SONY: NUOVO
SENSORE IMX021

Come e perché il sensore CMOS può avere meno rumore del CCD alle alte sensibilità

Iniziano a diffondersi le prime informazioni tecniche dettagliate sul nuovo sensore Sony IMX021, annunciato a fine agosto.
E' noto infatti che i sensori CMOS delle reflex Canon hanno una marcia in più sulla concorrenza proprio in termini di contenimento del rumore digitale, grazie a della circuiteria apposita integrata sul sensore stesso. Gli altri produttori, invece, per contrastare il rumore digitale si affidano a delle elaborazioni sul segnale che avvengono in una fase successiva, meno efficienti: più si riduce il rumore, più si riduce la nitidezza dell'immagine, specie con i dettagli fini.
Ne deriva che, per quanto col tempo gli algoritmi migliorino, ogni produttore deve fare una scelta tra il tenersi un'immagine rumorosa ma dettagliata o una con meno rumore ma anche più sacrificata nei dettagli. A complicare le cose ci si mette anche il fatto che, spesso e volentieri, la gestione del rumore varia tra modello e modello di fotocamera anche all'interno della stessa marca, che la resa è diversa a seconda se si lavori in RAW o in JPEG, e che su alcuni modelli il sistema di riduzione del rumore è disinseribile - e in alcuni casi dosabile - ed in altri no.
Tutto ciò premesso, Sony è, tra i fabbricanti di sensori, il primo che prova a seguire la stessa strada di Canon, e nei primi commenti apparsi sulla Rete si colgono molti apprezzamenti per l'eleganza della soluzione tecnologica introdotta. In attesa delle prime prove pratiche, che daranno la misura della reale portata dell'innovazione, proviamo a capire più in dettaglio di cosa si tratta.

Uno dei vantaggi dei sensori di tipo CMOS rispetto a quelli CCD sta nella possibilità di integrare sullo stesso chip, in aggiunta ai fotodiodi necessari a costruire l'immagine, anche una serie di circuiti aggiuntivi che possano svolgere determinate funzioni (chi ha dubbi su come sia fatto un sensore può consultare il nostro articolo "Il sensore: che cos'è, a cosa serve?").
Solitamente in un sensore d'immagine CMOS c'è un amplificatore per ogni fotodiodo che, appunto, amplifica il segnale (raccolto dal fotodiodo); il segnale, dopo un passaggio all'interno di un circuito che si chiama CDS (Correlated Double Sampling) che ha il fine di rimuovere il rumore causato dalle (inevitabili) disuniformità di risposta dei singoli amplificatori, arriva al convertitore ADC (Analog-to-Digital Converter) che, campionandolo, lo converte in un segnale digitale e lo invia... al resto della fotocamera. Questa è, in estrema sintesi, la logica di funzionamento di un sensore fotografico costruito con tecnlogia CMOS.


Quali sono i limiti, o, se vogliamo, le aree di miglioramento di questa tecnologia?
La prima è che a loro volta i circuiti CDS introducono del rumore (tutti i componenti generano rumore, purtroppo); la seconda è che tali circuiti necessitano di altre componenti per memorizzare via via il segnale depurato del rumore, prima di passarlo all'ADC. Questi componenti di "stoccaggio" si chiamano convenzionalmente "capacitor" e, ovviamente, occupano spazio sul sensore, sottraendolo così all'area disponibile per i pixel (e consumano energia).

Per ovviare a tutto questo Sony ha predisposto un sensore CMOS con un'architettura diversa, che si può trovare spiegata in questo documento e che alla base ha una tecnologia, che Sony ha brevettato, definita "Column-Parallel A/D Conversion Technique"; il brevetto (in inglese) potete trovarlo qui.
Semplificando al massimo, l'idea è la seguente: si posiziona un ADC alla fine di ogni colonna di pixel, così che il segnale (analogico) proveniente dai fotodiodi viene subito convertito in digitale senza dover essere trasportato nei CDS e poi stoccato in attesa di arrivare all'ADC; spariscono dunque i "capacitor" menzionati poc'anzi, perché non più necessari. Inoltre, la possibilità di lavorare sul segnale digitale rende la cancellazione del rumore più precisa e, a sua volta, meno generatrice di rumore (quando invece lavorano in analogico, i CDS sono soggetti a variazioni nel funzionamento).

A questi vantaggi va aggiunta l'elevata velocità di elaborazione: il fatto che la conversione da analogico a digitale venga effettuata per ogni colonna di pixel, infatti, rende possibile farla in parallelo su più colonne, e ad una frequenza molto bassa; poiché il rumore riguarda invece le frequenze più alte, diventa più facile individuarlo rispetto al segnale, e quindi eliminarlo. Questo margine di sicurezza rende possibile garantire una elevata riduzione del rumore anche quando la velocità di scatto o il numero di pixel crescono.
Qualcuno dirà: brava Sony, ma come la mettiamo - in termini di complessità e di consumo - con un sensore che anziché un singolo ADC ne ha migliaia?
Ebbene, l'eleganza di questa soluzione sta proprio in questo, e cioè nel fatto che in sostanza gli ADC impiegati da Sony sono molto semplici e lineari, in pratica solo una coppia di componenti, un "comparatore" e un "contatore". Il primo confronta l'output in pixel con il segnale originario (la carica elettrica ricevuta dal fotodiodo) mentre il secondo, come dire, "tiene il passo" e scandisce i cicli di clock nei quali vengono effettuate le varie operazioni (conversione da analogico a digitale, individuazione del punto in cui la conversione è terminata, invio del segnale ora digitale ai CDS per la cancellazione del rumore, e così via). Una tecnica che combina conteggi incrementali o decrementali, ed opportuni cambi di stato, rende il tutto molto efficiente in termini di risultati e molto contenuto in termini di complessità.
A questo punto non resta che attendere le prime prove sul campo per verificare la reale portata di queste nuove tecnologie che, sulla carta, promettono di far fare un deciso passo in avanti alla qualità delle immagini digitali alle alte sensibilità.

A cura della Redazione di Nadir © 09/2007