L'avvincente storia dello sguardo più celebre del XX secolo. Per chi crede di sapere tutto sul "mito HCB" (e dovrà ricredersi), o ne vorrebbe sapere di più (e troverà pane per i suoi denti, della migliore qualità).
Titolo: "Henri Cartier-Bresson.
Biografia di uno sguardo"
Autore: Pierre Assouline
Editore: Photology, 2006
Formato: 264 pagine - 24x16cm - copertina rigida
Prezzo: 29 euro
Ci vuole fortuna, per diventare dei genî. Talento, certo, ma
anche tanta, tanta fortuna. La fortuna di ritrovarsi
tra le mani una vita da poter dedicare completamente, fin
dalla prima giovinezza, alle proprie passioni; la fortuna di
crescere a pane e poesia; la fortuna di avere le spalle
coperte da una famiglia dell'alta borghesia, che garantisca
una rendita da consumare seduti ad un caffè parigino a
ragionare d'arte e di sogni con le menti più illuminate di
Francia, o vagabondando per il mondo con il naso per aria e
una macchina fotografica incollata allo sguardo; la fortuna,
in due parole, di nascere Henri Cartier-Bresson.
Un uomo divenuto famoso per il suo saper 'cogliere di
sorpresa la vita' da dietro un mirino, quando, di solito,
accade l'esatto contrario. Quanti altri Cartier-Bresson ci
saranno stati e ci saranno, altrettanto dotati, destinati
però a rimanere degli emeriti sconosciuti a causa di una
vita che ogni giorno chiede il conto di quel poco che dà,
essendo lei a cogliere di sorpresa, a stordire con un
ipotetico colpo di flash le comuni esistenze degli infiniti
'signori Nessuno' con ogni sorta di intralcio?
Henri Cartier-Bresson fu un uomo a cui la vita fece un dono
dei più rari: avere tempo, denaro e spensieratezza
sufficienti per provare a diventare un mito. A lui va il
merito, innegabile, di esserci riuscito alla grande.
Una semplice riflessione (un po' amara, dite?...sarà
l'invidia!), tra le tante che possono scaturire dalla
lettura di questo bel libro, che è sì la biografia d'un
uomo, ma anche il coinvolgente affresco di un intero secolo.
Pierre Assouline (scrittore e giornalista) incrociò per la
prima volta lo 'sguardo del secolo' nel 1994, in occasione
di un'intervista di routine: quelle prime cinque ore di
chiacchiere si trasformarono poi in cinque anni di dialoghi
serrati, sfociando in un'amicizia benedetta dal privilegio,
per Assouline, di avere libero accesso non solo ai ricordi
di un'esistenza straordinaria raccontati dalla viva voce
del diretto interessato, ma anche al suo sterminato
archivio: un immenso corpus di lettere, annotazioni,
fotografie e documenti di ogni tipo che contribuì in maniera
determinante all'esaustività del suo lavoro di
'amico-biografo'.
Il risultato è un testo scorrevole ed estremamente avvincente, zeppo com'è di personaggi, luoghi, incontri ed eventi sempre un gradino oltre l'ordinario, che mantengono ben desta l'attenzione e la curiosità. Quasi un romanzo d'avventura, che ha per quinte i grandi eventi del XX secolo (la guerra di Spagna, la Seconda guerra mondiale, la decolonizzazione...), e, sulla ribalta, le peripezie di questo 'francese errante', incapace di restare in un angolo di mondo per più di qualche anno. 'Libellula inquieta', lo definì un giovanissimo Truman Capote, osservandolo aggirarsi per le strade di New Orleans, nel '47, con tre Leica appese al collo e lo sguardo sempre all'erta, sempre in caccia, in preda ad una sorta di frenesia visiva che si placava solo - ma per un attimo appena - al momento dello scatto.
Lo incontriamo in
Francia, brillante portavoce di quell'oziosa e seducente
atmosfera propria della 'civiltà dei caffè',
fianco a fianco con i maggiori intellettuali, artisti,
poeti e scrittori dell'epoca (primi in testa i
surrealisti, che eserciteranno su di lui un'influenza
determinante, contribuendo ad insegnargli l'arte di
cogliere il meraviglioso nell'apparente ordinarietà del
reale), per poi seguirlo in Africa, nei quartieri più
malfamati di Città del Messico, in Spagna, Italia,
America... fino ad arrivare in Cina, o in India, o
ovunque lo trascini la sua irrequieta e tirannica sete
di immagini. Ne seguiamo lo sviluppo artistico,
dall'irriducibile passione per il disegno e la pittura
all'approdo risolutivo al fotogiornalismo, con la
fondazione dell'Agenzia Magnum; ne scopriamo le
abitudini stilistiche, dall'ossessione per l'impeccabile
geometria compositiva e la conseguente avversione per il
taglio - fosse anche solo di un millimetro - delle
inquadrature originali, all'abitudine di passare ore in
perfetto silenzio nello studio dell'artista di turno,
braccandone l'anima per eternarla in quel proverbiale 'istante
decisivo' in cui smette la posa consueta;
dall'idiosincrasia nei confronti del flash - considerato
un'oscenità - e della posa, alla fedeltà assoluta ad una
frase di Delacroix che recita "La vera, grande arte
consiste nel colorare con i grigi"; senza
dimenticare le esperienze cinematografiche, prima a
fianco di Jean Renoir, poi come regista di documentari a
sostegno di cause civili.
Approfondire la conoscenza di Cartier-Bresson significa
inoltre imbattersi nell'aura magnetica dei suoi Maestri.
Piero della Francesca, Paolo Uccello (pittori della 'divina
proporzione' - la sezione aurea -, che getteranno in
lui il seme di una sorta di 'mistica della misura'),
Cézanne... perché non è un paradosso gratuito quello secondo
cui Cartier-Bresson imparò a fotografare nelle sale del
Louvre, allenando lo sguardo davanti ad alcuni dei più
significativi capolavori della storia dell'arte: "Mentre
si scatta una foto si realizza un quadro", dirà, non
a caso; e poi Baudelaire, Rimbaud, che fin da
giovanissimo gli instillarono l'insofferenza per ogni
tipo di imposizione, rivelandogli il potere inebriante
della libertà... Per non parlare dei fotografi,
compagni di strada, modelli o 'avversari': Robert Capa,
Walker Evans, Robert Doisneau, Manuel Alvarez Bravo, Paul Strand... nomi
altrettanto leggendari che contribuiscono, se ancora ce
ne fosse bisogno, a movimentare ed arricchire questa già frenetica
e traboccante biografia.
La narrazione ha un ritmo inevitabilmente serrato,
motivato dalla necessità di render conto di questo
numero sterminato di eventi che si susseguono, nella
vita del Nostro, senza un attimo di tregua; ma non manca
di rallentare, talvolta, per donare al lettore numerose
riflessioni e aneddoti tutt'altro che marginali:
preziose strade d'accesso
alternative al 'mito Cartier-Bresson'. Il simbolico
seppellimento della sua Leica, per esempio, nell'aia di
una casa colonica nei Vosgi, all'indomani della disfatta
della Francia, nel 1940 (e l'altrettanto mitica
'riesumazione', tre anni dopo, appena evaso dal campo di
prigionia tedesco e ancora invischiato nell'illegalità);
o il breve racconto di quel pomeriggio in cui il pittore
cubista George Braque gli regalò un libro che cambierà
non solo il suo essere fotografo, ma anche il suo essere
uomo: Lo Zen e il tiro con l'arco, di Eugen Herrigel.
Un libro consumato dalle infinite riletture, che
stravolgerà la sua visione del mondo, divenendo il suo
manuale ideale di fotografia (nonostante che di
fotografia non vi si parli affatto) grazie
all'insondabile potenziale di frasi del tipo: "La vera arte non ha
un obiettivo, è priva di intenzione. Si liberi di se
stesso, lasci da parte tutto ciò che è, tutto ciò che
possiede, così che non le resti più niente, se non la
tensione senza uno scopo"; pagine che gli sveleranno
come la fotografia possa essere intesa come una
disciplina mentale, prima ancora che tecnica; parole che
chiamerà in causa quando dovrà enunciare una volta per
tutte la sua concezione della fotografia, e che gli
varranno l'originale appellativo di 'arciere zen':
un uomo che è tutt'uno con il suo strumento, che vive il
momento presente completamente assorbito dall'azione,
che dimentica se stesso per farsi dimenticare dagli
altri, così da diventare puro sguardo, fino a scomparire
quasi, per meglio cogliere di sorpresa l'essenza di ciò
che gli si para davanti (sia essa un volto, un luogo o
un evento). E innumerevoli sono anche i retroscena degli
scatti più celebri, che consentono di tornare a guardare
con occhi nuovi tante di quelle immagini che, divenute
icone, quasi non siamo più in grado di 'vedere' davvero.
Insomma: 96 anni di vita racchiusi in 250 pagine dense
di arte, mondo, fotografia e sguardi inimitabili. Un
libro consigliatissimo. Da leggere con la leggerezza di
un romanzo o, volendo, con più attenzione - quasi si
trattasse di un manuale dedicato all' "arte del vedere"
- per tentare di carpire almeno uno dei segreti celati dietro
una delle sensibilità più acute, indipendenti ed originali del
secolo passato.
Serena Effe © 02/2007
Riproduzione Riservata
Il libro è privo di immagini. Nonostante molte delle foto di HCB siano diventate delle icone e siano quindi ben presenti nella memoria di ognuno, è inevitabile che nel corso della lettura venga la voglia di aver sotto gli occhi alcune delle immagini di cui l'autore parla, se non altro per verificare secondo la propria capacità di giudizio ciò che ci proviene dalla sensibilità altrui. Vi consiglio quindi due repertori di immagini - uno esaurientissimo ma assai costoso, l'altro più sintetico e abbordabile -, ideali complementi da tenere a portata di mano durante la lettura:
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