potessero arrivarci, per sottrarlo e farne ornamento alla loro corona. Non so dirvi quanto sia attendibile, ma questo particolare, raccontato da un distinto signore "d'altri tempi" appassionato di storia, sull'intercity Milano-Bologna, al di là dell'indubitabilità, mi è sembrato alquanto suggestivo. E la suggestione vive di vita propria, non ha bisogno di prove, e questo è il suo bello.

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Andrea Mantegna, Compianto su Cristo morto.

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I tre volumi della pubblicazione Contrasto che accompagna la mostra.

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"Ago e filo", scultura di Oldenburg e Van Bruggen in piazzale Cadorna.

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La caratteristica "alba viola" milanese.

La prospettiva si ribalta, volendo, e dall'alto si guarda in basso, con la stessa emozione, salendo (ascensore o scalette angosciantissime e non adatte a stomaci deboli) sul Duomo. Proprio "sul", praticamente a cavalcioni. Non ci si limita ad affacciarsi ad una terrazzina appositamente resa accessibile al visitatore, ma si può esplorare in lungo e in largo quel bosco di marmo, fino ad arrivare al tetto vero e proprio, alla sommità, per abbracciare tutta Milano: gru, ciminiere fumanti, grattacieli, McDonald's (40 in tutto). Da lassù tutto sembra più bello e quasi più "giusto", ti guardi intorno e pensi "eccola qua, Milano. Uomini d'affari e grandi menti del Risorgimento, modelle e santi. Prendere o lasciare", e forse più che in ogni altro angolo si coglie la doppia identità della città, si scorgono le contraddizioni e vi si ragiona su con animo predisposto alla sintesi pacifica, con quei santi eterni che vigilano dall'alto, non sulla città degli affari e del business, ma su quel patrimonio immenso di storia e cultura, su quella particolarissima poesia pragmatica di cui Milano a modo suo è portatrice. La Storia la percepisci, lassù in cima, impigliata tra quei ricami di pietra, rimasta lì a sventolare e a sfidare l'affievolirsi della memoria. Un'America in miniatura, dove da sempre si è arrivati rincorrendo la scia di un sogno: che si trattasse di un Ideale, di un posto di lavoro o del successo: Milano è gonfia delle speranze di generazioni. Questo, forse più che ogni altra cosa, la rende una Grande Città. 

Le mostre
Si sa che il lavoro genera ricchezza, ed è proprio grazie a questa che la città distribuisce a piene mani stimoli culturali sempre nuovi e freschissimi: è incredibile il numero di mostre ed esposizioni di ogni tipo che affollano i palazzi e le avveniristiche sedi espositive sparse un po' ovunque: da Caravaggio alla storia del panettone, dal Rinascimento alle avanguardie novecentesche, un cartellone che continuamente si rinnova. Per non parlare poi del patrimonio impareggiabile delle collezioni permanenti dei vari musei, dai più grandi ai più nascosti e sconosciuti, chissà perché così bistrattati. Per me, abituata a vedere le code chilometriche fuori dagli Uffizi, sembra impossibile entrare a Brera senza avere neanche una persona prima di me alla biglietteria! Brera è il Cristo morto del Mantegna, è anche solo una piccola sala (la XXIV) in cui si resta a bocca aperta e quasi ci si commuove (almeno, a me ha fatto questo effetto) trovandosi accolti da tre capolavori assoluti di Piero della Francesca, Raffaello e Bramante, tutti lì, insieme, raccolti vicini a formare una impareggiabile pagina di storia dell'arte. Del Cenacolo di Leonardo non parlo: quando un'opera d'arte si trasfigura in Simbolo, non ha più senso parlarne bene o male: semplicemente "è", e tanto basta (il consiglio che vi do è di partire però con un due mesi almeno d'anticipo per prenotare la visita, dato che la prenotazione è obbligatoria e a quanto pare tutti i turisti che approdano a Milano si concentrano lì, per poi magicamente volatilizzarsi). Insomma, meta per antonomasia del "viaggio d'affari", Milano si merita occhi più attenti e disponibili alla meraviglia: programmateci un "viaggio di piacere", e vi ricompenserà, grata, costringendovi a tornare per visitare i due terzi di luoghi che non avrete fatto in tempo a vedere la prima volta, talmente tanti sono. 

L'unica delusione l'ho avuta nel quartiere di Porta Ticinese, quello in cui scorre il Naviglio Grande, che collega la città al Ticino, unica via d'accesso dei pregiati marmi del Lago Maggiore che servirono per costruire il Duomo, e che fece per secoli di Milano una "città d'acqua": mi aspettavo un po' di sano pictoresque e invece lo squallore del luogo è davvero senza appello, soprattutto per le acque, assenti, che lasciano il posto ad una melma di fango e ghiaccio lungo tutto il percorso. Ma niente paura: sembra che la situazione sarà ripristinata intorno alla primavera 2006 (almeno questo è quanto risulta dal sito www.naviganavigli.it, che organizza gite lungo il corso del Naviglio, fino ad arrivare a Gaggiano), e si spera che la zona recuperi un po' del suo originario appeal. Già che siamo in zona, spostiamoci proprio davanti alla Porta Ticinese e concediamoci un inaspettato e "marinaro" peccato di gola: nella piazza c'è un banco di pescheria in cui, oltre ovviamente al pesce fresco, potrete concedervi un cartoccio take away di frittura mista di pesce appena fatta da mangiare per strada, calda calda, utile per sciogliere le mani intirizzite dal rigido inverno milanese, ma soprattutto per rendere più piacevole il breve tragitto che da qui vi porta in un luogo che chi si trova a leggere questo articolo difficilmente si farà sfuggire: il Centro Internazionale di Fotografia FORMA (frutto della collaborazione tra la Fondazione Corriere della Sera, la Contrasto e l'ATM Azienda dei Trasporti Milanesi), nella vicina piazza Tito Lucrezio Caro. 

Il Centro Forma
Ricavato da uno spazio che fu parte dell'ancora presente (e ricco di un fascino estremo, soprattutto se vi ci affacciate quando fa buio) deposito dell'Azienda dei Trasporti (ATM), questo spazio si propone come accogliente "casa della fotografia" multifunzionale, zeppo di iniziative ed esposizioni sempre nuove durante tutto l'arco dell'anno. Io ho visitato due mostre che vi si tenevano in contemporanea: Storie di sguardi, un percorso attraverso le immagini, le tecniche e i protagonisti che hanno fatto la storia della fotografia, dai suoi suggestivi esordi pionieristici fino ad Erwitt, e Close Up, una raccolta di immensi e direi anche "impietosi" ritratti in primo piano di celebrità, ritratte nella loro fisionomica nudità di "comuni mortali" dal fotografo tedesco Martin Schoeller.

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Ora, parlarne troppo dettagliatamente forse non ha più molto senso, dato che ahimé (anzi, ahivoi!) le due mostre hanno chiuso i battenti proprio in questi giorni, non foss'altro per evitare di far mangiare le mani a chi di voi se l'è malauguratamente perse. Ma è il caso di spendere due parole per un elogio spassionato del livello qualitativo di queste mostre, nell'auspicabile prospettiva che sia lo stesso che caratterizzerà anche le iniziative future. L'ambiente è davvero accogliente, ben illuminato e strutturato su spazi abbastanza ampi - 800mq - che rendono agevole la visita. La mostra principale, Storie di sguardi, era una vera gioia per gli occhi e per la mente: ricchissima di immagini, alcune delle quali talmente importanti da essere entrate nell'immaginario collettivo (o almeno, sicuramente in quello degli appassionati di fotografia), dipanate una dopo l'altra a tracciare le direttrici fondamentali di una storia di genio e creatività che si sono evoluti di pari passo; ogni singola immagine era corredata da un trafiletto (neanche tanto "-etto" in realtà), un commento esplicativo sull'evolversi di tecnica e "sguardo", curato dallo storico della fotografia Michel Frizot. Non solo la semplice visita di una mostra, quindi, ma una vera e propria "lezione", didattica quanto basta per godere delle immagini con piena cognizione di causa, senza cadere nel pedante. (Per chi di voi volesse godersi le 129 immagini nella comodità del proprio salotto, segnalo l'uscita di un cofanetto, nella collana Fotonote di Contrasto, composto da tre volumetti che ricalcano le tre sezioni che componevano la mostra).

Ma FORMA non è solo mostre (dai grandi maestri della fotografia alle tendenze contemporanee, passando per il recupero degli archivi storici), è molto di più (ci tengo a precisare che relativamente a questo "molto di più" ho scelto di fidarmi sulla parola, non avendo ovviamente potuto "testare" l'intera attività del Centro): c'è la Sezione Didattica, che vive di conferenze, incontri con grandi personalità del settore, workshop professionali (per il 2006 è in programma anche un vero e proprio corso di fotografia, in collaborazione con NABA), presentazioni di libri, dibattiti, visite guidate, e tante originali iniziative anche per i più piccoli, in parallelo con le varie mostre (nella fattispecie, in concomitanza con Storie di sguardi sono stati attivati due laboratori per avvicinare i bambini al "magico mondo" della camera oscura e della comunicazione fotografica: un'iniziativa davvero lodevole!); c'è la libreria specializzata; c'è una sezione, la Printroom, dedicata ai collezionisti, con stampe fotografiche da collezione, contemporanee o vintage, destinate alla vendita, nonché un servizio di expertise rivolto ai collezionisti; ci sono, infine, spazi per ospitare riunioni, convegni e iniziative di studio. Quindi: mettete www.formafoto.it tra i preferiti e tenetelo costantemente d'occhio; o almeno, non mancate di seguire gli aggiornamenti delle Mostre nella sezione apposita su questo sito! (vi anticipo che la prossima esposizione, che aprirà il 25 gennaio, sarà dedicata a Peter Lindbergh, visionario fotografo di moda e glamour).

Libri fotografici
Dalla parte opposta della città rispetto a FORMA, sempre per rimanere in tema di fotografia, vi segnalo la presenza della libreria MICAMERA (via Cola Montano 26, nei pressi della stazione Garibaldi), interamente dedicata alla fotografia (che purtroppo non ho fatto in tempo a visitare), dalle monografie ai manuali, italiani e stranieri, con in più una interessante sezione second hand dove frugare per trovare qualche buona occasione usata. Potete farci un giro subito, anche se virtuale (e anche acquistare on-line), su www.micamera.com .

Ecco, mi sembra proprio che, alla fine, tutti i pregiudizi su Milano siano caduti come tesserine di domino... tranne una: l'inquinamento! Eh no, su quello c'è proprio poco da fare, non c'è interpretazione alternativa che tenga! Eppure, se proprio volessimo scovare una nota positiva anche in questo, credo che ci si possa riuscire, con un po' di buona volontà: obbligatevi ad alzarvi all'alba una mattina - o, a scelta, evitate direttamente di andare a dormire, a seconda delle vostre abitudini - e affacciatevi alla finestra, verso Oriente, in una giornata di cielo sereno: avevate mai visto un'alba così viola? E vogliamo parlare dell'arancione del tramonto? ...Tutto merito delle polveri sottili! Ci intossicheranno pure, ma almeno riescono a farlo con una grazia inaudita!

Ogni viaggio, grande o piccolo che sia, lascia in regalo emozioni sempre più affinate, colori inaspettati, prospettive mutate e parole colte al volo, che una volta di ritorno a casa continuano a farci compagnia, a riportarci alla mente immagini e suggestioni, e perché no ci aiutano a continuare la strada più consapevoli di noi e di quello che ci sta intorno. Perciò, ho deciso di chiudere questo articolo lasciandovi in regalo una frase che mi ha cercata, tra le sale di una delle tante mostre visitate in questi giorni, con la speranza che diventi speciale anche per uno solo di voi, e che insegni a concedere l'appellativo di "prezioso" anche alle cose più piccole, nascoste, marginali:
"L'unica cosa preziosa è ciò che si trova nel momento in cui se ne ha bisogno" (Constant Permeke).

Serena Effe © 01/2006