UN BEL… GIUMBOTTO
Scegliere gilet e giubbotti per fotografia

"Hai mai provato i giubbotti fotografici? Tu che lavori in montagna dovresti usarli…" Chi mi parla è un amico che importa e rivende accessori di ogni tipo, spesso introvabili nei normali negozi: gadget più o meno bislacchi che lui prova ad immettere sul mercato e che poi abbandona quando vede che non c'è sufficiente richiesta. Comunque adesso mi sta mostrando una varietà incredibile di giubbotti di ogni marca, foggia e colore.

Questo è uno dei modelli migliori che ho avuto modo di provare. La tela è compatta e l'indumento è di buon taglio: cade bene, come si dice in gergo, anche quando le tasche sono sovraccariche. Gli scomparti sono ben posizionati e le taschine per alloggiare le biro sono un'ottima (anche se semplice) trovata (senza contare che inprimono al tutto un tocco di eleganza, non trovate?).

Somiglia più al giubbotto di un pescatore che a una photo vest. Le tasche non sono poi molte e non sono neppure troppo capienti. La tascona posteriore non serve per le trote ma… per il teleobiettivo. La struttura a rete è fatta apposta per lasciar circolare l'aria. Studiato per la stagione estiva, andrebbe indossato sulla pelle nuda. Ho provato a farlo, ma l'indumento cade male e la rete gratta la pelle. E poi, sinceramente, andare in giro vestito di rete mi fa sentire un po' finocchio. Bocciato.

Una combat photo vest comoda e capiente, realizzata in tela leggera e destinata all'estate. Purtroppo, nonostante la buona volontà del produttore, l'indumento è caldo e pesante, adatto piuttosto a un uso primaverile, almeno alle nostre latitudini.

Una safari photo vest, meno capiente della precedente ma più leggera e fresca. Quasi ci saremmo, se non fosse per il fatto che il tessuto risulta molle e cedevole: non soltanto l'indumento cade male, ma quando le tasche sono piene (di oggetti non propriamente leggerissimi) tira a destra o a sinistra (a seconda di dove si trova il peso maggiore) e alla fine il fotografo sembra una scappato da casa. Sarò pignolo, ma ci tengo a una ragionevole eleganza anche quando lavoro sul campo.

In realtà io il giubbotto ce l'ho. Non si tratta di un giubbotto fotografico vero e proprio ma di un anonimo giubbotto in tela militare, con una quantità indefinita di tasche (non le ho mai contate) più o meno capienti. L'ho usato pochissime volte. A dire la verità lo trovo scomodo: mi appesantisce e mi ingoffa; dopo due ore di cammino in salita diventa insopportabile. Tiene troppo caldo quando il sole picchia e troppo freddo quando tira vento, sia perché è di semplice tela sia perché è privo di maniche. Ho sempre preferito sistemare l'attrezzatura nelle tasche di uno zaino, molto più ergonomico e comodo da portare. Penso che questi indumenti possono tornare utili a un reporter di guerra, forse, ma non a un fotografo naturalista, che oltretutto lavora spesso con formati superiori al 35 mm.

Ma l'amico insiste. Mi mostra prodotti Nikon, Tenba, Tamrac, Hakuba. Mi spiega la differenza fra la "combat photo vest", più pesante e imbottita, e la "safari photo vest", leggerissima e fresca, spesso fatta di rete (eccetto le tasche) per consentire all'aria di circolare. Mi convince a provarne qualcuna. Rispondo che se anche le indossassi tutte la prova non avrebbe significato: il test va fatto sul campo. Ne nasce una scommessa: porterò in montagna quattro o cinque modelli diversi e ne indosserò uno al giorno per almeno un paio d'ore. Se troverò una "vest" adatta alle mie esigenze e ragionevolmente comoda, ammetterò che la mia prevenzione nei confronti dei giubbotti fotografici è fondata su un pregiudizio e gli offrirò una serata al pub; in caso contrario sarà lui a pagare. Ovviamente, in una scommessa di questo genere la sincerità da parte mia è fondamentale: ma io non ho mai avuto problemi ad ammettere che mi sono sbagliato, ed anzi sarei davvero contento di trovare un prodotto finalmente comodo e adatto alle mie esigenze.

Decido di non strafare e di non sottoporre i prodotti a prove che non sono preparati a sopportare: rinuncio perciò alla pretesa di trovare tasche in grado di contenere un obiettivo di grande formato montato sulla sua piastra, un intero set di chassis o un dorso Polaroid. Mi limito alla mia attrezzatura di piccolo formato, pretendendo però di poter alloggiare comodamente anche il Planar 135 mm f/2, con tanto di paraluce montato. Su questo non transigo: se sono fatti per il piccolo formato devono poter ospitare qualunque obiettivo per il piccolo formato, giusto?

Questo mi obbliga a scartare a priori un paio di modelli, le cui tasche poco capienti non permettono di trasportare qualcosa di più ingombrante di un 85 mm, o al massimo uno zoom compatto. Ne rimangono cinque, un paio dei quali particolarmente interessanti.

Li ho provati tutti. Il commento su ciascun modello compare nelle didascalie che accompagnano le foto. Con rammarico devo ammettere che la mia opinione non è cambiata. Le stagioni adatte a un simile capo d'abbigliamento sono piuttosto limitate: d'estate è meglio uno zaino indossato sulla T-shirt: fa sudare la schiena ma almeno non ti inzuppi tutto come appena uscito dal bagno turco. D'inverno, poi, anche le "combat photo vest" risultano poco protettive, a fronte di un peso non indifferente. Voi dite: anche lo zaino pesa. Sì, però lo zaino - se ben fatto - grava più sul bacino che sulle spalle (grazie al cinturone lombare), mentre il giubbotto viene sostenuto interamente dai muscoli delle spalle e dalla colonna. Queste scomodità non sono di per se stesse una controindicazione all'uso del giubbotto, ma vanno messe in conto, per valutare se saranno poi di fatto compensate da una (innegabile) maggiore rapidità operativa. Io, che mi dedico alla natura e al paesaggio, sono costretto a rispondere di no: di solito ho tutto il tempo per sfilarmi di dosso lo zaino ed estrarne con comodo l'attrezzatura, per cui posso rinunciare al peso e al calore di una "photo vest". Lo stesso non vale per chi deve cambiare rapidamente un obiettivo o montare in fretta un flash. E non mi riferisco tanto ai reporter di guerra, ma anche al semplice fotografo di cerimonia, che deve saper cogliere in fretta quella lacrima che brilla sul volto della sposa, passando senza troppo indugio dalle inquadrature di insieme ad un primo piano ben selezionato.

Michele Vacchiano © 03/2001
Riproduzione Riservata

Questo costoso modello della Kata, venduto negli Stati Uniti, si differenzia nettamente da tutti gli altri. Realizzato pensando ai recenti zainetti da pattinaggio o da mountain bike (quelli con un solo spallaccio che si portano a bandoliera), è studiato per gravare su una sola spalla e sul fianco opposto, lasciando le braccia più libere di muoversi. L'idea è buona, il peso risulta ben distribuito e le tasche sono ergonomicamente disposte (anche all'interno per contenere documenti, portafoglio, blocco note). La parte posteriore è un vero e proprio zainetto capiente ed ergonomico, raccordato alla parte anteriore da un cinturone e facilmente rimovibile. Lo svantaggio è che non lo si può riempire troppo, perché dopo un paio d'ore la spalla comincia a dolere e si vorrebbe poter suddividere meglio il carico. Inoltre il tessuto sintetico di cui è fatto (nylon cordura) tiene un caldo insopportabile, per cui è sconsigliatissimo d'estate (ma anche d'inverno, se ci si muove).