TEST FUJI PROVIA 100F
Un "giro di Provia": due parole sulla nuova diapositiva Fuji
R. Giardiello e A. Maiello, marzo 1999

La Fuji Provia è sempre stata una pellicola particolarmente apprezzata per la sua resa in termini di finezza della grana, fedeltà cromatica e nitidezza. Nessuna specializzazione, dunque, a differenza della satura e squillante Velvia o della morbida e pastellata Astia; ma un'ottima pellicola per uso generale, adatta per il ritratto come per il paesaggio come per il reportage.

Luce tenue del tardo pomeriggio. Il cielo è stato reso con molta fedeltà, conservando le varie sfumature del tramonto. Molto compatti i neri dell'effetto silhouette.

La Provia era alla base della emulsione amatoriale della Fuji, la Sensia; ed è tuttora alla base della Sensia II 200 e 400 ASA (mentre la Sensia II 100 ASA è basata sulla Astia). Insomma un pellicola versatile e di successo, a cui oggi fa seguito un'erede degna della massima attenzione: la Provia 100F, una pellicola che mantiene i pregi della Provia ed in più promette una grana ancora più fine, maggiore fedeltà cromatica ed una maggiore tolleranza al trattamento spinto.

Abbiamo preso un bel po' di rullini, in formato 35mm e 120, e ce ne siamo andati in giro a scattare. Ecco qui di seguito le nostre impressioni d'uso. Come tipico per NADIR, non si tratta di test strumentali di laboratorio, basati su simulazioni in condizioni di luce controllata, misurazioni spettrofotometriche e così via. Il nostro è stato un giro di prova empirico, scattando molte foto nelle condizioni di luce più disparate e commentando poi, semplicemente, ciò che abbiamo visto all'atto della proiezione delle dia. Premettiamo subito che una volta digitalizzate e compresse per il web, le fotografie sembrano tutte uguali e perciò non avrebbe senso cercare di far "vedere" quella qualità in più che talvolta si percepisce all'atto della proiezione delle dia.

Le diapositive Fuji ci sono sempre piaciute; abbiamo un vasto archivio di scatti effettuati con la Provia, e la resa ci è sempre sembrata di ottimo livello sotto tutti i punti di vista. La Provia 100F non fa eccezione: se l'obiettivo di ripresa lo consente, la pellicola restituisce immagini dotate di grande impatto, come già faceva, e bene, la vecchia Provia.

Luce piena, con sole alle spalle: belli i verdi, com'è tipico delle invertibili Fuji. La resa generale è cromaticamente molto neutra.

La differenza principale che salta all'occhio confrontando le dia scattate con la Provia vecchia è quella relativa alla grana, visibilmente più fine, soprattutto nelle zone d'ombra. La Fuji dichiara per la 100F un valore di granularità RMS pari ad 8 (ricordiamo che il valore RMS, root-mean square, è definito dallo standard ANSI ed è il metodo oggettivo più diffuso per quanto riguarda la misurazione della granularità delle pellicole). Un valore RMS di 8 rende, per il momento, la Provia 100F l'invertibile a 100 ASA con la grana più fine in assoluto. Tanto per farsi un'idea, RMS 8 è lo stesso valore del Kodachrome 25 ASA; e le Kodak Ektacrome E100 hanno un valore RMS di 11.

Anche un confronto con delle dia scattate con la Ektachrome EPR 64 ASA ha mostrato notevoli differenze di grana, ma va detto che la EPR 64, col suo valore RMS pari addirittura a 11, è effettivamente una pellicola un po' datata (ma rimane una bella pellicola). Questa grana extrafine della 100F è ottenuta grazie ad una tecnologia di recente introduzione che la Fuji chiama "tecnologia del cristallo sigma superfine". Non ci addentriamo in analisi chimiche, l'importante per noi fotografi è sapere che avremo diapositive meravigliosamente "pulite".

Altre innovazioni riguardano la solubilità dei microgranuli, il rilascio degli inibitori di sviluppo (i copulanti DIR) e gli additivi che stabilizzano l'emulsione; tutti questi paroloni non sono altro che l'aspetto tecnico dei miglioramenti in materia di finezza della grana, tolleranza allo sviluppo variato e capacità di conservazione della pellicola.

La resa delle alte luci è nella media per quanto riguarda le emulsioni invertibili, e cioè… critica. Nonostante i miglioramenti della tecnologia, la latitudine di posa delle invertibili è sempre piuttosto ridotta, e nelle fotografie all'aperto questo significa che è facile, per avere buon dettaglio nelle zone in ombra, ritrovarsi con un cielo bianco come un lenzuolo. Quindi bisogna avere cura nell'esposizione, valutando lo scarto di luminosità fra ombre e luci e cercando di evitare foto nelle ore più critiche della giornata, quando il sole è a picco. Ma questa è una considerazione generale che non vale solo per la Provia 100F, naturalmente.

Luce laterale con forti contrasti: il nero profondo del portone in ombra, il lato esposto al sole delle statue; la 100F ha mantenuto una resa equilibrata.

La resa cromatica della 100F è molto simile a quella della Provia precedente; all'atto della proiezione ci è sembrata particolarmente calda, poi altri scatti effettuati con obiettivi diversi ci hanno fatto capire che in realtà tale resa era da addebitarsi al 35/1.4 Zeiss usato in alcune foto, ottica particolarmente "aggressiva" soprattutto in presenza di luci difficili. Le foto scattate con altri obiettivi mostrano che la 100F ha una resa molto neutra, forse un pelo meno fredda della Provia vecchia, ma che comunque si può definire equilibrata e cromaticamente fedele.

La 100F ha una buona incisione, ma in generale non è una pellicola squillante, non esalta i rossi ed i colori accesi come molte Kodak; perciò, da una parte non tira fuori da scene piatte foto di grande impatto, dall'altra garantisce al fotografo la sicurezza di una fedeltà piuttosto elevata a quello che era lo spirito della scena ripresa. Del resto chi vuole colori accesi e contrasto elevato ha, stesso in casa Fuji, un prodotto fabbricato apposta, ovvero la Velvia.

Concludiamo dicendo che, secondo la Fuji, la 100F vanta anche una notevole tolleranza al trattamento spinto, ma non abbiamo effettuato verifiche in tal senso. In ogni caso le specifiche dichiarano che la 100F riesce a mantenere il contrasto originario e la fedeltà dei colori sia esposta a 70 ASA (-1/2 stop) sia a 400 ASA (+2 stop), ovviamente adeguando lo sviluppo.

La 100F, oltre che per il formato 135 (rullini da 36 pose e bobina da 30 metri), è disponibile in formato 120 ed in lastre (4"x5", 5"x7" e 8"x10"; e ancora 9x12, 13x18 e 27.9x35.6 cm).

Tirando le somme, non si può che rimanere soddisfatti dei risultati: le dia sono belle a vedersi, la grana è pochissima ed i colori sono piacevolmente saturi, ma senza esagerare; il tutto a prescindere dalla specificità del soggetto ripreso, dell'illuminazione della scena e dell'obiettivo utilizzato. Quest'ultimo, infatti, influisce moltissimo su quella che può sembrare la resa della Provia. Con obiettivi modesti le dia possono apparire poco sature ma la colpa è in buona parte dell'ottica, soprattutto se si tratta di uno zoom economico. Questo spiega anche perché molti fotoamatori preferiscono pellicole cariche come la Velvia o le Kodak amatoriali. La Provia è più neutra e non "spara" i colori, perciò va utilizzata con obiettivi di qualità almeno discreta, altrimenti si corre il rischio di rimanere delusi.

Agostino Maiello © 01/2000
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ALCUNE CONSIDERAZIONI
Come già detto, la maggiore qualità che si ottiene col crescere del formato è indiscutibile, ma dobbiamo anche tenere presenti le nostre effettive esigenze fotografiche. Non sempre contano qualità, nitidezza, gamma tonale ed assenza di grana, ma l'attimo fuggente, un'espressione felice, una immagine ben composta. In fotografia contano soprattutto i contenuti ed è bene evitare di cadere nella facile trappola della qualità tecnica. Io uso fotocamere dal 24x36 (mm) al banco ottico 13x18 (cm) passando per il 6x7 (ancora cm) a seconda delle situazioni e delle necessità. Quando lavoro per l'editoria (quasi sempre per riviste di Architettura), la nitidezza legata al formato è fondamentale (ma le architetture restano ben ferme ad aspettare che io scatti!).

Riflettete bene non solo sulla necessità reale o meno di una fotocamera medioformato ma anche sul tipo di fotocamera: spesso si punta al 6x6 per abitudine, ma in campo professionale è meglio salire almeno al 6x7. Se pensate di usare una 6x6 tagliando le foto in sede di stampa, risparmiate fior di milioni comprando direttamente una 4,5x6: sono piccole, leggere, relativamente economiche, di buona qualità ed oggi pratiche e veloci come una moderna reflex 35mm (pensate alla Pentax 645 o alla Contax 645, anche automatiche ed autofocus!!), ma anche in quest'ultimo caso valutate bene se un'ottima 24x36 non possa bastare alle vostre esigenze: le differenze possono essere davvero minime.

DUBBI LEGITTIMI...
Il dubbio sul formato in grado di costituire il compromesso migliore tra costo, praticità e qualità del risultato finale, è vecchio quanto la storia della fotografia. La questione pareva risolta così: la fotografia è reportage e per il reportage c'è un solo formato: il 35 millimetri. Ma poi ci si è resi conto che la fotografia è anche documentazione, illustrazione, cultura dell'immagine, e non è detto che lo strumento principe del reportage possa andar bene per tutti questi scopi.

Di solito i fotografi che per la prima volta vedono una diapositiva 13x18 (centimetri, non millimetri!), o che utilizzano la vecchia medioformato trovata in soffitta o comprata sulle bancarelle di un mercatino, cadono in profonda crisi mentre il problema non si pone per il fotografo specializzato: chi si occupa di animali in libertà o di foto sportiva preferirà una moderna reflex autofocus 35 millimetri con un supertele o uno zoom, mentre chi deve realizzare fotografie di architettura o arredamento (è il mio caso) non troverà alcun motivo per scendere sotto il 6x7 cm (ma spesso preferisce il banco ottico anche e soprattutto per le possibilità offerte dai corpi mobili). Un altro fattore decisionale è costituito dalla rapidità di lavoro, nel senso che chi deve scattare in poco tempo 3-400 immagini diverse non potrà concedersi i tempi lenti del grande formato, mentre chi deve realizzare pochi, ottimi scatti di un'architettura non avrà motivi per evitare quanto di meglio si possa ottenere sotto il profilo qualitativo (e molte riviste specializzate non accettano nulla di meno). Ci sono quindi delle situazioni che scelgono per conto del fotografo.

I costi. È giusto parlarne anche perché in merito ci sono molte idee sbagliate. Il 35 millimetri è economico solo in campo amatoriale: passando a reflex ed ottiche professionali le differenze (di costi) con i formati superiori si assottigliano e spesso un banco ottico costa di meno! Inoltre il 35mm va sempre "riempito" completamente con l'immagine, perché se si cominciano a ingrandire porzioni di negativo è davvero la fine. Da questo consegue che chi usa il piccolo formato ha bisogno di più obiettivi di diverse focali (proprio per irempire sempre il negativo), rispetto a chi usa maggiori formati di ripresa.

I formati. Ho scelto il 24x36, 4.5x6, 6x6 e 6x7 perché i più diffusi. Il 6x6 è sicuramente il più usato tra gli "intermedi" e tuttavia rappresenta una specie di doppione del 4.5x6 se si pensa alla destinazione finale, per esempio la copertina di una rivista (rettangolare). Poichè, però, nessuno ci impedisce di stampare una foto quadrata, ho inserito ugualmente il 6x6 in questo test, quindi ricordate: il 6x6 è sempre stampato a pieno fotogramma, cioé quadrato, altrimenti dovete prendere come riferimento il 4.5x6. Cambiando marca di apparecchio e di obiettivo si potranno migliorare o peggiorare i risultati (di poco o di molto dipende dalle fotocamere e dalle ottiche confrontate), ma - ripeto - non mi interessava fare un confronto tra obiettivi bensì solo tra i diversi formati.

Esaminiamo i quattro formati: il 35 mm denuncia subito la presenza della grana (non visibile nella piccola foto jpeg pubblicata), ma l'immagine si conserva ancora leggibile a riprova della bontà di obiettivi ed emulsioni. Con il 4,5x6 c'è un certo progresso, ma un po' di grana continua a farsi sentire, mentre col 6x6/6x7 la grana è quasi scomparsa. Il 6x7, in particolare, si fa apprezzare per la pulizia dei dettagli e delle sfumature, vale a dire, valutando la foto nella sua interezza, in realismo e qualità globale.

Si riesce a concludere qualcosa? Ci provo: il 35 mm è una specie di miracolo che riesce ad andare oltre quelli che sono i suoi limiti naturali. Il 6x7 (ma sarebbe meglio ancora il Grande Formato), è un altro pianeta se l'obiettivo primario è la qualità. Purtroppo non ci sono alternative e la logica secondo la quale su stampe finali di dimensioni medie (per esempio 18x24/20x30 cm) le differenze non si vedono, è sbagliata: si minimizzano le differenze legate alla grana, ma la stampa ottenuta da un formato maggiore sarà in ogni caso più limpida e "pulita". Il 6x7 è probabilmente la soluzione ottimale quando si devono unire ottima qualità ed una discreta rapidità di esecuzione.

È il formato ideale?
Sì, se non si deve lavorare a luce ambiente a mano libera (non esistono certo gli F/1.4) o non lo si confronta con uno dei formati davvero grandi!

Quando si confrontano tra loro obiettivi per il 35 mm, si può ragionare in termini di linee per millimetro (anche se non dev'essere assolutamente l'unico parametro di giudizio), quando invece si confrontano formati diversi, le linee per millimetro passano in secondo piano. Il vantaggio di un negativo di formato maggiore non è nei pochi o molti dettagli in più che registra. Alla giusta distanza di lettura (un poster 50x70 cm andrebbe guardato da un metro circa e non da pochi centimetri) l'occhio si accontenta di poco, ed anche dal 24x36 si ottengono stampe che non lasciano insoddisfatti: è la scala dei grigi e la ricchezza delle sfumature a tradirle. La stessa stampa da negativo di formato maggiore può vincere nel confronto anche se non mostra nessun dettaglio in più e se l'obiettivo usato in fase di ripresa era un po' scarsino in quanto a linee per millimetro: risulta migliore perché è meno ingrandito e ci restituisce le reali gradazioni di luce e ombra facendoci spesso dimenticare che tra noi e la realtà c'è la mediazione di una superficie a due sole dimensioni.

Rino Giardiello © 03/1999
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