DISTANZA IPERFOCALE E PROFONDITA' DI CAMPO
A. Maiello e R. Sansone, gennaio 2002

MOLTI LE IDENTIFICANO CON LA STESSA COSA, MA NON LO SONO AFFATTO. VEDIAMO DI CHIARIRCI LE IDEE.

Che cosa sono? Sono due distanze strettamente connesse tra loro.
Per capirne il rapporto facciamo un passo indietro, e ricordiamo la distinzione tra immagine "a fuoco" ed immagine "nitida". A rigor di termini un obiettivo non può mettere a fuoco contemporaneamente oggetti a distanze diverse. Una volta messo a fuoco un oggetto ad una certa distanza, tutti gli altri oggetti al di qua ed al di là dell'oggetto a fuoco saranno più o meno "sfocati". Tuttavia entro certi limiti l'occhio ne accetta l'immagine come nitida. La zona entro la quale, per certe condizioni di ripresa, gli oggetti vengono riprodotti come accettabilmente nitidi, si chiama profondità di campo.

Con un obiettivo da 75mm messo a fuoco su un oggetto a 4 m e chiuso a F/11, gli oggetti riprodotti in maniera "nitida" si troveranno tra 3 e 6 metri. L'esempio suggerisce che la profondità di campo dipende da tre fattori:

In particolare la profondità di campo aumenta:

Quando la combinazione di tutti i fattori elencati fa sì che la profondità di campo si estenda fino all'infinito, la distanza sulla quale è regolato l'obiettivo viene detta "distanza iperfocale".
Nel caso indicato, 7m è la distanza iperfocale di un 75 mm ad F/16. Ad F/22 la distanza iperfocale dello stesso obiettivo sarà 5m.

Tutto questo ci dice solo fino a dove verranno rappresentati in maniera nitida i punti al di là della distanza iperfocale. Che cosa possiamo dire dei punti al di qua? Semplice: verrano rappresentati in maniera nitida i punti tra la distanza iperfocale e la sua metà, cioè ad F/11 i punti tra 7 e 3.5 metri; ad F/22 i punti tra 5 e 2.5 metri.

In sintesi, per un obiettivo di lunghezza focale 75 mm:

Facendo un po' di violenza alla definizione di distanza (una distanza è pur sempre una lunghezza) può essere utile visualizzare la distanza iperfocale come un punto, a partire dal quale si estende nei due sensi una zona di nitidezza: da un lato fino all'infinito, dall'altro fino alla metà della distanza iperfocale stessa.

A cosa serve la distanza iperfocale? Ad avere contemporaneamente "a fuoco", cioè nitidi, sia il primo piano che lo sfondo di un'immagine, o, in altre parole, per avere la massima estensione della profondità di campo per ogni valore di diaframma.
Qualcuno dirà: ma per questo, non basta chiudere il diaframma? No, è la combinazione dell'uno con l'altra che garantisce il risultato desiderato: se scegliamo 7m come distanza di messa a fuoco di un 75mm, questa sarà "iperfocale", cioè darà nitidezza fino all'infinito, ad F/16, ma non sarà iperfocale ad F/11 o F/8. Viceversa, se per qualsiasi ragione scegliamo di lavorare ad F/16 e vogliamo la massima estensione della profondità di campo dobbiamo mettere a fuoco su 7m, non su 6 o su 9.

Concretamente, come mettiamo in pratica questi principi sui nostri obiettivi? Il tutto è molto più semplice di quanto possa sembrare, se si segue la spiegazione avendo davanti a sè un obiettivo, preferibilmente un 50 mm, in modo che gli esempi dati qui di seguito possano essere facilmente ripetuti. (A questo punto è doverosa una precisazione: anche se i dati citati più sotto provengono da un 50 mm, il lettore dovrà prenderli con un certo grado di approssimazione e sostituirvi i propri per maggiore esattezza. Infatti la profondità di campo è una caratteristica basata su una tolleranza soggettiva della nitidezza e diversi fabbricanti possono adottare scale diverse. Così uno Zeiss Distagon 50 mm per medio formato, un vecchio Canon 50 mm F/1,8 ed uno zoom Canon 35-105mm regolato su 50mm hanno rivelato visibili differenze). Occorre che l'obiettivo abbia incisa sul barilotto una serie di coppie di numeri indicanti le aperture del diaframma, che va per l'appunto sotto il nome di "scala delle profondità di campo", come per es.

16 - 11 - 8 - 4 - 2.8 * 2.8 - 4 - 8 - 11 - 16


Per ogni coppia, uno dei due valori corrisponde al limite inferiore della profondità di campo, il secondo al limite superiore. Il segno * è la tacca di riferimento per la messa a fuoco. Da sola, la scala delle profondità di campo è assolutamente inutile: essa va utilizzata insieme alla ghiera delle distanze. La scala delle profondità di campo è fissa, la ghiera delle distanze è ovviamente mobile in funzione della distanza su cui si mette a fuoco.

Esempio N° 1
Mettiamo a fuoco il nostro 50mm su 2m, e supponiamo di lavorare ad F/11. Le distanze sotto i due numeri 11 sulla scala delle profondità di campo sono all'incirca 1,5m e 3,5m, distanze che delimitano appunto la zona di nitidezza.

11
----------------8----------------I----------------8---------------
11
1,5m
11,2m
3,5m

Esempio N° 2
Mettiamo ora a fuoco all'infinito: sotto uno dei due 11 troveremo ± 4.5, sotto l'altro non troveremo nulla, dato che cade al di fuori della scala delle distanze.

11
----------------8----------------I----------------8---------------
11
4,5m
infinito

Il limite minimo della profondità di campo è 4,5m, quello massimo è l'infinito (più in là dell'infinito non si può andare)

Esempio N° 3
Spostiamo quindi il segno di infinito sotto questo 11 "vuoto". L'obiettivo sarà ora a fuoco su 4.5 m, e sotto l'altro 11 troveremo all'incirca 2.2 m.  

11
----------------8----------------I----------------8---------------
11
2,2m
4,5m
infinito

Il limite minimo della profondità di campo è 2,2m, quello massimo è ancora l'infinito, mentre 4,5m rappresenta la distanza iperfocale per un 50 mm ad F/11. Questo illustra la relazione tra distanza iperfocale e massima profondità di campo.
Continuando in maniera analoga potremmo osservare come ad F/8 la d.i. è ± 6 m, il limite massimo della profondità di campo è sempre l'infinito ma il limite minimo si è allontanato a 3 m; al contrario ad F/16 la d.i. è di ± 3 m il limite minimo si è avvicinato ad 1,5m, il che non rappresenta nulla di nuovo: com'è noto a diaframmi più chiusi corrisponde una maggiore profondità di campo.
Detto questo, come si trova la distanza iperfocale? Paradossalmente non ce ne importa niente! Infatti:

  • si sceglie il valore di diaframma da utilizzare;
  • si pone il simbolo di infinito che si trova sulla scala delle distanze sotto uno dei valori del diaframma scelto sulla scala delle profondità di campo. Quale? Non c'è scelta, il simbolo di infinito può muoversi solo entro la tacca di messa a fuoco e metà della scala di profondità di campo;
  • a questo punto l'obiettivo si trova automaticamente regolato sulla distanza iperfocale;
  • il limite minimo della profondità di campo sarà automaticamente impostato sotto l'altro valore del diaframma scelto sulla scala delle profondità di campo, e sarà uguale alla metà della distanza iperfocale.

Qualcuno obietterà "E non potevate dirlo prima?". Sì, ma poi come facevamo a spiegare cos'è la distanza iperfocale? Naturalmente il discorso si può fare a ritroso: applicare cioè il concetto di profondità di campo e di distanza iperfocale per trovare il diaframma necessario conoscendo le distanze.
Se per esempio vogliamo ottenere una zona nitida da 1,5 a 3,5 metri, che diaframma dobbiamo utilizzare? Risposta: muovere la ghiera di messa a fuoco finchè i due valori 1.5 e 3.5 (le distanze) non si trovano rispettivamente in corrispondenza di una coppia di valori di diaframma indicati sulla scala delle profondità di campo (esempio N° 1 letto al contrario). Questo avverrà per i valori di F/11 che è quindi il diaframma da adottare. L'obiettivo è automaticamente a fuoco su 2 metri.
Lo stesso vale se vogliamo una zona nitida tra 3 m e l'infinito. Portiamo le distanze 3 m ed ° a coincidere con una coppia di valori del diaframma. Questo avverrà per F/8, che è il diaframma da adottare. L'obiettivo sarà automaticamente a fuoco su 6m. Che poi questa sia la distanza iperfocale fa piacere saperlo. E se l'obiettivo non ha la scala delle profondità di campo? Pazienza: bisogna affidarsi all'esperienza, oppure si può ricorrere a delle formule, ma questo è un altro discorso.

A. Maiello e R. Sansone © 01/2002
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