UGO MULAS

Un piccolo dossier su Ugo Mulas in tre punti:
la biografia, l'attuale mostra a Milano e la recensione del libro "Fotografare l'arte"

Mulas "Fotografare l'arte"Primo punto: piccola biografia.
Ugo Mulas nasce il 28 agosto 1928 a Pozzolengo, Desenzano del Garda. Dopo la maturità classica, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, che abbandona prima della laurea per seguire dei corsi all'Accademia di Belle Arti di Brera. A Milano frequenta il Bar Giamaica, luogo d'incontro di artisti ed intellettuali, momento sicuramente fondamentale per la vita di Mulas e per la sua crescita artistica. È proprio questo il periodo durante il quale comincia ad interessarsi di fotografia.

Nel 1954 inizia la sua attività professionale di fotografo; i suoi soggetti preferiti sono le bidonvilles, la stazione, le periferie di Milano: una fotografia didascalica e ancora stilisticamente immatura. È sempre nell'ambito della cultura milanese che avvia la sua collaborazione con Giorgio Strehler al Piccolo Teatro di Milano. Comincia nel '62 il suo approfondimento fotografico negli ambienti dell'arte: fotografa le sculture di Spoleto nel 1962; David Smith nel suo atelier a Voltri; Alexander Calder a Spoleto e Saché in Touraine nel 1962. Fotografa anche per le poesie di Eugenio Montale "Ossi di Seppia".

Alla Biennale del 1964 incontra Leo Castelli, Alan Solomon e numerosi artisti americani. Possiamo individuare, proprio in questo intenso periodo della sua attività, una crescita contenutistica e formale non irrilevante. Scopriamo il Mulas della fotografia per l'arte, delle sperimentazioni, dell'idea di un'arte fatta per documentare se stessa.
È del 1965 la scoperta della Pop Art, influenza culturale che lo spinge ad andare a New York dove vive a contatto diretto con gli ambienti più in voga della corrente intellettual-artistica americana. L'incontro con Duchamp, Rauschenberg, Newman, per citarne alcuni, si unisce e amalgama ad altri precedenti e fondamentali incontri che completano la crescita dell'artista, dell'uomo, del fotografo.

Nel 1969 immortala le scenografie dell'opera di Benjamin Britten "The Turn of the Screw", dal romanzo di Henry James, per la regia di Puecher alla Piccola Scala di Milano e per l'opera di Alban Berg "Woyzeck", dal dramma di Georg Büchner, regia di Puecher, al Teatro Comunale di Bologna.
Negli anni settanta si ammala gravemente. La malattia lo spinge ad iniziare la serie "Le Verifiche": dodici fotografie, ognuna accompagnata da un testo nel quale ripercorre il suo essere fotografo ed il suo "mestiere di uomo". La fotografia diviene puro mezzo di espressione artistica tra etica ed estetica; un processo, talvolta pretenzioso ed estremamente intellettuale, che individuerà nell'arte il fine stesso dell'arte medesima. Ugo Mulas si spegne a Milano il 2 marzo del 1973.

Secondo punto: mostra "Un Archivio per Milano".
L'esposizione, tenutasi a Milano nel mese di ottobre 2000, presso la Galleria Sozzani, ha inquadrato i punti fondamentali della carriera del fotografo, è stata un omaggio importante al personaggio, all'uomo, all'artista e, più in generale, alla fotografia italiana. Omaggio che certo non dispiace vista la bellezza delle immagini esposte e l'ottima scelta del percorso fotografico fatta dagli organizzatori.

Divisa idealmente in quattro distinte sezioni, la mostra ha ripercorso il lavoro di una vita intera, dalle prime immagini, rubate nella periferia urbana milanese, agli esperimenti degli ultimi anni, detti "Verifiche". Se da un lato vediamo un Mulas intento nel riprendere la quotidianità periferica di una città industriale, foto dure, immerse in un'atmosfera gelida, istintive, forse didascaliche; dall'altra possiamo finalmente scoprire il fotografo che ha ideato, o quasi, un genere, che ha creato una fotografia per l'arte, un'arte fine a se stessa che ritrova la sua massima espressione significativa nella intrusione discreta nel mondo e nella realtà di pittori, scultori, poeti... Vediamo Montale, vediamo Fontana, vediamo Man Ray, Pomodoro e molti altri intenti nella creazione delle proprie opere, nella normalità dei loro ambienti, nella bellezza delle forme che li circondano, li avvolgono e, quelle forme, sono le loro, sono l'arte nata dalla loro mente. Mulas è entrato in questo mondo, ne è entrato come semplice ritrattista e ne è uscito vincente. Artista anch'egli senza troppa filosofia, con la semplicità intuitiva della ripresa fotografica nella normalità assoluta che un'immagine può regalare alla complessità di un'arte.

Cronologicamente per seconda, ma non per esposizione, veniva presentata la serie dedicata all'inaugurazione dell'opera di Christo sul monumento a Vittorio Emanuele in Piazza del Duomo: un reportage compiuto, semplice, convenzionale ma reso estremamente piacevole dalla capacità del fotografo di rendere l'ambiente come fosse un palco, il gigantesco palco di un teatro. Sono immagini ingenuamente teatrali e sta proprio in questo l'originalità di questo reportage.

L'ultima parte della mostra veniva dedicata a quella serie delle così dette Verifiche. Queste immagini sono un omaggio di Mulas alla fotografia stessa, ognuna rappresenta un modo di vedere e di vivere la fotografia. L'intenzione è originale perché muove dal concetto di una fotografia come fine e causa di se stessa, una fotografia che dovrebbe trovare il motivo dell'esistenza in se stessa e per se stessa. Una sperimentazione originale giustificata dal periodo storico, siamo negli anni settanta, ma che trovo estremamente, forse troppo, concettuale. L'esporre una foto non fatta, ad esempio, ovvero esporre il nulla, il vuoto, l'inesistente risulta un esercizio ambizioso che scade nell'intellettualizzazione forzata dell'idea di fotografia. Inquadrare quest'operazione e tutte le Verifiche in un processo di creazione artistica pura non riesce a giustificare l'esasperazione eccessiva delle parole, il tentativo di fare una "filosofia" incerta che fa perdere quella intuitiva semplicità che caratterizza l'arte del Mulas del Bar Giamaica, dei ritratti di Montale, di Fontana, di Pomodoro.

Terzo punto: il libro "Fotografare l'arte".
Osservando questo libro nella sua totalità, guardando con attenzione le fotografie che si dischiudo davanti agli occhi dell'osservatore, analizzandole e capendole, sembra necessaria la domanda, forse retorica, forse troppo immediata ed intuitiva, "che cosa vuol dire fotografare l'arte"?

Risposte teoriche e intellettuali ce ne sono molte, moltissime le ricerche filosofiche intorno alla risposta da dare a questa ipotetica domanda. Sono molte, ma a noi piace pensare che "fotografare l'arte" sia una semplice "coincidenza".

Il tema della "coincidenza" è, secondo me, alla base delle fotografie di Ugo Mulas. Questi sembra riuscire a far coincidere l'arte con l'arte, a tramutare la fotografia in scalpello, in analisi e critica. L'arte di questo fotografo sta nella ricerca proprio di quella sottile linea di delimitazione tra due espressioni artistiche completamente differenti; una linea sottile che non impedisce comunque il raggiungimento di un contatto tra idea e forma o più semplicemente tra "sguardo e forma". Giochi di sguardi si intrecciano tra le pagine di questo libro, ricerche attente e reportage artistico in un mondo, quello dell'arte, chiuso, offuscato, incredibilmente elitario che tiene distanti gli osservatori incuriositi, gli tiene distanti soprattutto nel momento più intenso, quello della creazione. Mulas è andato, è entrato in questo mondo e la sua originalità, non genialità, sta proprio nella ricerca di rappresentare con decisione formale quel momento creativo che coinvolge, privatamente e psicologicamente, l'artista, in questo caso lo scultore. Un momento invisibile ma che il fotografo è riuscito a catturare, a fare proprio, è riuscito a far coincidere con la sua visione dell'arte; arte e arte, fotografia e scultura si amalgamano in sguardi e creazioni; ambienti saturi di ispirazione vengono fotografati con la naturalezza di chi appartiene a quel mondo, di chi nasce in quel mondo, di chi sa che in quel mondo morirà.

Dal punto di vista fotografico, le immagini sono semplici, il più semplici possibili, immediate e, ad un primo e profano sguardo, documentarie. Non è così, o per lo meno lo è fino ad un certo punto, fino a quando l'osservatore non comprende che quella "semplice" visione di sculture non è altro che la reincarnazione dell'emozione del fotografo davanti a tali opere. Lo sguardo di Mulas emerge con prepotenza e decisione, emerge la sua visione di quell'opera e contemporaneamente emerge con forza il suo stile delicato, per nulla invadente, assolutamente neutro e per questo appropriatissimo e fondamentale per le fotografie che ha composto. La parte più interessante del libro, libro difficile da reperire se non in posti specializzati, resta comunque quel "reportage dai luoghi di formazione" ovvero quell'analisi delle atmosfere dei laboratori… quelle immagini che riprendono con delicatezza gli artisti al lavoro.

Andrea L. Casiraghi © 2000
Riproduzione Riservata

    Il libro.
    Fotografare l'Arte, Immagini di Ugo Mulas, opere di Pietro Consagra.
    Introduzione di Umberto Eco.
    Fratelli Fabbri Editore,
    Milano 1972.