LA GRANA: POCA, TANTA… SI', MA QUANTA?
Come si misura la grana di una pellicola fotografica?
Agostino Maiello, aprile 2004

I più maniaci, pardon, i più attenti tra i fotoamatori consultano la documentazione fornita dal produttore (un tempo era la brochure; ormai si tratta quasi sempre di un file PDF) alla ricerca della mitica sigla: RMS. RMS, ovvero Root-Mean-Square, che in italiano è "scarto quadratico medio" (o anche "deviazione standard"). Ma cosa c'entra con la grana delle pellicole? Nel testo che segue cercheremo di approfondire la questione, mescolando nozioni di statistica, misure, fotografia ed altro. I più preparati tra i nostri lettori ci perdoneranno il taglio di questo articolo, chiaramente divulgativo e senza pretese di rigore scientifico. In ogni caso la semplicità del discorso non andrà a discapito dell'esattezza delle informazioni fornite, perché altrimenti dalla divulgazione si sconfina nel campo del chiacchiericcio; e non è nostro costume.

Un po' di numeri
Ciò premesso, vediamo cosa sia questo misterioso RMS. In termini strettamente matematici, anzi statistici, lo scarto quadratico medio è un valore che serve a quantificare l'intervallo all'interno del quale si distribuiscono le varie misurazioni effettuate di una grandezza.
In parole povere, supponiamo di aver effettuato 5 misurazioni di una data grandezza; ognuna delle differenze tra la media ed i cinque valori si chiama deviazione, oppure scarto (nel nostro esempio dunque abbiamo cinque scarti).
Per studiare come si distribuiscono questi valori intorno alla media non possiamo prendere le deviazioni così come sono, perché quelle negative compensano quelle positive, dunque la loro media è sempre zero. La soluzione consiste nell'elevare tutti gli scarti al quadrato, così da avere solo valori positivi. A questo punto se ne può calcolare la media, la cui radice quadrata è definita deviazione standard, detta anche scarto quadratico medio (RMS).
Un esempio di calcolo è mostrato nel riquadro di testo sottostante.

UN ESEMPIO PRATICO

Supponiamo di aver osservato il costo della nostra polizza RC Auto negli ultimi cinque anni: 1200, 1100, 1000, 900 ed 800 Euro. La media è 1000 Euro, Gli scarti sono: 200 (1200-1000), 100 (1100-1000), 0 (1000-1000), -100 (900-1000), -200 (800-1000).
La media degli scarti è pari alla loro somma diviso 5.
La somma degli scarti è 0, e 0 diviso 5 ha come risultato 0. Quindi la media calcolata così non ci serve a nulla!
Se invece li eleviamo al quadrato, come indicato nel testo, abbiamo:
40.000, 10.000, 0, 10.000, 40.000. La somma è 100.000, la media è 20.000 (centomila diviso cinque). La radice quadrata di 20.000 è 141,42. Questo è lo scarto quadratico medio.

Qualcuno potrebbe chiedersi a cosa serva, a noi fotografi, quanto appena esposto. In verità non ci viene in mente alcuna esigenza fotografica che potrebbe mai costringerci ad impelagarci in calcoli del genere; ma riteniamo comunque interessante capire cosa si intende esattamente per RMS, se non altro per conoscere il significato di una sigla che ogni tanto incontriamo nella documentazione tecnica delle pellicole. Ed usare sigle senza sapere cosa indichino è, a nostro avviso, un atteggiamento poco elegante.

Un po' di storia
Ma come si è arrivati all'uso del RMS? Bisogna risalire ai primi decenni del secolo scorso, agli anni '30, ed occuparci di un valido ricercatore dei laboratori Kodak, tale E.W.H. Selwyn. In un numero del 1935 del Photography Journal, lo scienziato postulò che se la densità di uno strato di pellicola sviluppato ed uniformemente esposto fosse misurata (con un microdensitometro) in più punti mediante un opportuno campionamento, i valori di densità ottenuti si sarebbero distribuiti in maniera "normale" ("gaussiana", per i più smaliziati) intorno alla loro media. In sostanza ci si trovava di fronte a quella che in statistica si chiama una "distribuzione normale", ed in conseguenza di ciò si poteva usare la deviazione standard per studiare la variabilità della media.
E' opportuno sottolineare l'importanza dell'espressione "mediante un opportuno campionamento": è chiaro infatti che se ci si limita a misurare la quantità di argento presente in una data area, si sa solo quanto argento c'è, ma non come si distribuisce, dunque non si ottiene alcuna informazione a proposito della grana. Invece la teoria di Selwyn si basava sul fatto che il processo di campionamento avvenisse con ampiezze ben specifiche.
Più nello specifico, Selwyn definì il valore ottenuto (la deviazione standard dei valori di densità risultanti dalla misurazione) come granularità RMS, e dimostrò che esso dipendeva dall'ampiezza dei campionamenti, cioè quella che si definisce "sampling aperture" (la cui definizione rigorosa è "the region of the continuous image that contributes to the pixel value").
Il prodotto tra la "sampling aperture" elevata ad 1/2 e la granulosità RMS si chiama coefficiente di Selwyn; lo scienziato dimostrò che per le pellicole in bianco e nero (una volta esposte) tale valore risultava costante. Questa è la cosiddetta legge di Selwyn.
Se però si studiano altri materiali (pellicole a colori, stampe, radiografie, ecc.), la legge di Selwyn non è più valida, perché al diminuire della sampling aperture aumenta, sì, la granulosità RMS (proprio come accade per le pellicole in bianco e nero), ma non abbastanza da mantenere costante il prodotto delle due (come invece avviene con le pellicole in bianco e nero).
Questo ostacolo fu superato alla fine degli anni '50 da due studiosi, K. F. Stulz e H. J. Zweig. Essi scoprirono che la granulosità RMS risultava essere un valido indicatore della grana se la sampling aperture veniva impostata in modo che il suo valore (espresso in micrometri, ovvero milionesimi di metro), moltiplicato per l'ingrandimento angolare (si veda il riquadro di approfondimento), desse come risultato all'incirca 515.
Siamo finalmente giunti, quindi, ad una formula adatta per misurare la granulosità.

SBRINDA COME SE FOSSE ANTANI, OVVERO L'INGRANDIMENTO ANGOLARE

Spieghiamo brevemente cosa sia l'ingrandimento angolare. In Fisica si definisce ingrandimento l'aumento (o la diminuzione) della dimensione di un'immagine, rispetto alla dimensione effettiva, prodotto da un sistema ottico. L'ingrandimento più comunemente considerato è quello lineare, ma talvolta è utile considerare quello angolare, come in questo caso.
Se un oggetto ha un'altezza A, e la sua immagine riprodotta ha un'altezza B, l'ingrandimento lineare (che di solito si indica con M) è B/A. Se consideriamo l'angular size angolare di un oggetto (A1) e la rapportiamo all'ampiezza angolare dell'immagine ottenuta (B1), l'ingrandimento angolare è B1/A1.
Che cosa sia l'angular size ce lo spiega bene la Wikipedia, una valida enciclopedia gratuita online, secondo la quale (riportiamo a spanne il testo presente su http://en.wikipedia.org/wiki/Angular_size) la angular size è una misura delle dimensioni di un oggetto espressa con grandezze di tipo circolare (come i gradi), utile per misurare oggetti così distanti da apparire bidimensionali. Immaginiamo di stare ad una certa distanza dal Golden Gate Bridge e di tendere un braccio verso una estremità del ponte; dopodiché, tenendo il braccio rigido, ruotiamo il busto fino ad arrivare a puntare, col medesimo braccio, l'altra estremità del ponte. Di quanto ci siamo girati? 5 gradi? 10? 90? Questo valore è l'angular size del ponte, misurato nel punto in cui ci troviamo.
Naturalmente più ci si avvicina al ponte più bisogna ruotare su noi stessi per arrivare all'altra estremità del ponte: questo ci fa capire che la grandezza angolare dipende dalla distanza dall'oggetto che stiamo misurando.
Per i più curiosi, segnaliamo altre pagine che spiegano questi concetti in un linguaggio piano ed accessibile:

http://imagine.gsfc.nasa.gov/YBA/HTCas-size/more-ang_size.html
http://imagine.gsfc.nasa.gov/YBA/HTCas-size/more-rltnshp.html
http://imagine.gsfc.nasa.gov/YBA/HTCas-size/ang_prac.html

Nadir Magazine ©

Due osservazioni finali
Concludiamo l'articolo con due osservazioni.
La prima è che, dunque, in fotografia il metodo oggettivo più diffuso per la misurazione della granulosità delle pellicole si basa sul RMS, una grandezza che in sostanza quantifica la presenza di granuli di alogenuro d'argento.
La procedura di calcolo del RMS è definita in uno standard ANSI, il quale prevede che la pellicola venga analizzata mediante campioni acquisiti con una sampling aperture di 48 micrometri. I valori RMS che si ottengono vengono però moltiplicati per 1000, così da avere a che fare con cifre più maneggevoli (anziché con degli scomodissimi 0,003, 0,027, ecc.). Convenzionalmente, le pellicola extra-fini hanno un valore RMS che arriva fino a 10, quelle molto fini vanno da 11 a 15, quelle fini da 16 a 20, e così via. Tanto per dare qualche numero, la Fuji Provia 100F ha RMS pari a 8, per la Professional Ektachrome E100 VS Kodak dichiara RMS=11, eccetera.
La seconda osservazione è che, nella pratica, esistono due tipi molto diversi di granulosità. Quella degli alogenuri d'argento delle pellicole in bianco e nero è di piccole dimensioni ed è distribuita in maniera casuale. Quella degli ingrandimenti, invece (ovvero le stampe; ma anche la grana delle pellicole a colori tende a comportarsi così), è formata da grappoli di granuli, che riproducono i pattern (motivi) dei granuli presenti sul negativo di partenza; essa è di dimensioni maggiori ed ha bordi più sfumati rispetto alla prima.
La media ed il RMS dei due tipi di grana sono piuttosto simili, ma data la diversa natura delle due grandezze in gioco è necessario andare oltre la formula della granulosità RMS. Nei decenni successivi, infatti, altri studiosi hanno approfondito questo argomento, giungendo ad analisi più complesse ed accurate che tengono conto di queste complicazioni. Le formule che riguardano questa analisi hanno nomi minacciosi quali funzione di autocorrelazione e potere spettrale della granulosità, dunque ci limitiamo a segnalarne l'esistenza senza andare oltre; anche perché, temiamo, la competenza di chi scrive si esaurirebbe ben prima della pazienza di chi legge.

Agostino Maiello © 04/2004
Riproduzione Riservata