I FILTRI PER IL BIANCO E NERO
Perché e come funzionano
Michele Vacchiano, marzo 2003

L'uso dei filtri nella ripresa in bianco e nero è spesso misconosciuto dal dilettante. Eppure saper usare la "giusta" filtratura costituisce uno dei più efficaci strumenti della creatività.

La testata della Valsavarenche dal sentiero che dal Colle del Nivolet porta alla Valle delle Meyes. Sullo sfondo, da sinistra, il Ciàrforon, la Becca di Monciàir, i Denti di Broglio. Fotografia scattata in settembre, quando l'erba degli alti pascoli ha già assunto un colore che va dal giallo al marroncino, molto simile a quello del terreno morenico ai limiti dei ghiacciai. Un filtro arancio chiaro ha schiarito l'erba e la roccia, scurendo invece gli abeti alle quote più basse.
Wista DX con dorso 4x5" e obiettivo Rodenstock Sironar-N 150 mm f/5,6.

Il Gran Paradiso, sovrastato dalla luna, visto dalla Valle delle Meyes. Il filtro arancio ha scurito il cielo e schiarito l'erba ingiallita e le rocce illuminate dal sole. Wista DX con dorso 4x5" e obiettivo Schneider Super-Angulon 90 mm f/8. Basculaggio in avanti della piastra portaottica per garantire la corretta messa a fuoco del primo piano.

Gran Paradiso, Tresenta e Ciàrforon dal sentiero che unisce il Colle del Nivolet alla Valle delle Meyes. Un filtro verde ha schiarito i toni dell'erba, differenziandoli (la digitalizzazione a bassa risoluzione non rende giustizia alla ricchezza tonale della stampa su carta). Il lungo tempo di otturazione ha "mosso" l'acqua del torrente.
Wista DX con dorso 4x5" e obiettivo Rodenstock Sironar-N 150 mm f/5,6. Basculaggio in avanti della piastra anteriore per garantire la corretta messa a fuoco del primo piano.

La Testata del Grand Crou, la Testata della Tribolazione, il Gran Paradiso e il ghiacciaio della Tribolazione dai casolari del Money (Valnontey - Valle di Cogne). Un filtro giallo-verde leggero ha contribuito a separare i valori tonali schiarendo le rocce in primo piano, illuminate dal sole.
Wista DX con dorso 4x5" e obiettivo Rodenstock Sironar-N 150 mm f/5,6. Basculaggio in avanti della piastra anteriore per garantire la corretta messa a fuoco del primo piano.

Torrente nel Vallone di Bellino (Val Varaita). Il filtro arancio ha scurito il verde degli alberi e degli arbusti, l'angolo di cielo azzurro che compare in alto e l'acqua del torrente.
Graflex Super Graphic con dorso 4x5" e obiettivo Schneider Apo-Symmar 180 mm f/5,6. Basculaggio in avanti della piastra anteriore per garantire la corretta messa a fuoco del primo piano. Decentramento verso l'alto per comprendere nell'inquadratura tutta la montagna di sfondo.

Il lago Rosset e la Basèj dal sentiero che unisce il pianoro del Nivolet al Col Leynir. Sullo sfondo, a sinistra, il gruppo del Carro e la Grande Aiguille Rousse. Il filtro arancio ha scurito l'azzurro del lago che in questo modo spicca nel paesaggio innevato. Exakta 66-II con obiettivo Schneider Xenotar 80 mm f/2,8.

Il lago di Villa gelato in inverno. Il filtro verde ha separato i toni della vegetazione illuminata dal sole.
Wista DX con dorso 4x5" e obiettivo Rodenstock Sironar 150 mm f/5,6. Basculaggio in avanti della piastra anteriore per garantire la corretta messa a fuoco del primo piano.
Wista DX con dorso 4x5" e obiettivo Rodenstock Sironar-N 150 mm f/5,6. Basculaggio in avanti della piastra anteriore per garantire la corretta messa a fuoco del primo piano.

Le rovine del castello di Graines, in Val d'Ayas. Il filtro rosso ha generato un marcato effetto wood sull'erba illuminata dal sole, che invece che scura come mi aspettavo è stata resa sulla stampa finale con toni di grigio molto chiari. Si noti il marcato scurimento del cielo.
Wista DX con dorso 4x5" e obiettivo Schneider Super-Angulon 65 mm f/5,6.

Le rovine del castello di Graines, in Val d'Ayas. Questa volta ho usato un filtro verde per schiarire l'erba illuminata dal sole. Nonostante il controluce marcato, l'immagine non soffre di riflessi parassiti grazie alla qualità dell'obiettivo, al trattamento antiriflessi e all'uso del paraluce.
Wista DX con dorso 4x5" e obiettivo Rodenstock Sironar-N 150 mm f/5,6. Decentramento verso l'alto della piastra anteriore e leggero basculaggio verso sinistra per mantenere a fuoco il muro in primo piano.

Le rovine del castello di Graines, in Val d'Ayas. Ancora una volta il filtro verde ha reso luminosa l'erba illuminata dal sole.
Wista DX con dorso 4x5" e obiettivo Rodenstock Sironar-N 150 mm f/5,6. Decentramento verso l'alto della piastra anteriore.

Vecchia cassetta per le lettere, tuttora in uso, nel Vallone di Bellino (Val Varaita). Il filtro arancio ha schiarito il colore rosso sbiadito del soggetto.
Le rovine del castello di Graines, in Val d'Ayas. Il filtro rosso ha generato un marcato effetto wood sull'erba illuminata dal sole, che invece che scura come mi aspettavo è stata resa sulla stampa finale con toni di grigio molto chiari. Si noti il marcato scurimento del cielo.
Wista DX con dorso 4x5" e obiettivo Rodenstock Sironar-N 150 mm f/5,6.

Vallone del Roc (Valle dell'Orco). Il filtro verde ha schiarito e differenziato i toni della vegetazione.
Pentacon Six TL con obiettivo Zeiss Jena Biometar 80 mm f/2,8.

La fotografia in bianco e nero: "riproduzione" o immaginazione?

Che cos'è una fotografia in bianco e nero? Tutto, fuorché una "riproduzione" della realtà.
Che relazione c'è tra un insieme bidimensionale di toni di grigio e la tridimensionalità colorata che ci circonda?
Nessuna.
La relazione vera è una relazione di irrealtà, che si stabilisce nel momento in cui la previsualizzazione del soggetto dà origine a un eikon, un'immagine mentale, una rappresentazione rarefatta di ciò che il soggetto ci ispira.

Così la fotografia diventa la rappresentazione grafica di un sogno, di un'immaginazione libera e senza freni che - prendendo a pretesto un soggetto reale - lo trasforma nella rappresentazione astratta di un'idea o di un sentimento.

Condizione irrinunciabile affinché questo avvenga è la totale, incondizionata libertà creativa, che si raggiunge solo facendo "dire" ai nostri strumenti di lavoro esattamente ciò che noi vogliamo.

I filtri colorati, che bloccano certe lunghezze d'onda e ne fanno passare altre, trasformando e talvolta sconvolgendo l'equilibrio tonale dell'immagine, sono un potente strumento di questa creatività.

Lo spettro solare e le curve di sensibilità spettrale

Per capire come funzionano, dobbiamo scomodare alcuni concetti della fisica ottica.

Osserviamo il grafico qui sotto. In alto è rappresentato lo spettro solare, limitatamente alla luce visibile. La curva "a campana" in rosso rappresenta la visuale umana; la curva in nero è invece la curva di sensibilità spettrale di una immaginaria pellicola in bianco e nero (in realtà le curve variano alquanto da emulsione a emulsione, pur mantenendosi simili nelle caratteristiche generali).

Come si vede, la nostra capacità visiva è piuttosto scarsa nella zona del violetto e dell'azzurro, cresce in corrispondenza del verde e del giallo e decresce nuovamente nella zona del rosso. Questo fenomeno ha una spiegazione evoluzionistica: i nostri antenati, che vivevano nelle foreste e nella savana, avevano bisogno di distinguere con particolare acutezza visiva i toni del fogliame, di cui si nutrivano e che offriva loro rifugio e riparo, mentre non erano interessati più di tanto agli altri colori.
Si osservi adesso la curva di sensibilità spettrale della pellicola. Prima di tutto si noti come essa non inizi dal punto zero, cioè dall'origine degli assi cartesiani. Questo significa che la curva ha la sua origine un po' più in là, cioè nella zona dell'ultravioletto. La sensibilità della pellicola all'ultravioletto è la causa di quelle velature e di quell'effetto foschia (accompagnato, nelle emulsioni a colori, dallo spostamento verso l'azzurro dell'intero equilibrio cromatico dell'immagine), che si verificano in presenza di forte irraggiamento solare (come in alta montagna e nelle ore centrali della giornata) e che rendono necessaria l'adozione dei filtri UV.

Proseguendo, vediamo che la pellicola è più sensibile all'azzurro di quanto non lo sia l'occhio umano. Questo spiega perché quel bel cielo azzurro color cobalto che avevamo voluto immortalare sia stato reso, sulla diapositiva o sulla stampa finale, con un azzurrino scialbo o con un grigio chiaro, piatto e senza nuvole. La pellicola "vede" l'azzurro più di noi e pertanto ne è più rapidamente impressionata.

La sensibilità spettrale della pellicola e dell'occhio umano diventano quasi sovrapponibili nelle lunghezze d'onda intermedie, per poi scendere in corrispondenza del rosso profondo. La pellicola pancromatica tradizionale è quasi cieca al rosso, tanto da renderlo nero sulla stampa finale. Fanno eccezione le pellicole superpancromatiche la cui sensibilità è stata estesa anche alla zona del rosso, come la Kodak Technical Pan.

Le funzioni dei filtri

I filtri per il bianco e nero assolvono a tre diverse funzioni. La prima è quella di rendere la curva di trasmissione spettrale della pellicola simile a quella dell'occhio umano, in modo da tradurre i valori tonali così come noi li percepiamo.

La seconda è quella di trasformare in contrasto tonale ciò che il nostro occhio percepisce come contrasto cromatico. Un fiore rosso sullo sfondo di foglie verdi viene chiaramente percepito dal nostro occhio, perché noi vediamo a colori, ma può dare origine ad un'immagine banale, quando non addirittura illeggibile, se fotografato in bianco e nero. Il rosso e il verde, infatti, potrebbero essere resi con toni di grigio molto simili fra loro. La soluzione non è univoca, ma dipende dalla sensibilità e dalla creatività del fotografo. Un filtro rosso schiarirà il fiore e scurirà le foglie, mentre un filtro verde genererà l'effetto opposto. Ovviamente tutte le soluzioni intermedie saranno possibili.

La terza funzione dei filtri colorati è rappresentata dalla capacità di esaltare la separazione tonale all'interno delle lunghezze d'onda trasmesse dal filtro stesso. Se nell'inquadratura è presente della vegetazione, l'uso di un filtro verde non soltanto schiarirà i toni del fogliame, ma produrrà una vasta e ricca varietà di grigi là dove il nostro occhio percepiva soltanto un verde uniforme.

Proprietà generali dei filtri

Da qui derivano le proprietà generali dei filtri, che possono essere visualizzate avendo presente la ruota dei colori, già descritta da Newton e riprodotta qui sotto.

I colori che si trovano in posizione opposta l'uno all'altro si dicono complementari. La loro somma dà il nero. Così vediamo che il giallo è complementare del violetto, l'arancio è complementare dell'azzurro, il rosso è complementare del verde.

Da tutto questo deriva una regola generale, che di solito funziona, anche se soffre di qualche eccezione (come vedremo): ogni filtro schiarisce il suo colore e scurisce il colore complementare.
Si veda la tabella che segue:

Il filtro
Schiarisce
Scurisce
giallo
giallo, arancio
violetto, azzurro
verde
verde
arancio, rosso
arancio
arancio, rosso
azzurro, verde
rosso
rosso
azzurro, verde
blu
azzurro
giallo, arancio, rosso

La tabella, semplificata, non tiene conto di un fattore fondamentale, che è la densità del filtro. Se ad esempio un filtro rosso a banda larga schiarisce il rosso e i colori vicini, come l'arancio e il giallo, un filtro rosso più denso, a banda ristretta, schiarirà solo il rosso e una parte dell'arancio, ma non estenderà oltre il suo effetto. A sua volta, un filtro verde a banda larga potrebbe schiarire il verde e l'azzurro, mentre un filtro verde denso potrà addirittura produrre una leggera saturazione del cielo.

Per approfondire e rendere più comprensibile quanto abbiamo detto fin qui, cerchiamo ora di illustrare con maggiore chiarezza le caratteristiche dei singoli filtri, evidenziandone il comportamento nelle diverse occasioni fotografiche.

Filtro giallo. Rende la curva di risposta spettrale della pellicola molto simile alla curva della visuale umana. Questo è il motivo per cui molti fotografi lo lasciano permanentemente montato sull'obiettivo. Nel paesaggio, provoca un moderato scurimento del cielo e una migliore leggibilità delle nuvole. Nel ritratto schiarisce i capelli biondi e castano chiari, schiarisce moderatamente la pelle e migliora l'equilibrio tonale.

Filtro verde. Nel paesaggio schiarisce i toni della vegetazione e ne amplia la gamma tonale. Se a banda stretta, cioè denso, scurisce moderatamente il cielo. Nel ritratto "abbronza" la pelle e ne mette in evidenza i difetti: rughe, nei, efelidi. Scurisce i capelli biondi , rossi e castani. Adatto a ritratti drammatici di vecchi contadini o pescatori dalle mani nodose e dai volti scavati; assolutamente vietato nel glamour!

Filtro giallo-verde. Unisce i vantaggi di entrambi ed è adatto soprattutto al paesaggio. L'effetto è più moderato che non con il filtro verde propriamente detto.

Filtro arancio. Marcato scurimento del cielo. Se usato nella neve tende talvolta ad ingrigirla: di questo occorre essere consapevoli nella determinazione dell'esposizione e nella regolazione del contrasto. Scurisce la vegetazione di colore verde, ma crea effetti suggestivi in autunno, quando le foglie sono gialle, verdi e rosse. Nel ritratto schiarisce i capelli biondi, castani e rossi, schiarisce la pelle e ne nasconde i difetti (nei, efelidi, rughe). Ideale per il glamour e i ritratti femminili in genere.

Filtro rosso. Drammatico scurimento del cielo. La vegetazione appare nera sulla stampa. A volte però questa regola subisce un'eccezione clamorosa, rappresentata dal cosiddetto "effetto Wood". Usando filtri rossi molto densi, l'erba illuminata dal sole viene resa sulla stampa finale con toni di grigio molto chiari (quando non addirittura bianchi), invece che scuri come ci si aspetterebbe. Il fenomeno, che sembra dovuto a certe proprietà riflettenti della clorofilla, ricorda le immagini ottenute con pellicola sensibile all'infrarosso. Nel ritratto il filtro rosso schiarisce i capelli castani e rossi e rende la pelle lattea, quasi evanescente. Ideale nel glamour, unito a un sapiente uso del controluce e ad un filtro morbido.

Filtro blu. Nel paesaggio rende il cielo latteo e fa scomparire le nubi. Lo usavano a volte i fotografi di architettura per evitare che la visione di un cielo "interessante" distogliesse l'attenzione dal soggetto principale. Nella fotografia in studio riduce l'eccesso di rosso causato dalle lampade al tungsteno.

Il fattore-filtro

La capacità dei filtri colorati di far passare certe lunghezze d'onda bloccandone altre è alla base della determinazione del "fattore-filtro". Eliminando parte della luce visibile, i filtri provocano un decremento dell'esposizione (cioè della quantità di luce che giunge alla pellicola) proporzionale alla densità del filtro stesso.

Il fattore-filtro è (o dovrebbe essere) sempre indicato sulla confezione o sulla montatura del filtro. Esistono due modi per farlo. Il primo - e più diffuso, oltre che più professionale - consiste nell'indicazione del fattore di incremento dell'esposizione. Così 2x (si legge "due per") vorrà dire che alla pellicola deve giungere il doppio della luce necessaria senza filtro, e cioè che il diaframma va aperto di uno stop, oppure che il tempo di posa va incrementato di un valore; 4x indica un incremento di due stop, 8x di tre e così via. Il secondo sistema, utilizzato ad esempio da Cokin, segnala semplicemente di quanti stop incrementare l'esposizione. Così ad esempio +2 significa che il diaframma va aperto di due valori, e così via. La tabella che segue mette a confronto, a titolo esemplificativo, i due sistemi.

2x
+1
uno stop
3x
+1 2/3
uno stop e mezzo
4x
+2
due stop
6x
+2 2/3
due stop e mezzo
8x
+3
tre stop

Perché conoscere il fattore-filtro? Non ci pensa l'esposimetro a compensare automaticamente la caduta di luce? E chi non usa la reflex, non potrebbe semplicemente anteporre il filtro alla cellula dell'esposimetro esterno ed effettuare così la misurazione?

Giusta obiezione, che tuttavia non tiene conto della natura delle cellule esposimetriche, la cui risposta spettrale può non essere costante per tutte le lunghezze d'onda, rendendo la lettura inaffidabile. Se le cellule al silicio si dimostrano tutto sommato "sicure" anche in presenza di luce monocromatica, non altrettanto avviene per le cellule al CdS (solfuro di cadmio). Perciò, se si vuole la massima sicurezza, occorre effettuare la misurazione esposimetrica senza filtro, applicando poi il fattore-filtro manualmente.

La pessima abitudine, che si sta diffondendo, di non indicare più il fattore-filtro sulla confezione (tanto i principianti mettono il filtro sull'obiettivo e poi lasciano fare all'esposimetro TTL) è estremamente deleteria. Le aziende che si comportano in questo modo dovrebbero ricevere, da parte del consumatore, un segnale forte e chiaro. In altre parole, evitate di acquistare filtri sulla cui confezione (o sulla cui montatura) non è riportato il fattore-filtro.

I materiali

Di cosa è fatto un filtro? I materiali possono essere diversi, essenzialmente vetro ottico, resina, gelatina. Questi ultimi sono molto sottili e leggeri, ma il loro uso è limitato ad ambienti chiusi, dato che non possono essere manipolati e nemmeno puliti senza rischiare graffi irrimediabili. Per questo i filtri in gelatina vengono spesso racchiusi tra due lastrine di vetro.
I filtri in resina sono i più economici. Patiscono il calore, che li deforma ed altera il perfetto parallelismo tra le due superfici, inducendo difetti di rifrazione.
Quelli in vetro ottico sono i più indicati per l'uso en plein air.

I diversi obiettivi di ogni corredo sono caratterizzati da diametri differenti. Per evitare di dover acquistare tanti set di filtri quanti sono gli obiettivi, si può fare ricorso a una serie di anelli adattatori, oppure ai sistemi tipo Cokin o Lee Filters, che prevedono filtri quadrati da inserire in una cornicetta universale. Il raccordo ai diversi obiettivi avviene grazie a diversi anelli adattatori.

Precauzioni d'impiego

Ci sono "controindicazioni" all'uso dei filtri? Beh, controindicazioni proprio no, ma precauzioni d'uso sì. Vediamo perché.
Un filtro, sia esso in vetro ottico, in resina o in gelatina, è di fatto un elemento estraneo che noi andiamo ad aggiungere a un sistema ottico (l'obiettivo) progettato per lavorare da solo.

  • L'aggiunta di due ulteriori superfici aria-vetro e vetro-aria può causare difetti di rifrazione, specialmente se (come può avvenire per i filtri più economici) le due facce del filtro non sono perfettamente piane e parallele;
  • La polvere e la sporcizia depositate sulle superfici del filtro possono diminuire il contrasto e la nitidezza dell'immagine;
  • Anche se perfettamente pulite, le superfici del filtro possono aumentare il rischio di riflessi parassiti e immagini fantasma;
  • Il trattamento antiriflesso a cui è stato sottoposto il filtro è diverso da quello a cui sono state sottoposte le lenti dell'obiettivo, soprattutto se il filtro non è originale (cioè prodotto dallo stesso fabbricante dell'obiettivo). Questo può causare fenomeni di interferenza ottica che abbassano la qualità generale dell'immagine.

Soluzioni? Poche e semplici:

  • Usare esclusivamente filtri di buona qualità e possibilmente originali, cioè prodotti dallo stesso fabbricante dell'obiettivo. Questo ci rende ragionevolmente tranquilli non solo sulla qualità del filtro, ma anche sull'uniformità del trattamento antiriflesso;
  • usare un efficace paraluce (che in ogni caso andrebbe usato sempre!), per evitare che i raggi di luce esterni al campo inquadrato vadano a colpire il filtro, inducendo flare e rifrazioni parassite;
  • Curare con pignoleria maniacale la pulizia dei filtri, che vanno sempre mantenuti nella loro custodia ed estratti solo al momento dell'uso. La polvere e le eventuali ditate si rimuovono prima con un pennellino morbido e poi con una cartina di pulizia Kodak. Evitare (come per gli obiettivi, del resto) qualsiasi liquido detergente, anche se garantito dal papa! Il vostro alito sarà più che sufficiente ad inumidire la superficie, permettendo alla cartina di asportare la polvere senza risollevarla.

Osservando queste semplici precauzioni i filtri garantiranno immagini perfette.

Michele Vacchiano © 03/2003
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