FOTOGRAFIA DIGITALE IN BN:
IL SISTEMA ZONALE HA ANCORA UN SENSO?

Chi scrive ha appreso la tecnica fotografica dai libri di Ansel Adams ed ha sempre ritenuto che, anche nel caso del medio formato e del 35mm, il Sistema Zonale fosse un'utile procedura per correlare le luminosità del soggetto ai toni di grigio dell'immagine quando questa cominciava a prendere forma nella mente del fotografo; ciò grazie ai numerosi mezzi a disposizione per il controllo del contrasto oltre a quello più ovvio dello sviluppo individuale dei negativi, che gli era precluso. Tra le novità introdotte dalla tecnologia digitale vi è la possibilità di trattare ogni scatto come qualcosa di unico, ed al bianconerista di vecchia data viene spontaneo di chiedersi se, grazie anche all'elevata nitidezza delle immagini digitali, questo non renda possibile superare anche l'ultimo ostacolo per produrre foto di elevatissima qualità senza doversi caricare delle ingombranti e pesantissime attrezzature per il grande formato.

La nostalgia del Sistema Zonale si fa sentire, ma ha ancora un senso? Facciamo un salto indietro nel tempo: il rapporto di Ansel Adams con la fotografia era principalmente estetico, e si fondava su una straordinaria abilità, sostenuta a sua volta da un rigoroso e costante esercizio, nel percepire i giochi di luce ed ombre del soggetto e nel tradurli in tonalità di grigio che esistevano solo nella sua immaginazione. Il Sistema Zonale nacque come una procedura per conferire ordine e riproducibilità ad un processo che già l'autore dominava in pieno, e si rivelò un utilissimo strumento didattico ed un trampolino per affinare la visione fotografica. Come spesso accade il nome diventò sinonimo di fotografia alla Adams, e fin qui poco male, il linguaggio fa di questi scherzi. Se però, tornati nella nostra epoca, facciamo riferimento al Sistema Zonale nel contesto della tecnologia digitale per il bianconero, in realtà stiamo parlando di una tecnica, e come tale dobbiamo valutarla. Qualunque sia la conclusione alla quale arriveremo ne sarà valsa la pena, perché il digitale, anche se ancora con qualche limite, offre eccellenti opportunità per continuare con altri mezzi l'esperienza estetica iniziata con la pellicola.

La valutazione si riduce ad un confronto tra pellicola e sensore e tra i mezzi a disposizione per controllarne il rispettivo comportamento. La differenze tra pellicola e sensore sono da cercare:

1) nelle loro rispettive gamme dinamiche.
2) nel ruolo che giocano nel processo di formazione dell'immagine finale.

La gamma dinamica è presto spiegata e non dovrebbe comunque essere un mistero per i cultori del Sistema Zonale. In termini di pellicola non è che la gamma di densità del negativo che può essere riprodotta integralmente da un carta fotografica, ed i cui estremi sono appena distinguibili dal massimo bianco e dal massimo nero della carta stessa. In realtà un negativo può raggiungere gamme di densità più ampie, e sappiamo che esse possono essere riportate entro il giusto limite agendo sullo sviluppo, ma per il momento occupiamoci di questo valore critico imposto dalla carta: prendendo come base di partenza lo sviluppo standard ed una carta di gradazione 2, se il limite minimo di densità utile del negativo si ottiene con un'esposizione in Zona I, quello massimo (la Zona IX) si raggiunge con un'esposizione maggiore di 8 stop. Ciò vuol dire che con la pellicola si può fotografare e stampare senza particolari accorgimenti una scena con una gamma di luminosità di 1:256. Non sarà necessariamente la scelta ideale, ma è un valore utile per fissare i limiti del possibile.

Il sensore non arriva a tanto: scattando in JPEG possiamo contare in media su una gamma dinamica di 5 stop, che ci permette di registrare, oltre al massimo bianco ed il massimo nero, una gamma di luminosità di 1:32. La cosa non è disastrosa come può sembrare a prima vista: ne fanno fede le diapositive, con una gamma dinamica simile a quella dei sensori, ed il vecchio adagio che, prima di diventare "esponi per le ombre e sviluppa per le luci", suonava così: "esponi per le ombre e lascia che le luci se la sbrighino da sole". Il segreto sta nella realtà del mondo che ci circonda, dove la gamma di luminosità in esterni può arrivare ad 1:1024 (dieci stop) e più, ma in generale si mantiene proprio intorno ad 1:32-1:64.

Questa limitazione dei sensori non piacerà ai nostalgici del Sistema Zonale perché li priva della libertà di salire e scendere a piacimento sulla scala delle esposizioni, e non abbiamo ancora finito. Oltre alla gamma dinamica c'è un'altra differenza tra pellicola e sensore, differenza che abbiamo definito più sopra come un diverso ruolo nel processo di formazione dell'immagine finale:

una volta scelta la corretta esposizione per le ombre e lo sviluppo per controllare il contrasto, al fine dei risultati di stampa il negativo è una costante, tutto il resto avviene dosando la quantità di luce che raggiunge la carta. Anche eventuali correzioni delle linee cadenti lasciano il negativo inalterato.
nella fotografia digitale, invece, il risultato finale - sia questo un'immagine visionata su un monitor, o mediante un proiettore digitale, o come stampa - è funzione delle trasformazioni che, mediante il computer, effettuiamo sul file scaricato dalla fotocamera. Ora, trasformare un file digitale vuol dire estrarre nuove informazioni da quelle disponibili, ed è intuitivo che quanto maggiore è il numero di queste ultime, tanto maggiore sarà la precisione del risultato.

È tipico dei sensori che, a parità di soggetto ed entro i limiti della loro gamma dinamica, un'immagine sovraesposta contenga più informazioni di un'immagine esposta correttamente ed a maggior ragione di un'immagine sottoesposta. La teoria è semplice: un soggetto con una gamma di luminosità continua, compresa tra x e 2x verrà riprodotto come una serie di:

128 grigi diversi, con luminosità da 128 a 255, se esposto al limite massimo della gamma dinamica del sensore
64 grigi diversi, da 64 a 127, se esposto uno stop in meno
32 grigi diversi, da 32 a 63, se esposto due stop in meno

Ne consegue che, in previsione di successive trasformazioni in postproduzione, si ha tutto l'interesse a spostare l'esposizione verso l'alto. Questo dovrebbe risultare più chiaramente dalle Figg. 1 e 2.

Nadir Magazine ©

Fig. 1

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A sinistra: Fig. 2

In Fig. 1 troviamo tre immagini dello stesso soggetto, ma con diversa esposizione. Dall'alto in basso:

sottoesposta di uno stop
scattata in esposizione automatica
sovraesposta di uno stop

A queste immagini corrispondono in Fig. 2 gli istogrammi 1, 2, 3, ed è chiaramente visibile come essi non solo siano spostati verso destra ma al tempo stesso essi abbiano espanso la loro base, a conferma del fatto che con l'esposizione il numero di grigi compreso tra i due estremi aumenta.

Separatamente, operando sui livelli di Photoshop abbiamo schiarito l'immagine sottoesposta e scurito quella sovraesposta in modo da portare gli estremi degli istogrammi a coincidere con buona approssimazione con quello dell'immagine centrale. L'istogramma 3b, risultante da una compressione dell'istogramma 3, presenta una irregolarità sotto forma di picchi molto ristretti che stanno ad indicare come parte dei pixel dell'originale siano andati ad incrementare il numero dei pixel di luminosità ben precise, ma nel complesso non sono presenti discontinuità: ad ogni valore di luminosità si affiancano quelli immediatamente adiacenti. Al contrario l'istogramma 1b, risultato di un'espansione dell'istogramma 1, non contenendo informazioni sufficienti per creare valori di luminosità intermedi, è caratterizzato da zone di discontinuità: nell'immagine mancano i toni di grigio corrispondenti. Ed ingrandendo le immagini ecco come si presentano rispettivamente quella ottenuta dalla sotto- e sovraesposizione (Vedi Fig. 3).

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Fig.3

Per chi vuole avvicinarsi al digitale prendendo le mosse dal Sistema Zonale c'è quindi ben poco da fare: la gamma dinamica limita fortemente la flessibilità nell'esposizione anche quando questa flessibilità esiste grazie ad un ridotto contrasto del soggetto l'esigenza della massima qualità dell'immagine forza a sovraesporre, lasciando ai programmi di grafica come Photoshop l'onere di ricondurre l'immagine nei limiti di luminosità desiderati.

Da notare che, grazie alla possibilità di leggere l'istogramma del soggetto sul display della maggior parte delle fotocamere, il compito del fotografo al momento dello scatto è enormemente facilitato.

Resta ancora da vedere se c'è altro da fare in fase di ripresa o se tutto è rinviato alla fase di postproduzione. Elenchiamo tre possibilità:

Fotografare in RAW. Si guadagna circa uno stop di gamma dinamica, con una notevole apertura delle ombre, e non è cosa da poco. Naturalmente c'è da prendere in considerazione il peso e di conseguenza il ridotto numero di file che la fotocamera può memorizzare, ma il fotografo proveniente dalla scuola della foto meditata non è portato a sparare a raffica, e questa limitazione non rappresenta un inconveniente, almeno per quanto riguarda le uscite nel proprio ambiente o le escursioni di fine settimana.

Regolazione del contrasto incorporata nella fotocamera. Meno efficace ma da non trascurare. La Fig. 4 mostra chiaramente le differenze fra tre scatti dello stesso soggetto, rispettivamente ad alto, normale e basso contrasto. Da osservare che questa funzione non espande o comprime l'istogramma se non in misura minima, bensì cambia la distribuzione delle tonalità in favore di quelle intermedie, come si può vedere dai rispettivi istogrammi. Le tonalità estreme rimangono al loro posto, e se cadono al di fuori della gamma dinamica saranno irrimediabilmente perse.

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Fig. 4

Fusione di due file. Richiede un cavalletto, e consiste nello scattare due foto identiche ma esposte in modo da favorire rispettivamente le luci e le ombre. In linea di massima è sufficiente impostare la macchina per il bracketing con sovra- e sottoesposizione di 1 stop; con la pratica si arriverà a stimare la correzione ottimale per ogni soggetto. La foto esposta senza correzione servirà come elemento di riferimento, mentre quelle sovra- e sottoesposte verranno miscelate in fase di postproduzione con Photoshop e seguendo questa procedura, più lunga da descrivere che da eseguire:

Aprire la foto sottoesposta
Seleziona>Tutto
Modifica>Copia
Chiudere la foto sottoesposta
Aprire la foto sovraesposta
Modifica>Incolla
Livello>Aggiungi maschera di livello>Mostra tutto
Finestra>Livelli
Nella paletta dei livelli, cliccare su Sfondo
Seleziona>Tutto
Modifica>Copia
Premere il tasto ALT (o Option, secondo la tastiera) e nella paletta dei livelli, Livello 1, cliccare nel rettangolo bianco. Al di sopra della foto appare una maschera bianca.
Modifica>Incolla
Filtro>Sfocatura>Controllo Sfocatura (40 punti come punto di partenza, ma sperimentare anche con altri valori)
Nella paletta dei livelli cliccare su Sfondo
Livello>Unisci visibili
Eventualmente apportare piccole correzioni con Immagine>Curve o Immagine>Livelli

La Fig. 5 è un esempio di ombre parzialmente chiuse e luci sbiadite per eccesso di contrasto del soggetto.

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Fig. 5

La Fig. 6 è la stessa foto, sottoesposta di uno stop: le ombre sono completamente chiuse, le luci sono scure ma i caratteri di stampa hanno acquistato più definizione.

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Fig. 6

La Fig. 7 mostra l'effetto della sovraesposizione di uno stop: le ombre sono praticamente aperte al 100%, le luci sono bruciate.

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Fig. 7

La Fig. 8 è il risultato della procedura descritta più sopra, con in più un piccolo ritocco dei livelli per schiarire le luci (nel caso particolare la carta non era bianca ma leggermente grigia).

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Fig. 8

In conclusione, il bianconero digitale può riservare grosse soddisfazioni ma richiede un drastico adattamento alle nuove condizioni, rinunciando alla magia del frugare con l'occhio indiscreto dell'esposimetro nei segreti delle ombre e del chiamare a raccolta tutte le vecchie conoscenze accumulate per domare le luci più prepotenti. Questo non significa che la cosa non possa essere portata avanti in parallelo alla fotografia tradizionale: l'autore continua imperterrito ad usare Contax e Hasselblad a pellicola secondo ciò che le circostanze ed il capriccio del momento gli dettano. Il comune denominatore tra le due tecniche è lo spirito di ricerca dell'immagine e di metodi per raggiungere i risultati prefissi. E questa, in ultima analisi, è l'unica cosa che conti.

Romano Sansone © 04/2007
Riproduzione Riservata

Nota: la foto grande che appare come soggetto nelle illustrazioni di questo articolo è del noto fotografo svizzero Peter Gasser.