ANDATE E MOLTIPLICATELE!
Vitantonio Dell'Orto, febbraio 2007

Farlo spesso, per farlo meglio. Considerazioni su quanto sia importante la continuità nell'imparare a "vedere".

Bisogna fotografare tanto, e spesso.
È paradossale, ma questa semplice asserzione mi si è rivelata in tutta la sua forza proprio da quando sono un fotografo di professione. Gli impegni che un'attività in proprio presuppone, uniti alle scarse risorse, fanno sì che non abbia mai avuto così poche occasioni per fotografare con continuità. Non voglio, tuttavia, ammorbarvi con le mie personali lamentazioni, ma da qui partire per una riflessione: mi preme dire che sento forte e netta la mancanza di una pratica fotografica la più costante possibile. Me ne accorgo quasi con violenza quando ho l'occasione, finalmente, di caricare il furgone e di partire per un viaggio.

Nei primi giorni prendere in mano la fotocamera è ritrovare una vecchia amica di cui non si hanno notizie da tempo: c'è gioia, ma anche un certo disagio, un sottile imbarazzo; si rinnovano antiche consuetudini, prima timidamente, poi con maggiore sicurezza. Posare gli occhi sulla natura circostante appare dapprima come un rebus da risolvere, per il sovraccarico di stimoli visivi, di soggetti, di forme e dettagli che non sono più allenato a gestire, a filtrare, a metabolizzare. È un lento risveglio per il mio "occhio mentale" sopito e anchilosato, come ricominciare ogni volta da zero, ed ogni volta è un'inquietante sensazione di disorientamento, di insicurezza che dura per quella che mi appare un'eternità. Per fortuna pochi giorni bastano per sgranchirsi metaforicamente e tornare a vedere con pienezza, ed è allora che percepisco la differenza, e comprendo appieno il valore del fotografare molto, inteso sia come "tanto", che come "spesso".

Ogni volta che premiamo il pulsante di scatto compiamo delle scelte, riflettiamo ed espandiamo la nostra sensibilità nel tentativo di far scattare quel click, stavolta mentale, che ci faccia dire "eccola, è l'immagine che voglio". Ogni volta la nostra consapevolezza si arricchisce, nel corso di questo processo: la continuità nel fotografare stratifica le esperienze e collega con un filo rosso le diverse fasi della nostra creatività ed evoluzione stilistica, facendoci capire cosa vogliamo dire, prima di tutto, e poi come dirlo.
Moltiplicare il numero degli scatti è moltiplicare il numero dei tentativi ed errori (ed è questo il modo in cui impariamo), ci proietta in una dimensione di curiosità continua, ci fa essere svegli, ricettivi, proiettati verso l'esterno. Ci fa "pensare" fotografia. Gli automatismi si affinano, si approfondisce la conoscenza dei mezzi tecnici e l'abitudine ad usarli; lo strumento diviene un'estensione inconscia, una protesi della mente, agevolando quindi l'interpretazione "artistica". Fermarsi significa interrompere il flusso; e poiché il tempo non basta mai, si rischia di rifugiarsi nei cliché consolidati, rifacendo ogni volta quello che si è già fatto, e che si è sicuri di saper fare. Allora uscite, chiudete questa rivista e mettete il naso fuori di casa, se solo ne avete la possibilità. Approfittiamo di questa stagione meravigliosa, godiamo dei suoi colori. Ora non c'è più nemmeno la scusa del costo dei rullini: il digitale, almeno per chi può permetterselo, ha liberato anche da questo freno mentale, dall'esitazione spilorcia del dito sullo scatto. Ora si può fotografare a volontà, si può sperimentare, persino giocare. Il rischio, al limite, è l'opposto, cioè diventare superficiali, banali e disattenti, ma è un rischio che esiste da sempre: ogni strumento ci condiziona se è la testa che non sa comandare.

Vitantonio Dell'Orto © 02/2007
Riproduzione Riservata
Pubblicato in "L'Arzigogolo" 05/06, Oasis n° 165

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