DOPPIA ESPOSIZIONE
L'asso della manica delle carte Multigrade
Agostino Maiello, novembre 2000

L'introduzione delle carte a contrasto variabile è stata sicuramente un toccasana per moltissimi stampatori, vista l'indubbia serie di vantaggi che questa tipologia di carte ha portato.

Per quanto si senta dire, soprattutto dagli stampatori più tradizionalisti, che la qualità delle carte a gradazione fissa sia un po' superiore, la maggioranza degli stampatori ha comunque manifestato nel corso degli anni una spiccata preferenza verso le carte Multigrade, probabilmente anche in considerazione del fatto che il briciolo di qualità in più in questione non sempre è avvertibile (per non parlare di quanto sia necessario e quantificabile).

Purtroppo le ridotte dimensioni dei file e la visione sul monitor riducono di molto le differenze tra le due foto. La foto in basso è quella ottenuta con il metodo della doppia esposizione descritto nell'articolo.

Ma non è nostra intenzione alimentare una delle tante diatribe tipiche del mondo della fotografia (e non abbiamo nemmeno fatto cenno al discorso baritata-politenata!); vogliamo invece illustrare sinteticamente una tecnica di camera oscura, propria delle carte multigrade, che molto spesso si rivela una vera bacchetta magica per alcuni tipi di negativi.

Il termine "Multigrade" in realtà è il nome del prodotto della Ilford, non del tipo di carta; poiché la Ilford è stata la prima a brevettarla ed commercializzarla, sulle confezioni degli altri produttori si trovano altre definizioni (Variable Contrast, Multicontrast, ecc.). Ma dato che nell'uso comune si definisce "Multigrade" qualunque carta a contrasto variabile (un po' come noi chiamiamo "borotalco" qualunque polverina per la pelle dei bambini, solo perché il più famoso di questi prodotti era per l'appunto il Borotalco, della Roberts), d'ora in poi useremo il termine Multigrade, ed il lettore dovrà tenere a mente che non parliamo solo della carta Ilford, ma anche di quelle Agfa, Kodak, Tetenal, e così via.

Partiamo dall'inizio. La carta MG nasce nel 1936 ad opera del direttore scientifico della Ilford, tale Frank Forster Renwich. Durante un esperimento, Renwich scoprì che un certo tipo di emulsione che stava studiando era sensibile, oltre che al blu, anche ad altri colori. Pensò allora che, preparando emulsioni differenti (sensibili a colori differenti) si potesse ottenere qualcosa di interessante e di innovativo. Preparò due emulsioni, una con il sensibilizzante, perciò sensibile al blu ma anche al verde; ed una senza, quindi sensibile solo alla luce blu. Poi unì le due emulsioni e le espose ai colori complementari, ovvero al giallo ed al magenta. E Renwich scoprì che, in pratica, le due emulsioni potevano essere esposte separatamente. Era nata la carta a contrasto variabile.

Nel 1940, alla Royal Photographic Society venne presentata la prima generazione di carte Multigrade. Il prodotto non era eccezionale, soprattutto dal punto di vista del contrasto, tant'è vero che inizialmente venne usato per sostituire le gradazioni intermedie (1, 2 e 3), mentre le carte con contrasto fisso 0 e 4 continuarono ad essere preferite.

Nel corso degli anni, comunque, la Ilford lavorò molto per migliorare il prodotto. Nel 1978 fu presentata una prima evoluzione della carta, nel 1982 una seconda (la Multigrade II), nel 1989 una terza (Multigrade III RC De Luxe), e pochi anni fa, infine, la quarta, quella attualmente in commercio.

Con la Multigrade IV si può finalmente dire che il divario tra carte a contrasto variabile e carte a gradazione fissa si sia praticamente azzerato, anche se negli ultimissimi anni ci stiamo accorgendo che proprio la Ilford sta un po' lesinando l'argento nelle sue carte politenate, il che rende più problematico ottenere dei neri davvero corposi. Comunque, spendendo un po' di più ed acquistando una politenata a contrasto variabile di qualità, come la Tetenal, si evita il problema e ci si può avventurare comodamente nel mondo della stampa fine-art.

La Multigrade IV ha portato un notevole miglioramento in termini di contrasto: ora infatti esistono i filtri da 00 (doppio zero) a 5, nonché le gradazioni intermedie (2.5, 3.5, ecc.), per un totale di dodici livelli di contrasto, più che adatti a coprire le esigenze di qualsivoglia stampatore.

Ciò si deve anche al fatto che la MG IV usa tre emulsioni, e non più due. Le tre emulsioni hanno la stessa sensibilità alla luce blu, mentre hanno risposte differenti alla luce blu/verde, quindi a seconda del filtro utilizzato producono livelli di contrasto differente.

Le carte MG sono ormai una realtà di mercato solidissima e sono presenti nei cataloghi di quasi ogni produttore. Esistono baritate, politenate, a tono caldo o a tono neutro, normali o a cartoncino, lucide, satinate, e così via.

Fatta questa lunga premessa, veniamo alla tecnica di stampa cui abbiamo accennato. Il sogno di ogni stampatore è fare un provino, magari due, scegliere un filtro, esporre la carta e ritrovarsi con una stampa perfetta. Problema: questo non succede quasi mai. Una delle situazioni più tipiche è quella di avere tra le mani un negativo con una gamma tonale che non rientra in quella ammessa dalla carta.

Poiché stiamo parlando di una tecnica che stampa che mira a regolare il contrasto, è questa la prima variabile da considerare. Il contrasto della scena ripresa è quello che ci troviamo davanti, solitamente gestibile se si sta lavorando in studio (o comunque in condizioni di luce controllata), normalmente meno regolabile se si sta scattando in esterni o in luce ambiente.
Il contrasto del negativo è invece funzione dello sviluppo, ed è di norma ridotto rispetto alla scena ripresa, proprio al fine di far rientrare il contrasto della scena nella gamma dinamica delle carte da stampa (per le quali si parla in generale di 1:50; la Ilford Classic, ad esempio, dichiara un isoR di 180 sul grado 00, che vuol dire 6 stop).
Questo significa che è possibile comprimere una scena anche di molti stop superiore ai 10 nei 3-4 stop che legge la carta di gradazione media (IsoR 90-120).

A questi limiti dei mezzi di cui disponiamo, inoltre, bisogna aggiungere eventuali ulteriori problemi: un'esposizione poco curata, per esempio, o uno sviluppo non effettuato a regola d'arte.

Non sempre la variazione del filtro di contrasto aiuta a recuperare la situazione. Salendo con la gradazione si chiudono i neri, la foto guadagna impatto ma si rischia di bruciare le alte luci. Per salvare i dettagli delle alte luci si devono usare filtri morbidi, ma allora le ombre si ingrigiscono e magari rivelano dettagli che non volevamo…

Insomma, se la coperta è corta, è inutile tirarla avanti e indietro, bisogna escogitare qualcos'altro. Ed ecco la soluzione che tutti conosciamo: le mascherature e le bruciature.

Coprendo determinate zone della foto (con le mani, con un cartoncino, o altro), si può dosare l'esposizione delle varie parti del negativo. Con un po' di occhio, di esperienza e di allenamento, si possono ottenere stampe impeccabili anche da negativi di partenza difficili.

Il problema sorge quando, per una serie di motivi, non è possibile affidarsi alle mascherature e bruciature. Il classico paesaggio esposto per il terreno e con il cielo (bianco latte) nel terzo superiore del fotogramma è facilissimo da recuperare, ma provate ad esporre per tempi differenti la foto della zia Peppina che, nella gita di Pasquetta sul lungomare di Sperlonga, ha il volto in ombra, il cielo è un lenzuolo bianco e voi desideriate che lo scialle nero di vostra zia appaia come tale e non come una indistinta macchia nera.

La sostanza è che quando i soggetti sono piccoli, o sono lontani dai bordi della foto, od hanno dei contorni irregolari, non è facile mascherarli. Certo, a furia di insistere con il fil di ferro, le forbicine, il cartoncino nero, le sagome e così via, prima o poi qualcosa si ottiene. Ma siamo sicuri che non esista un metodo più breve?

Sì, esiste, e si può sfruttare solo con le carte Multigrade.

Lo diciamo in due parole: anziché lottare con le zone chiare e le zone scure, cercando di far convivere i sei secondi ad f/8 di vostra zia con i quaranta secondi ad f/2.8 del suo scialle, il tutto nell'arco di tre centimetri, affidativi alla tecnica della Stampa Split, vale a dire una doppia esposizione.
Volendo giocare un po’ con le parole, la differenza tra questa tecnica e le classiche mascherature e bruciature sta essenzialmente in questo, e cioè che va esposta tutta la foto: le mani stanno ferme. I risultati in stampa comunque saranno differenti, proprio in virtù della differente tecnica utilizzata.

La procedura, della quale qui daremo solo un’esposizione generale invitando il lettore ad approfondirla (ad esempio tramite il sito indicato in calce all’articolo), prevede tre passaggi:

1) Scalare con contrasto basso; una volta trovato il tempo per i toni chiari, si espone un foglio;
2) Poi si inserisce un filtro duro, e sul foglio appena esposto si fa lo scalare con esso, fino a trovare il tempo per i toni scuri;
3) Si mette un altro foglio, e si fanno le due esposizioni.

La procedura rimane la medesima indipendentemente dai due gradi utilizzati (0 e 5, 1 e 4, ecc.). Naturalmente un negativo molto duro avrà bisogno dello 0 o 00; viceversa, un negativo eccessivamente morbido potrebbe non necessitare di alcuna esposizione con contrasto basso. Nel mezzo si può giocare come si vuole.

La panacea di tutti i mali? No, certamente, altrimenti nessuno userebbe più le mascherature. La Stampa Split, come detto, produce risultati diversi. Dunque non è affatto escluso l’uso di entrambe le tecniche: magari prima una doppia esposizione per salvare "il grosso", e poi qualche bruciatura qui e là per recuperare le zone più difficili.

Adoperata da sola, invece, la Stampa Split è l'ideale per recuperare negativi dove il difetto principale non stia tanto nella eccessiva differenza di luminosità tra la zona A e la zona B, bensì nel contrasto complessivo di tutto il negativo. La natura del soggetto ripreso, il tipo di illuminazione, l'esposizione data, la pellicola ed il rivelatore utilizzato, sono tutti elementi che combinati insieme possono produrre una situazione non di alte luci bruciate e/o ombre chiuse (qui entrano in gioco mascherature e bruciature), bensì di immagini globalmente equilibrate ma a cui manchi quel quid che le renda davvero gradevoli, immagini che non si salvano con la sola variazione di tutto il contrasto. Sfruttando la sensibilità "poliedrica" delle carte Multigrade si può invece migliorare la situazione.

Agostino Maiello © 11/2000
Riproduzione Riservata

Si ringrazia per le integrazioni Andrea Calabresi, fotografo, docente e stampatore fine-art