LA SCATOLA VUOTA
Il miraggio tecnologico e il primato della creatività

Nadir Magazine ©Mi stupisce sempre quanto tempo la gente spenda a discutere di attrezzatura fotografica. Le persone hanno fame di pareri su obiettivi, pellicole, su quale fotocamera sia la migliore e così via. È pur vero che in fotografia un buono strumento è un importante aiuto, ma resta il fatto che la fotocamera è una scatola vuota: siamo noi a riempirla di idee e immagini. Di questo si dovrebbe parlare, mentre la maggioranza è più interessata al mezzo che non al fine, cioè il significato di una foto, lo sviluppo di un approccio estetico e mentale, quali sensazioni trasmettere e come farlo.

Questioni che sono l’essenza stessa del fotografare, soprattutto se è la Natura l’oggetto delle nostre attenzioni. È un’esperienza classica per chi tenga delle proiezioni: le domande vertono sempre sulle pellicole usate, se è meglio la marca X piuttosto che la Y, e via disquisendo. Niente di male in sé e per sé, ma fa riflettere che l’attenzione sia puntata quasi solo su questo. Girando nei forum di discussione sul web, la tendenza è ancora più netta: dispute feroci si scatenano sui minimi dettagli di un attrezzo, si aprono dibattiti addirittura sui modelli prossimi venturi (che nessuno ha ancora avuto modo di provare).

Cosa può significare? Magari che il fotografo, un po’ come tutti i consumatori, quando compra un oggetto gli affida le proprie possibilità di riuscita, sublima in esso le sue insicurezze. Non diventa solo l’acquirente di uno strumento, ma si trasforma spesso in un crociato del marchio: difendendolo egli difende le proprie scelte, e in ultima analisi se stesso, come se le osservazioni sollevate contro il suo corredo fossero critiche personali. Meccanismi che gli esperti di marketing conoscono bene, e che sfruttano per legarci ai loro prodotti, non solo in fotografia: la logica non è più quella di produrre un bene migliore della concorrenza. In un mercato caratterizzato dall’appiattimento dell’offerta, l’obiettivo è vendere all’acquirente un’idea di sé, un feeling, la confortante sicurezza dell’omologazione ad un modello, una tribù cui appartenere. Alla fine, scegliamo un prodotto in base all’immagine che ci restituisce di noi stessi. Imbattersi in qualcuno per cui un oggetto è solo uno strumento con una funzione, è sempre più raro, tanto da far pensare che la scatola vuota del titolo sia talvolta il cranio del consumatore, anziché la fotocamera.

E ancora: di hardware è facile parlare. Snocciolare dati tecnici o ripetere slogan non richiede molto sforzo né grande capacità critica. Molto più difficile è comunicare la propria interiorità, capire ciò che ci spinge a fotografare. Spesso non se ne sente nemmeno l’esigenza: è un processo intimo che non ci sforziamo di analizzare. Più spesso abbiamo pudore delle nostre emozioni, ci facciamo scudo di questioni esteriori per non parlare di ciò che proviamo. E difficilmente accettiamo di mettere in discussione quel che di nostro infondiamo nelle immagini, perdendo così l’abitudine al dialogo, al confronto e alla condivisione. Il paradosso è servito: in un mondo in cui oggi si può comunicare in qualsiasi momento e con qualsiasi mezzo, le persone hanno poco di significativo da dirsi, e poca voglia di farlo.

Così, mentre fotografare non è più attività ristretta a pochi, o relegata alle ricorrenze tradizionali (compleanni, vacanze ecc.) e diventa un gesto quotidiano, le digitali da taschino, i “fotofonini”, così come l’ultima costosa reflex digitale, non aggiungono una virgola all’attrattiva e al contenuto delle nostre fotografie.

Vitantonio Dell'Orto © 12/2005
www.exuviaphoto.it
Pubblicato in "L'Arzigogolo" di gen/feb 2005, Oasis 159

La foto - Uno scatto realizzato con una fotocamera meccanica del ’70. La fotocamera è solo una scatola vuota: tocca a noi riempirla di emozioni.