JERRY UELSMANN.
GLI INCANTI DELLA "POST-VISUALIZZAZIONE"

Elaborazioni digitali? Neanche per sogno!
Le surreali invenzioni di Uelsmann sono frutto di una non comune abilità in camera oscura, unita ad una fantasia lasciata libera di naufragare nell'illogico. La splendida mostra "Meditation... navigation", allestita agli Scavi Scaligeri di Verona, ne celebra l'opera fino al 15 aprile 2007. Se ve la siete lasciata sfuggire, consolatevi con questa breve incursione in un mondo in cui si stenta a credere ai propri occhi.

E' storia nota quella secondo cui Ansel Adams fu, a partire dagli anni Trenta, l'illuminato teorico della pre-visualizzazione: un particolare approccio basato sulla pre-visione mentale dell'immagine, così da averla virtualmente già compiuta nel pensiero ancor prima di premere il pulsante di scatto. Un procedimento che mirava ad avere un controllo dell'immagine tale da guidare il fotografo in fase di ripresa, per garantirgli poi, al momento della stampa, il raggiungimento del risultato finale previsualizzato. Il suo nome, avvolto da un'aura mitica, evoca poi una serie di altri fondamentali concetti che, impugnato con mani salde il timone della storia della fotografia, ne determinarono in maniera più o meno esclusiva la rotta fin nel cuore degli anni Cinquanta e oltre. E' il caso, per dirne uno, del movimento della straight photography ('fotografia diretta' o 'pura' che dir si voglia), che, forzando la rima tra 'obiettività' e 'purezza', oppose alla voga del pittorialismo fotografico l'austera ed intransigente ascesi di una fotografia la cui 'verità' non venisse in alcun modo intaccata da velleità stilistiche e tecniche (fotomontaggi, sovrimpressioni etc.) e che si affidasse in maniera esclusiva allo specifico espressivo del nuovo mezzo (nitidezza ed istantaneità in primo luogo), senza corromperlo scimmiottando la pittura; molti dei fotografi aderenti a questa tendenza si riunirono nel 1932 nello storico Gruppo f/64, di cui Adams fu, non a caso, uno dei fondatori: la sigla, rimandando al valore estremo di chiusura del diaframma degli apparecchi di grande formato preferiti dalla maggior parte del gruppo, decretava il predominio di un'ipernitidezza dell'immagine, di un 'tutto a fuoco' che garantisse una lettura certa ed esauriente della foto, sia visivamente che in quanto a significato; una scelta che sconfina, ben al di là della mera tecnica, nel dibattuto campo dell'etica fotografica.

Che c'entra tutto questo, si chiederà qualcuno, con l'opera di Uelsmann? C'entra, nella misura in cui le cose, spesso, si definiscono meglio proprio a partire dal loro contrario. E' il 1966, infatti, quando Uelsmann pubblica un articolo il cui titolo è già tutto un programma: "Post-visualization"; detto questo, come per effetto di una formula magica, fu come se la metaforica barriera del diaframma si spalancasse, lasciando fluire nuovamente nell'immagine l'indistinto della fantasia, dell'inconscio, del sogno, della reinterpretazione soggettiva e aleatoria del reale.
Il momento creativo, che in ambito di previsualizzazione e di straight photography raggiungeva il suo apice, esaurendosi, al momento dello scatto, con Uelsmann si dilata ben oltre quell'istante; ciò che in precedenza costituiva un traguardo diviene un punto di partenza, e il risultato finale è ben lungi dall'essere previsto o prevedibile. Ogni immagine scattata entra a far parte di una sorta di 'riserva creativa' insieme ad innumerevoli altre: pescando all'interno di questa raccolta, l'artista combina di volta in volta immagini diverse per dar vita a sempre nuove creazioni; un singolo negativo potrà così essere recuperato dopo anni, accostato a sempre nuovi elementi a seconda dell'idea del momento, reinterpretato e ridefinito nel suo significato infinite volte; una vera e propria ars combinatoria, ben determinata ad eludere ogni barriera razionale.


Questa teorizzazione fece di Uelsmann uno tra i più radicali e influenti fautori della rivoluzione fotografica degli anni Sessanta, che, lasciandosi alle spalle l'istantaneità del 'momento decisivo', espanse il concetto stesso di fotografia, emancipandola dal suo status di affidabile testimone del reale.
Una posizione, questa, maturata anche grazie alla guida di maestri d'eccezione come Minor White, o Beaumont Newhall, del quale seguì le lezioni di storia della fotografia nel '53, in qualità di allievo in una delle prime classi dedicate esclusivamente a questa materia. Uelsmann stesso non perde un'occasione per ribadire il debito che lo lega a chi contribuì, con passione e competenza, a svelargli le stupefacenti potenzialità che dimoravano, più o meno frustrate, nel mezzo fotografico, purché si riuscisse a vincere il riserbo ad infrangere il patto di fedeltà incondizionata nei confronti del "qui e ora": maestri che, rispondendo alle sue domande con altre domande ancor più stimolanti, gli insegnarono quanto fosse pericoloso illudersi di conoscere già tutto, smettere di interrogarsi e di conseguenza cessare di alimentare la propria crescita intellettuale e creativa.

Il lavoro di Uelsmann, consacrato al procedimento analogico, conosce bene il valore di derive ed imprevisti: niente, nelle sue opere, è come ce lo aspetteremmo. Via via che l'immagine viene 'costruita' (né più né meno di un quadro o di una scultura) attraverso impeccabili sovrimpressioni di vari negativi su un'unica stampa, il significato naufraga, imbocca direzioni improbabili, si lascia trascinare da una corrente illogica e visionaria con una naturalezza tale da lasciare increduli. Visitare una mostra dedicata a Uelsmann significa passare da un incanto all'altro, sempre più curiosi di scoprire quale altro barlume d'inconscio o visione sia riuscito a materializzare; il movimento successivo è quello che porta ad avvicinarsi alle stampe fin quasi a sbatterci il naso contro, alla ricerca di un segno, una giuntura visibile, una qualsiasi minima imperfezione che ci confermi l'irrealtà di quelle illusioni costruite ad arte. Ma la ricerca si rivela vana, e, dubitando ancor più dei propri occhi, l'incanto finisce per catturarci definitivamente.

"Tutte le informazioni sono lì, eppure il mistero rimane", scrive Uelsmann; è questa la forza primaria dei suoi piccoli prodigi, così come lo fu delle fantastiche invenzioni pittoriche di René Magritte, suo fondamentale e chiaramente riconoscibile riferimento in ambito pittorico. Nelle fotografie di Uelsmann, né più né meno che nei quadri di Magritte, la plausibilità del visibile non viene mai contraddetta: il reale non risulta mai deformato (come accade invece, per esempio, negli oli di Dalì); ogni elemento della scena, considerato singolarmente, non urta la nostra addomesticata e impigrita capacità percettiva. Quest'ultima viene però meravigliosamente destabilizzata nel momento in cui si prenda in considerazione l'insieme dell'opera, il modo paradossale ed enigmatico con cui i tasselli del reale vi risultano combinati, del tutto arbitrariamente; è allora che l'osservatore percepisce lo stravolgimento ('dérèglement', ebbe a chiamarlo Rimbaud) di ogni senso e dimensione, e, sentendosi disorientato, è costretto a rimettere finalmente in discussione la realtà alla luce di un nuovo meccanismo di percezione all'insegna della soggettività e dell'incertezza, ma soprattutto della libertà assoluta, vivificante del pensiero. Ed è in quell'istante che ogni certezza, cadendo, lascia il posto all'emergere della poesia. Scrive a questo proposito Marcel Paquet, in un saggio dedicato a Magritte: "La poesia puo' essere ovunque e da nessuna parte, ma comunque è necessario essere stati messi nella posizione di poterla percepire, cioè essere stati disturbati e destabilizzati da un'esperienza, per esempio visiva, dell'infondatezza annidata nel cuore delle cose e dei princìpi più evidenti"; parole più che mai valide anche riguardo l'inesauribile capacità evocativa e straniante dell'opera di Uelsmann.
Il coinvolgimento estremo che si prova di fronte alle sue immagini deriva in gran parte proprio da questo loro essere delle 'opere aperte', suscettibili di illimitate interpretazioni. Il momento creativo si espande a tal punto da arrivare ad includere anche noi osservatori, chiamati a concludere l'opera dell'artista; è Uelsmann stesso ad invitarci a farlo: "Penso che la mia arte, come la maggior parte dell'arte contemporanea, sia diretta alla coscienza creativa di chi guarda. Lo spettatore deve completare il ciclo, proiettarsi in esso in qualche modo". Le sue opere divengono così suggestivi accumuli di simboli, come anfore che siamo chiamati a riempire a seconda del nostro vissuto, delle nostre esperienze, dei nostri ricordi e fantasie, così da dar loro un senso che sarà, ogni volta, quello giusto.

Serena Effe © 04/2007



Il bel catalogo della mostra, "Meditation... Navigation", è edito da Marsilio e costa 34 euro. La qualità è di gran lunga superiore a quella solitamente riservata ai cataloghi: copertina rigida con sovraccoperta, qualità della carta e della stampa ottime, formato 25x30cm. In 143 pagine sono racchiuse 70 immagini, introdotte da un breve testo di Mauro Fiorese, curatore della mostra.
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Sul sito ufficiale di Uelsmann trovate una ricca galleria di immagini, una lunga intervista ed altre utili risorse per approfondire la conoscenza del suo lavoro.