INTERVISTA IN ESCLUSIVA A STEFANO NON
Mostra fotografica 'Imago Karalis, Imago Mundi' a Cagliari
Maria Letizia Mereu, febbraio 2016

Foto Stefanon Non ©Questa è una storia di trame, e non solo perché prima della mostra di Stefano Non, sono stata a visitare Animas - Custodi di trame, a proposito, chi può vada a visitarla - merita un articolo a sé, quanto perché ho conosciuto Stefano Non grazie a una sua foto, in rete, dentro un comunicato stampa della mostra, e grazie alla rete ho potuto chiedergli un'intervista, scoprendo in quel frangente che lo stesso conosceva molto bene Nadir Magazine.

Nadir, per chi non ne fosse al corrente fuori dall'universo della fotografia, è un progetto editoriale dal riconosciuto valore di archivio: premiato nel lontano - per il web si può dire - 1998, da "Il Sole 24 ore" come miglior sito nella categoria di Arte e Cultura.
Nadir è un progetto voluto da Rino Giardiello, fotografo e architetto, e fra le altre cose grande estimatore di Gabriele Basilico, noto agli appassionati e non per aver iniziato il suo percorso fotografico con i famosi "Ritratti di fabbriche", immagini che inquadrano il contemporaneo e le sue trasformazioni senza contemplare la presenza umana.

Il suddetto comunicato stampa informava che Stefano Non avrebbe presentato la sua mostra all'EXMA, domenica 14 febbraio 2016. In pieno fasto amoroso, quel giorno, il suo progetto si è poi intrecciato a quello di più arti: il vernissage si è infatti aperto con un interessante convegno multidisciplinare con tema Cagliari metropolitana. La mostra fotografica, esposta nella Sala della Torretta, si propone in una selezione di 12 scatti scelti e resterà all'EXMA fino al 9 marzo; da sottolineare che tale selezione rimanda all'ampio lavoro progettuale condotto da Stefano Non su Cagliari, città dove ha soggiornato per circa un anno e mezzo, e poi confluito nell'articolato contributo alla base della sua tesi di laurea in Scienze della Comunicazione.

Ho chiesto a Stefano se mai fosse stato possibile incontrarsi il giorno successivo, al di fuori dal contesto della mostra. Non perché il luogo fosse insufficiente a spiegare la valenza dei suoi lavori, tutt'altro, come se ne dimostrerà a breve, quanto perché nutrivo il particolare desiderio, dato l'oggetto del suo lavoro, che potesse tenersi all'interno di uno studio fotografico rappresentativo per la città di Cagliari. Città al centro del suo interesse e protagonista assoluta del progetto, come ben si evince dal titolo: Imago Karalis, Imago Mundi.

Maria Letizia Mereu intervista Stefano Non per Nadir presso lo studio fotografico "Agenzia RosasPress" di Mario Rosas. Sequenza fotografica di Valerio Mereu

Maria Letizia Mereu intervista Stefano Non per Nadir Magazine presso lo studio fotografico "Agenzia RosasPress" di Mario Rosas. Sequenza fotografica di Valerio Mereu.

Ci siamo così incontrati presso l'agenzia RosasPress, la cui storia ha origine nell'immediato dopoguerra, per meglio dire nell'aprile del 1946, quando il signor Renzo Rosas inizia la sua attività di fotografo e successivamente la professione di fotoreporter, occupandosi di tutti i settori giornalistici: dalla cronaca alla politica, dallo spettacolo allo sport.
Benché Imago Karalis, Imago Mundi. non abbia a che fare con il fotoreportage, molti dei palazzi fotografati da Stefano Non sono sorti esattamente nell'epoca in cui Renzo Rosas conduceva la sua attività, facendo riferimento a uno studio, il suo, in quella che allora era una periferia, e che oggi ha smesso di esserlo: Fonsarda. Lo studio Rosas, oggi nelle mani del figlio Mario, a sua volta fotoreporter, custodisce un vastissimo archivio fotografico, e parte degli strumenti utilizzati in passato dal padre, e oggi dal figlio che ne ha appreso il mestiere, fra i tanti, il banco ottico. Mi è sembrata una ragione sufficiente per fare da collante fra queste trame.

Stefano infatti non solo è un estimatore di Nadir, non solo è un diretto estimatore di Gabriele Basilico, ma è prima di tutto un giovane e talentuoso fotografo che ha scelto di fotografare Cagliari usando il banco ottico.

La tradizione è quella di Basilico. Immagini tanto mute sul piano della presenza umana, quanto squillanti su quello della rappresentazione dello spazio. Terrene eppure in ascesa verso un'apoteosi stilistica, sublimate dalla totale assenza di linee cadenti. Le sue sono immagini dense di significato. Prorompenti nel più assoluto silenzio. Per questo occorre attenzione: gli elementi di maggiore interesse passano attraverso il rigore compositivo, celati dall'apparente illusione di staticità urlano l'assordante dissonanza di mondi fra loro immiscibili.

Stefano Non racconta la città, Cagliari, per mezzo dei suoi luoghi limite, facendo della frammentarietà un'interessante e singolare cifra compositiva, quella di questo tempo. Il suo più che essere un lavoro di geopoetica è a buon diritto un lavoro di geocritica:  scelta oculata e precisa di studiare lo spazio, ossia il paesaggio, e nello specifico quello urbano, passando - non dal comodo e per certi aspetti tutt'altro che realistico immaginario che codifica la città in lungomare, bastioni, torri e terrazze sul blu - ma dal concretissimo scenario di una lunga e irriducibile frontiera in cui centro e periferia sono insieme eppure distanti, ammesso che sia facile capire quale sia il centro, quale sia la periferia. Colpiscono a questo proposito le numerose immagini dedicate alla rappresentazione di spazi sovrapposti, come per esempio quelli in cui asfalto e sterrato si distendono in un limite che sembra rappresentare il culmine dello spazio confine, del margine, l'espressione più compiuta delle relazioni di prossimità in cui passa il quotidiano della vita urbana, diventando frontiera, ovvero spazio ultimo.

Il suo è un lavoro politico, nella più nobile accezione del termine. Studiando lo spazio inevitabilmente studia i processi simbolici che passano per il confine, gli elementi che vanno dal particolare all'universale, o se preferiamo dal locale al globale, e viceversa, in un sistema complesso dove il ruolo della comunicazione di massa traduce gli effetti dell'umanesimo materialista in un'esplosione di frammenti di storie.
Trame, appunto, scandite dall'ottimo utilizzo di luci e ombre, in un continuo contrasto fra isolamento e affollamento, tanto più accentuato dall'apparente assenza di anime vive.

Imago Karalis, Imago Mundi. del resto porta già tutto nel nome. E con quel nome non fa altro che interrogarci sul potere della storia, sul contemporaneo, sul concetto di identità, ma soprattutto sull'attuale concetto di città. Con quel nome non rivendica altro che esercizio a nuove forme di sensibilità, a nuovi canali di lettura.

Foto di Stefano Non

Stefano, parlaci della scelta di ricorrere al banco ottico

Ho deciso di usare il banco ottico per rendere omaggio allo statuto della fotografia documentaria: desiderando condurre un lavoro documentario ho inevitabilmente ereditato anche i suoi strumenti, ma potrei dire che la scelta ricade su una serie di elementi, alcuni direttamente connaturati allo strumento stesso. Penso ai decentramenti e i basculaggi e alla libertà di giocare e di interagire con lo spazio che questi mi concedono. Ecco, direi che proprio il canale dell'interazione forse è l'aspetto che più mi interessa.

Lo usi con la pellicola o abbinato a un dorso digitale?

Rigorosamente con la pellicola, e va detto che intendo continuare così per tutti i lavori che verranno. È difficile da spiegare se non ricorrendo a un termine tecnico: la pellicola ha "estensione". Così mi ha riferito un amico, un tornitore di lenti, un olandese vissuto nel Seicento. Uno davvero in gamba, pensa, nei momenti liberi faceva il filosofo. È stato lui a convincermi sul suo utilizzo. Insomma è stato così bravo nel farlo che credo sia davvero difficile che cambi idea!

Si dice che il banco ottico vista la lentezza operativa, peso e dimensioni, costringa a pensare all'inquadratura e a ciò che si vuole fotografare prima ancora di "prendere posizione". Lo "sguardo lento" è esattamente il contrario del "cogliere l'attimo". Che ne pensi?

Penso che sono d'accordo. D'accordo sulla contrapposizione e credo non sia il solo ambito in cui la fotografia si sostanzia di ossimori. Di fatto "lo sguardo lento" rappresenta l'esito finale di un lavoro che parte ancora prima di "prendere posizione". In sintesi, nel richiamare la lentezza, comunica l'avere a che fare con il tempo, il tempo atmosferico, il tempo di attesa, il tempo che occorre perché lo spazio sia libero da presenze. 
Vorrei aggiungere che Imago Karalis, Imago Mundi. è un progetto a cui ho dedicato molta attenzione e benché sia un lavoro, quel genere di lavori, che richiede studio, e dunque concentrazione, solitudine, ho desiderato svolgerlo non totalmente da solo. Ogni volta che sono uscito per uno scatto eravamo in due: la mia cagnolina Devendra e io. Devendra è per me una presenza irrinunciabile, più che una compagnia, direi una sorta di protesi, necessaria per consentirmi di familiarizzare coi luoghi. Potrebbe risultare difficile da credere, ma è soprattutto una presenza  funzionale, un'attenta e silenziosa osservatrice. Quando giro in sua compagnia, quando fotografo in sua compagnia, è come se fossi a casa, anche stando fuori casa.

La selezione proposta all'EXMA riguarda 12 scatti scelti su un progetto che in origine ne conta 52. Quale criterio ha guidato la selezione?

Direi che non c'è stato un unico criterio, posso però dire con certezza che quello preponderante riguarda la serialità. La serialità è importante e mi sento di dover citare in proposito il lavoro dei coniugi Becher, attraverso il quale la fotografia giunge per la prima volta al distacco dall'emotività, alla non emozione, in una ripetizione inventariale che ha però il potere di puntare dritto all'inconscio. La fotografia come documento di un'epoca, di un contesto, in questo caso la fotografia come testimone degli scenari urbani.

Foto Stefano Non

Parliamo di Basilico, delicatissimo e potente nel vivisezionare lo spazio urbano creato dall'uomo, nel saperlo misurare senza però mai mettere l'uomo al centro delle sue immagini, che come è già stato detto non prevedono presenze umane. A tal proposito rimandiamo a una sua frase: "Tendo ad aspettare che non ci sia nessuno, perché la presenza di una sola persona enfatizza il vuoto e fa diventare un luogo ancora più vuoto. Mentre se lo fai vuoto e basta, allora diventa spazio metafisico, alla Sironi o alla Hopper". Sappiamo che sei dichiaratamente d'accordo con questa poetica, ma esplicita il tuo pensiero a riguardo.

Imago Karalis, Imago Mundi. esprime la volontà di raccontare Cagliari nei luoghi limite e negli spazi secondari all'architettura, vale a dire in quegli spazi in cui solitudine e contrasti si oppongono alla monumentalità, in quei luoghi in cui lo spazio moderno passa per il caotico labirinto della metropoli, in frammenti che rimandano semmai a luoghi altri dai paesaggi da cartolina, come gli spazi dell'amministrazione, dei servizi, della residenza, per tornare in uno sguardo, stando a Basilico, scevro di ricercatezze. Questo discorso applicato a Cagliari si fa tanto più interessante se si tengono in considerazione particolari come lo spazio di prossimità, l'area vasta, l'insularità, il suo essere città del Mediterraneo, nonché la principale città dell'Isola. Una città la cui immagine ufficiale passa per un'unica identità, quella delle sue migliori e più appetibili caratteristiche e che però sono forse artificialmente connesse fra loro, ma soprattutto dimentiche di nodi, percorsi e riferimenti che hanno contributo a creare l'identità visuale del suo tessuto urbano.

Maria Letizia Mereu © 02/2016
Riproduzione Riservata

Foto Stefano Non

L'Autore
Stefano Non nasce nella cintura industriale lombarda, i suoi primi rapporti con l'immagine automatica sono attraverso il VHS e i film distopici in seconda serata. Diplomato in fotografia al CFP Bauer di Milano, laureato in Scienze della Comunicazione ha lavorato come assistente per diversi studi fotografici milanesi. Dal 2009 è stato adottato da una cagnolina di nome Devendra. È al suo primo lavoro personale.

Nadir Magazine ©La Mostra
Imago Karalis, Imago Mundi. 14 febbraio – 9 marzo, EXMA via San Lucifero, 71 Cagliari - www.exmacagliari.com

Nota
Il titolo si scrive proprio così, come da locandina con il punto finale - Imago Karalis, Imago Mundi. - e Karalis o Caralis è l'antico nome della città di Cagliari.

La leggenda vuole che Karalis sia stata fondata da Aristeo, figlio del dio Apollo e della ninfa Cirene, giunto in Sardegna dalla Beozia nel XV secolo a.C. circa. Aristeo riappacificò le popolazioni indigene in lotta fra di loro e fondò la città di Calaris della quale divenne Re.