L'ALTERNATIVA
Ovvero, come poter fotografare senza cavalletto
Michele Vacchiano, marzo 2002

"Se non posso usare il cavalletto, preferisco rinunciare alla fotografia" affermava un grande fotografo in una pubblicità di molti anni orsono. Ma il cavalletto è davvero così importante? Se sì, è davvero l'unico modo per assicurare alla camera la necessaria stabilità? Vediamo insieme se esistono alternative al tradizionale treppiede. A volte basta un po' di fantasia.

Quando ho l'occasione di leggere certe vecchie riviste di fotografia mi soffermo soprattutto sulla pubblicità. La pubblicità è illuminante: fa capire quanto velocemente sia trascorso il tempo e quanto siano cambiate le tendenze. Negli anni Settanta il target, o bacino di utenza se preferite, comprendeva tutti i fotografi, tanto dilettanti quanto professionisti: "Progresso fotografico" pubblicizzava la Cosina e la Topcon accanto alla Mamiya Press o alla Koni Omega; "Fotografare" pubblicava articoli che mettevano a confronto macchine a banco ottico come Linhof, Plaubel e Sinar insieme alla pubblicità a tutta pagina degli Schneider Symmar. Tempi che mi appaiono lontani almeno quanto la contestazione studentesca o le notti passate nei bistrot del Quartier latin. Nessun rimpianto, solo la constatazione che le cose cambiano in fretta. Oggi il target si è ristretto e abbassato, la gente ha fretta e i fotoamatori sembrano più interessati alla comodità di esercizio che non al piacere di fotografare. Se poi i risultati sono mediocri, poco importa: è il prezzo da pagare e fa parte del gioco. Ma questa è un'altra storia.


Circa un mese fa mi capitò tra le mani un vecchio numero de "Il fotografo", rivista Mondadori che usciva negli anni Ottanta. Ben fatta, ma ebbe una vita troppo breve. Tra gli annunci pubblicitari ne ricordo uno della Manfrotto, che utilizzava come testimonial nientemeno che il celebre Fulvio Roiter, il quale affermava (cito a memoria): "Se non posso usare il cavalletto, preferisco rinunciare alla fotografia". Per quanto mi riguarda non ci credo neppure se lo vedo, ma l'affermazione - la cui perentorietà era giustificata dalla finalità promozionale - contiene in sé una grande verità: il mosso (insieme al ben più subdolo micromosso) è il maggiore responsabile della perdita di nitidezza delle immagini.

Esiste una regola empirica, tramandata da decenni, secondo la quale il fotografo riuscirebbe ad evitare il mosso a mano libera ricorrendo a un tempo di otturazione pari (più o meno) al reciproco della lunghezza focale dell'obiettivo. Secondo questa regola, con un 28 mm non si può scendere al di sotto del trentesimo di secondo; 1/60 di secondo con il normale da 50 mm mentre con un 200 mm è bene restare più veloci di 1/250. Balle. La cosa funziona solo se vi accontentate di stampine formato cartolina. Provate a proiettare l'immagine o a stamparla in formato superiore ai 20x30 cm e poi ne riparliamo.

Attenzione: quando parlo di mosso non intendo soltanto quello banale e scontato che si imprime alla fotocamera quando si aziona il pulsante di scatto (c'è gente che ci mette la forza necessaria a frantumare una nocciola): per evitare questo basta imparare ad impugnare correttamente la reflex (mano sinistra sotto l'obiettivo, con il pollice e il medio pronti a regolare messa a fuoco e anello dei diaframmi); quando dico "mosso" intendo anche - forse soprattutto - le vibrazioni dovute al ribaltamento dello specchio reflex, che in alcuni modelli di fascia economica (ma non solo in quelli, purtroppo) sono in grado di influire pesantemente sulla nitidezza dell'immagine. Non per niente esistono le levette per ribaltare manualmente lo specchio quando si eseguono lavori di precisione. Questo è il mosso più subdolo e più difficilmente evitabile: neppure il cavalletto, a volte, riesce ad attutirlo completamente. L'unica soluzione consiste nel consultare, prima dell'acquisto, i test pubblicati dalle riviste specializzate: accanto ai dati sulla precisione dell'esposimetro TTL c'è anche, di solito, il grafico delle vibrazioni.

Un altro pericolo è dovuto alle vibrazioni meccaniche imposte dalle condizioni esterne: il vento è in grado di muovere lunghi teleobiettivi se fissati al cavalletto in un solo punto; se si fotografa da mezzi in movimento, o anche dall'auto ferma ma con il motore acceso, le vibrazioni sono assicurate.

I metodi per evitare il mosso sono soltanto due:

La durata del lampo è di per sé sufficiente a "congelare" le vibrazioni: un flash TTL usato da vicino emette luce per un cinquantamillasimo di secondo: quanto basta per fermare le ali di un Bombus terrestris in volo librato. Tuttavia a volte il soggetto è troppo lontano da consentirne l'uso. Pertanto non resta che la seconda soluzione: evitare di fotografare a mano libera. Già, facile a dirsi, ma che succede quando non si può usare il cavalletto? Bene, ecco qui di seguito una tabella che spero potrà tornarvi utile: tutti (beh, insomma, quasi tutti) i sistemi per tener ferma la fotocamera, con descrizione di vantaggi e svantaggi. Dopodiché, a voi la scelta.

Foto a sinistra e sotto - Cavalletti, teste a sfera e a tre movimenti, monopiedi, morsetti di varia foggia e "beanbags": che cosa non si fa per un po' di stabilità in più! Il problema è che ben pochi di questi sistemi sono in grado di sostenere apparecchi più pesanti (o più complessi dal punto di vista operativo) di una reflex di piccolo formato.

Sistema Vantaggi Svantaggi
Cavalletto o treppiede (tripod)
Garantisce una buona stabilità. Consente di avere le mani libere e di effettuare con la massima calma tutte le necessarie regolazioni. Per questo è irrinunciabile quando si lavora in grande formato (le "press camera" possono essere usate a mano libera, ma solo in luce lampo). Consente un elevato grado di precisione grazie alla testa a tre movimenti e alle bolle di livello incorporate nei modelli di fascia più elevata. I modelli più leggeri sono facilmente trasportabili e possono essere utilizzati all'aperto. I sistemi ad attacco rapido permettono di montare e smontare rapidamente l'apparecchio dal supporto. I modelli migliori permettono lo sblocco delle zampe, che si aprono al massimo per consentire riprese (quasi) al livello del suolo.
Usato in esterni pone diversi problemi. In alcuni luoghi (chiese, musei) è espressamente vietato, ed anche in strada può essere oggetto di contestazioni da parte dei tutori dell'ordine. In ogni caso è ingombrante e può costituire intralcio (provate ad aprirlo in piazza Navona alle quattro del sabato pomeriggio!). Per quanto leggero sia (ma per funzionare bene dovrebbe comunque essere più pesante dell'apparecchio che vi è montato) è sempre un oggetto in più da trasportare, con una sua massa e un suo ingombro: questo può costituire un argomento discriminante in caso di trekking o ascensioni in alta quota. I cavalletti metallici non sono in grado di attutire in modo ottimale le vibrazioni impresse dal ribaltamento dello specchietto reflex: per questo vanno meglio i modelli in legno. Il vento può imprimere vibrazioni ai lunghi teleobiettivi se fissati in un solo punto: in caso di riprese in montagna o comunque in luoghi ventosi sarebbero necessari due supporti, tipo un cavalletto sotto il teleobiettivo e un monopiede (o un altro cavalletto) sotto la macchina. Appare evidente come nella maggior parte delle situazioni una simile soluzione sia di fatto improponibile.
Monopiede (monopod)
Consente di non affaticare la mano quando si debbano sostenere lunghi teleobiettivi. Permette al fotografo di utilizzare con maggiore libertà la mano sinistra per regolare diaframma e messa a fuoco. E' più leggero e più facilmente trasportabile del classico treppiede. Non richiede l'uso di teste a tre movimenti o snodi sferici; non richiede sistemi ad attacco rapido perché si fa più in fretta ad avvitarlo direttamente ai fori filettati presenti sul fondo della fotocamera e degli obiettivi. E' meno appariscente del cavalletto e pertanto può essere usato in esterni con maggiore disinvoltura. E' dotato di allungamento telescopico e può essere bloccato a diverse altezze. Volendo può essere usato come bastone per appoggiarsi.
Non può in nessun caso sostituire il cavalletto. Richiede comunque che la macchina venga sostenuta con la mano se si vuole evitare di farla cadere. Evita il rischio di mosso verticale ma non il mosso dovuto agli spostamenti laterali. Non è in grado di attutire in modo ottimale le vibrazioni impresse dal ribaltamento dello specchietto reflex. Anche se lo si chiude completamente per usarne una sola sezione, ha comunque una certa altezza da terra e non consente riprese al livello del suolo. Non permette il perfetto allineamento della fotocamera come avviene con i cavalletti dotati di livella a bolla. Per questo motivo (oltre che per la necessità di doverlo continuamente sostenere) è del tutto inutilizzabile con gli apparecchi di grande formato.
Morsetti (clamps)
Permettono di fissare la fotocamera ai supporti più disparati quali rami, pali, stipiti di porte; alla portiera o al vetro dell'auto, alle barre del portapacchi; a tralicci, palizzate o inferriate delle finestre. Alcuni modelli sono equipaggiati con ventose per aderire alle superfici lisce. Estremamente versatili e leggeri, i morsetti sono anche leggeri da trasportare e poco ingombranti.
Non hanno la stabilità del cavalletto tradizionale e non possono sostenere macchine molto pesanti. Non consentono il perfetto allineamento dell'apparecchio, a meno che non siano equipaggiati con una testa separata dotata di livella a bolla. Non sono in grado di attutire in modo ottimale le vibrazioni impresse dal ribaltamento dello specchietto reflex. Il loro uso è subordinato alla presenza di un supporto, per cui diventa difficile adoperarli nel deserto, sulla spiaggia o in alta montagna, al di sopra della fascia della vegetazione arborea.
Sacchi morbidi (beanbags) e loro succedanei
Il classico "sacco di fagioli" è a mio avviso il supporto ideale per lavorare con lunghi teleobiettivi. La sua morbidezza e la sua capacità di adattarsi alla forma dell'apparecchio, che viene accolto e quasi avvolto come dalla poltrona di Fantozzi, lo r endono talvolta più affidabile dello stesso cavalletto. Attutisce le vibrazioni impresse dal ribaltamento dello specchio reflex meglio di quanto non faccia il treppiede tradizionale, nonché le vibrazioni dovute al vento o a cause meccaniche (ad esempio quando si fotografa dall'auto con il motore acceso). Può essere appoggiato in terra assicurando riprese a livello del suolo; su una roccia per ammorbidire il contatto tra la pietra e la carrozzeria dell'apparecchio, alla portiera dell'auto quando si fotografa dalla macchina. Economico, facile da realizzare in casa e leggerissimo, può assolvere alle più diverse funzioni, non ultima quella di cuscino capace di dare ristoro alle stanche terga del fotografo. Il sacco (va benissimo la federa di un cuscino) può essere riempito di fagioli o lenticchie secche, gommapiuma a pezzetti, segatura, gelatine sintetiche, lana o fibre acriliche. Gli effetti sono diversi a seconda del materiale: la gommapiuma è morbida ma relativamente elastica, le lenticchie o la segatura sono più stabili. Il segreto sta nel non riempire troppo il sacco, per consentirgli la migliore adattabilità. Può essere sostituito da tutto ciò che gli assomiglia: la giacca a vento ripiegata, lo zaino (purché riempito con oggetti morbidi), maglioni vari, coperte. Va comunque detto che il classico cuscino è la soluzione migliore, proprio perché capace di adattarsi alla forma della fotocamera e dell'obiettivo che vi si adagiano.
Se non viene appoggiato a terra, il sacco richiede comunque un supporto, il che lo rende simile ai morsetti quanto a limitazioni d'uso. Adatto a sostenere lunghi teleobiettivi, non può essere usato per sostenere oggetti di dimensioni più "raccolte", che rischierebbero di non trovare un loro punto d'equilibrio. Può sostenere una folding leggera ma non garantisce il perfetto allineamento della fotocamera a causa della sua relativa instabilità. Non è comunque da ritenersi adatto alla fotografia in grande formato.
La cinghia arrotolata
La cinghia a tracolla della fotocamera può essere avvolta intorno a supporti quali pali, rami, tronchi d'albero o tralicci, e tirata con forza allo scopo di mantenere l'apparecchio saldo e quasi "legato" al supporto.
E' più facile a dirsi che a farsi. Inoltre il sistema richiede la presenza dei supporti necessari. Lo sforzo che il fotografo esercita nel tenere tesa la cinghia può aumentare (anziché diminuire) il rischio di mosso a causa della tensione muscolare. Il sistema funzionerebbe alla perfezione se il fotografo avesse tre mani.
La spalla di un amico
Nessuno.
E' necessario l'amico, il che esclude di fatto i fotografi che lavorano da soli. Se è ancora vivo, l'amico respira e inevitabilmente si muove. Se lo uccidete prima (e se è sufficientemente grasso) può funzionare come descritto al capitolo "Sacchi morbidi (beanbags) e loro succedanei", al quale si rimanda per la descrizione.
La picozza
Per chi fotografa sul ghiacciaio, la picozza costituisce un supporto abbastanza sicuro. Il foro presente sulla paletta può essere usato per fissare la fotocamera, facendovi passare attraverso una vite da 1/4" (o da 3/8", a seconda del foro filettato presente sul fondo della fotocamera o dell'obiettivo) tenuta in sede da una rondella sufficientemente larga. La picozza va piantata saldamente nella neve o nel ghiaccio.
La picozza deve essere dotata di foro sulla paletta, altrimenti non si può fare. Il punto di ripresa è sempre piuttosto basso. Il perfetto allineamento della fotocamera è difficile da ottenere, anche se quest'ultima fosse dotata di livella a bolla; certamente occorrerebbe fare diversi tentativi e piantare l'attrezzo nella neve più volte, ogni volta con forza (voi non lo sapete, ma potreste trovarvi sopra un ponte di neve gettato al di sopra di un invisibile crepaccio: meglio evitare). Il sistema cessa di funzionare non appena si abbandona la zona delle nevi eterne. Non è detto che non possiate tentare di piantare l'attrezzo nel sottile strato di humus che ricopre la zona degli alti pascoli, ma sotto quei pochi centimetri di terriccio c'è solida roccia, e voi non volete rovinare irrimediabilmente il vostro costosissimo puntale, giusto?
Superfici naturali e artificiali
All'aperto: pietre, rocce, tronchi d'albero; al chiuso: i banchi di una chiesa, colonne mozze, acquasantiere, vetrinette espositive, mensole, davanzali di finestre, elementi d'arredo. Tutto ciò che costituisce una superficie piana può essere usato per appoggiare la fotocamera, dalla reflex alla folding di grande formato. Il segreto sta nell'usare un cavetto di scatto flessibile, o meglio l'autoscatto, per evitare spostamenti laterali dovuti alla pressione sul pulsante.
E' necessaria la presenza di un supporto orizzontale (e che sia davvero orizzontale) al posto giusto. Le superfici cristalline o microcristalline (roccia, marmo) rischiano di amplificare le vibrazioni impresse dal ribaltamento dello specchio reflex: in questo caso si rende necessario interporre tra la superficie e la macchina un materiale assorbente (coperta, maglione, giacca a vento). Non sono possibili riprese in verticale se non si dispone di dorso riposizionabile.


Michele Vacchiano © 03/2002
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