LA CITTA' DALLE AIUOLE DI CAVOLI

Visita a Trento, città ridente e tetra insieme; immacolata, sì, ma non troppo. Meta ideale se abbinata ad una delle importanti mostre allestite al Museo MART della vicina Rovereto (purché non ci si dimentichi di salire in cima a Torre Aquila!).

Il titolo di questo articolo potrà sembrarvi quello di un'antica fiaba o leggenda... e invece, stiamo parlando del capoluogo del Trentino-Alto Adige. Ebbene sì: appena scesa dal treno, il primo elemento caratteristico a darmi il benvenuto a Trento - proprio davanti alla stazione, in piazza Dante, in cui campeggia la grande statua del Poeta, simbolo di un'italianità qui strenuamente e drammaticamente perseguita fino alla risoluzione del 1918 -  è stato proprio questo: aiuole di cavoli. Non leziosi e delicati fiorellini, come in ogni altra città, no: ortaggi! Resistenti, autosufficienti, pratici. Oltre ad un'immediata e divertita simpatia, questo inusuale ornamento cittadino mi ha subito smosso qualche antropologica riflessione, portandomi ad individuarlo quale semplice quanto eloquente simbolo di quel funzionale pragmatismo d'alta quota che rotola a valle dalle montagne circostanti: una buona chiave di lettura per avvicinarsi allo spirito della città, insomma.
Il luogo comune secondo cui Trento sarebbe città dalla tempra nordica, efficiente ed impeccabile (quasi si sentisse già l'eco severa delle vicine Austria e Svizzera), trova un saldo riscontro già a poche centinaia di metri dalla stazione, in un crescendo che esplode una volta raggiunta Piazza del Duomo e le strade che le si dipanano nelle immediate vicinanze (via Bellenzani, Manci, Oss Mazzurana...): sono a dir poco ineccepibili. Linde e accoglienti, quasi si trattasse di un set appositamente allestito perché ogni elemento risulti come l'esatta proiezione di un'Idea; vien da chiedersi come facciano, gli abitanti, a vivere quei luoghi ogni giorno, riuscendo nonostante questo a mantenerli così 'immacolati'!
Un'impressione, questa, che credo raggiunga il suo apice proprio in dicembre. Inutile dire, infatti, come l'atmosfera natalizia doni a questa città come un vestito confezionato su misura: le luminarie natalizie e i bagliori dei fiocchi e pacchetti - corredo d'ordinanza di ogni passeggiatore - illuminano di una luce calda e particolarmente gioiosa gli affreschi che ornano le facciate della maggior parte degli antichi palazzi del centro con scene mitologiche e motivi decorativi; poco distante dal Duomo (nella bella cornice di piazza della Fiera), poi, il raccolto mercatino di Natale offre, al di là delle solite cianfrusaglie natalizie, un bouquet di profumi invernali - cannella, zenzero, succo di mela caldo - che riscalda lo spirito un po' immalinconito da un Sole che qui, in dicembre, lavora part-time, congedandosi dietro le montagne già alle 3 del pomeriggio.
 

La severa facciata della Cattedrale di San Vigilio, Duomo cittadino

L'intenso volto di una delle statue facenti parte di un drammatico 'Compianto', all'interno del Duomo

Storditi da questo bagno di letizia che aleggia un po' ovunque, imperioso quanto basta a non ammettere alternative (tanto da farsi quasi opprimente, per chi mal sopporti la retorica delle feste comandate), bisogna entrare a visitare il Duomo per imbattersi in quella severa atmosfera controriformista che la Storia ci ha abituati ad immaginare. La si coglie al primo colpo d'occhio, inoltrandosi nell'ombra antica delle due navate laterali: si inerpica lungo le due anguste e buie scale rampanti, ricavate dallo spessore dei muri e ornate da arcatelle, fino ad arrivare alle due torri campanarie; si confonde tra le incerte figure trecentesche degli affreschi giotteschi narranti le Storie di San Giuliano (ciò che ne rimane - su una parete a sinistra dell'abside - si scorge a malapena, debolmente illuminato da poco più che una luce di candela, quasi come sette secoli fa); e ancora, scava i volti delle due statue cinquecentesche raffiguranti la Madonna e San Giovanni, colti in un disperato compianto. Qui, tra le imponenti colonne di questa Cattedrale consacrata a San Vigilio, si tennero diverse sedute del celebre Concilio, che si protrasse dal 1545 al 1563 nel tentativo, da parte della Chiesa cattolica, di riprendere in mano le briglie di una cristianità sconvolta dalla diffusione degli ideali della Riforma protestante. Qui furono emanate sentenze che aprirono una cesura irresolubile tra protestanti e cattolici, tra mondo latino e germanico, a colpi di scomuniche, accuse di eresia, Indici di libri proibiti destinati al rogo, Sant'Uffizio e Inquisizione: gioverà tenerlo a mente, per 'sentire' più profondamente il luogo che ci accoglie.

Parte della facciata - in restauro - della chiesa di Sant'Apollinare

Ombre 'mistiche' all'interno del Castello del Buonconsiglio

Palazzo delle Albere, sede distaccata del MART di Rovereto

La chiesa di Sant'Apollinare, oltre l'Adige, colpisce con la sua sagoma tipicamente nord-europea

Ad onor del vero, però, va detto che quest'ordine cristallino regna ormai soltanto nella raccolta cerchia del centro; poco al di là di questo, Trento si presenta come una città tutt'altro che graziosa: una diffusa tetraggine vi regna, inevitabilmente decuplicata - rispetto a qualsiasi altra periferia italiana - dai profili scuri e incombenti delle montagne. Lo dico, non per 'smontare' il mito di questa città, sia ben chiaro, quanto per ridimensionarlo realisticamente, al di là di ogni obsoleta suggestione alpino-poetica.
Si prendano per esempio i giardini pubblici di piazza Dante, davanti alla stazione: ogni guida turistica ve li presenterà come idilliaco luogo di passeggio, allietato da due laghetti abitati da colonie di cigni e germani reali. Cigni, anatre e laghetti ci sono davvero, ma sarà il caso di specificare che i laghetti somigliano più a grosse pozzanghere maleodoranti, e i cigni e le anatre son costretti a schivare lattine, bottiglie e ogni altra immondizia che vi galleggi (in perfetto italian style... altro che Svizzera!). E vogliamo parlare della chiesa di Sant'Apollinare? Scorgendola, al di là dell'Adige, si resta incantati dalla sua forma che ricorda le chiese del Nord Europa, sviluppandosi in verticale, con i ripidissimi spioventi del tetto atti a far meglio scivolar giù l'inverno: ma che delusione, avvicinandosi, scoprirla vittima di un'incuria imperdonabile, soffocata da orrendi edifici moderni e dalla circonvallazione che le passa a poco più di un metro di distanza! Stessa sorte tocca alla chiesetta di San Lorenzo (una delle più antiche della città, risalente al XII secolo), strizzata tra la stazione ferroviaria e quella delle autocorriere, il cui sagrato è adibito ad affollato parcheggio: ma entrateci ugualmente, restate per un po' a godervi quell'interno piccolo, spoglio e severo, la cui essenzialità si fa un baffo delle irrispettose esigenze dei 'tempi moderni'.

L'elegante e panoramicissima loggia gotica - all'ultimo piano della parte più antica del Castello del Buonconsiglio - affollata di visitatori

Il panorama che si gode dalla loggia veneziana (sulla sinistra, si scorge il Mausoleo di Cesare Battisti, in cima al Doss)

Il grazioso e curato giardino intorno al Castello, oltre il quale svettano due campanili dall'aria tipicamente 'alpina'

L'imponente mole del Castello vista dal giardino

Concludo questa piccola rassegna di tristi - quanto probabilmente inevitabili - scempi, dirigendomi verso il cinquecentesco Palazzo delle Albere (sede distaccata del Museo MART di Rovereto, di cui parleremo poi). Lo raggiungo percorrendo il brutto viale Sanseverino, incontrando brutti edifici, il brutto stadio e un brutto luna park itinerante: si stenta a credere che questa fosse la residenza estiva 'fuori porta' dei principi-vescovi, nonostante la struttura architettonica - a pianta quadrata con quattro torri angolari e fossato - resti comunque affascinante. Visitandolo, si rivela uno dei musei più deserti in cui sia mai capitata: niente di male (anzi!), se non fosse che questa diserzione da parte dei visitatori mi pare coincidere con una raccolta d'opere e un allestimento assai poco stimolanti (a mio modesto, modestissimo avviso).

Detto questo, è ormai tempo di tornare verso il centro, per far rotta verso un luogo assolutamente da non trascurare come l'imponente Castello del Buonconsiglio, arroccato su un'altura rocciosa: residenza dei principi-vescovi di Trento per oltre cinque secoli, composto da 'blocchi' risalenti ad epoche diverse (dal medioevale Castelvecchio alla secentesca Giunta Albertiana) e successivamente uniti tra loro da camminamenti di ronda, fino a farne un unico, grandioso complesso monumentale. Ci si aggira liberamente tra cortili interni, logge, scale, torri e locali dalle possenti travi e dal pavimento ricoperto da spesse assi di legno scricchiolante, disseminate di meravigliose stufe di ceramica dipinta. Raggiunto l'ultimo piano della parte più antica, si incontrano gli eleganti archi trilobati della loggia gotico-veneziana, tra i quali sostare per godersi un bel panorama della città e delle montagne circostanti, compreso il Doss Trento, una rupe dai morbidi contorni coronata dalla sagoma bianca del Mausoleo di Cesare Battisti (luogo della sepoltura del celebre irredentista fucilato dagli austriaci), e Torre Verde, che salta all'occhio grazie alla maiolica colorata che ne orna il tetto.

Il cortile interno del Castello, risalente ad epoca medievale

La facciata del Castello vista da via Bernardo Clesio. Sulla sinistra si intravede uno dei grandi bastioni circolari; al centro, la loggia veneziana

Dopo averlo girato in lungo e in largo (compresa le celebre loggia affrescata dal Romanino), è finalmente l'ora di dirigersi verso il luogo più prezioso e inaspettato dell'intero Castello: Torre Aquila. Qui l'accesso non è libero, date le dimensioni ridotte (per questo è necessario prenotare la visita, al numero 0461.233770): vi si accede a piccoli gruppetti, 'scortati' da un custode e dotati di un'audioguida che ci accompagnerà nella scoperta degli affreschi qui custoditi (senza dubbio la migliore audioguida che abbia mai avuto modo di sperimentare, realmente un aiuto alla visita, non un pedante intralcio come al solito). Prima di entrare, spendiamo due parole in più sulla storia della Torre. Torre Aquila era in origine una porta della città, struttura indipendente dal Castello: fu il vescovo Giorgio di Liechtenstein che, sul finire del Trecento, la sopraelevò - adibendola a dimora - e la collegò al complesso del Castello attraverso l'innalzamento e la copertura del camminamento di ronda di un tratto delle mura cittadine. Ed è a lui che si deve la creazione di quell'apparato decorativo che la tramutò in uno degli angoli più preziosi e suggestivi di tutta la città.

Il Ciclo dei Mesi è un genere di rappresentazione che abbiamo già imparato a conoscere a Ferrara, visitando Palazzo Schifanoia. Inutile dire come i due Cicli abbiamo però ben poco a che fare l'uno con l'altro, fosse anche solo per la distanza cronologica che li separa: quello di Trento, dipinto quando Umanesimo e Rinascimento erano ancora di là da venire, risulta essere una delle massime espressioni dello stile detto 'gotico internazionale'; e se là ci eravamo imbattuti in figure allegoriche, alchemiche e dalla difficile decifrazione, qui ci troviamo di fronte ad una stupefacente, coloratissima e spontanea resa della semplice quotidianità di ogni giorno, in armonia con l'avvicendarsi delle stagioni. La rappresentazione dei vari mesi si svolge secondo una partizione in riquadri di circa 2 metri per 3, divisi da leggiadre colonnine tortili dipinte; il paesaggio è reso in maniera assai ripida, quasi diviso in terrazzamenti, atti ad accogliere le diverse 'scenette' popolate da nobili e contadini (qui armonicamente amalgamati in un'unica realtà, senza rigide ed aristocratiche contrapposizioni, al contrario di quanto accade di solito), castelli fortificati e umili dimore, animali e piante rigogliose; ogni elemento, dal vestiario agli strumenti di lavoro, è descritto con dovizia di particolari e con un incredibile realismo e fedeltà.
Gennaio, con la giocosa scena in primo piano di un'animata battaglia a palle di neve di un gruppo di nobili, è la prima rappresentazione conosciuta di paesaggio innevato nella storia della pittura murale occidentale. A febbraio ci attende un concitato torneo a cavallo; marzo è l'unico mese mancante, ma aprile e maggio ci ripagano con una natura in festa, popolata da roseti, nobili impegnati in futili schermaglie amorose e banchetti, contadini intenti all'aratura e alla semina.

Gennaio. Questa rappresentazione pare essere la prima - in ambito di pittura murale occidentale - in cui sia ritratto un paesaggio innevato. In primo piano, un gruppo di nobili impegnato in un'aristocratica battaglia... a palle di neve!

Ottobre. E' tempo di vendemmia! Si noti l'accurata fedeltà tecnica con cui viene rappresentato il marchingegno a torchio necessario a spremere l'uva

In giugno, nelle malghe alpestri in legno si munge il latte e si lavora il burro, in luglio invece si falcia e rastrella il fieno, mentre chi se lo può permettere si dedica alla caccia con i falchi; in agosto domina il giallo delle spighe di grano appena tagliate, raccolte in balle e ammucchiate nei granai, mentre un prete, affacciato da un'umile dimora dalla palizzata in legno, benedice il raccolto. A settembre si raccolgono rape, sostituite, in ottobre, da un tripudio di viti da vendemmiare, raccolte entro una serie di rocce dipinte di rosso, di rosa, di giallo (quasi fossero tinte da un perenne tramonto). L'anno si chiude con cacce all'orso, raccolta di legname e ghiaccioli ad ornare i tetti dei castelli. Difficile rendere a parole l'immediatezza e la spontaneità di questi affreschi, la leggerezza armoniosa che trasmettono: l'occhio li percorre con velocità, torna sull'uno o sull'altro mese nel tentativo di carpire quanti più particolari possibile. Si esce dalla Torre (sempre troppo presto!) con l'appagante sensazione di aver speso una ventina di minuti della propria giornata in uno degli angoli nascosti più stupefacenti di tutta Italia. Provate, e poi ditemi se esagero.

E se quanto detto non bastasse a stimolare la vostra curiosità nei riguardi di Trento, sarà il caso di spendere due parole sul MART (il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, inaugurato nel 2002), che non mancherà di suggerirvi sempre nuove occasioni nel corso dell'anno per abbinare la visita della città ad importanti eventi espositivi d'arte. Il MART in realtà non si trova a Trento (se si eccettua la sede distaccata del già menzionato Palazzo delle Albere), bensì a Rovereto, facilmente raggiungibile in 15 minuti di treno, o in altrettanti di macchina.

Uno scorcio dell'allestimento interno del MART, a Rovereto

Vi si accede dalla piazza - parte integrante del Museo -, progettata da Mario Botta, coperta da un'ampia e scenografica cupola a raggiera di vetro e ferro che fa assomigliare l'intera struttura ad una sorta di 'cattedrale dell'arte'. Lo spazio, improntato alla massima funzionalità, dalle linee pulitissime, ricorda i grandi musei esteri di recente costruzione, dall'aria piacevolmente cosmopolita; la vastità ne fa uno dei centri di arte contemporanea più importanti d'Italia. Ma una delle caratteristiche più interessanti è data dal fatto che questo museo non è mai uguale a se stesso: nonostante possa contare su una immensa collezione permanente di opere del Novecento italiano, questa non risulta sempre visibile, ma viene esposta a rotazione, avvicendandosi alle numerose mostre temporanee (di solito ne vengono allestite due o tre in contemporanea), sempre di altissimo profilo. Un motivo in più, di tutto rispetto, per avventurarsi fino a 'quassù'.

Concludiamo, al solito, con qualche suggerimento pratico. Stavolta la mia esperienza di pernottamento incontrerà il favore di quei viaggiatori più adattabili, che amano viaggiare leggeri (portafoglio incluso). A duecento metri dalla stazione ferroviaria (e a poco più da piazza del Duomo) si trova l'Ostello Giovane Europa, che, a dispetto del nome, accoglie persone di ogni età. E' una sistemazione indubbiamente semplice, ma incredibilmente economica (circa 20 euro a persona per notte), che vi permette di scegliere tra camere singole, doppie e 'Queen size' (letto matrimoniale ad una piazza e mezzo), dotate di bagno e doccia privati.
E' inclusa anche una piccola colazione, ma gli asciugamani dovrete portarli da casa (o noleggiarli direttamente lì). Non c'è lock-out (quelle ore in cui di solito, negli altri ostelli, si è letteralmente chiusi fuori) e vi sarà fornito un codice numerico per rientrare dopo le 11 di sera. Si prenota telefonicamente per il mese in corso, via mail per i mesi successivi (in questo caso, vi raccomando di verificare la prenotazione anche telefonicamente prima di partire, per sicurezza).

Ed ecco infine una lista di link utili per programmare la visita:

APT Trento
Castello del Buonconsiglio
Ostello Giovane Europa
Museo MART

Serena Effe © 12/2006