I baffi infiorettati e lo sguardo spiritato di Dalì, il camicione d'ordinanza che avvolge un Corot immerso nella natura, le mani tormentate e la chioma sconvolta di Egon Schiele, la foga creativa dell'action-painter Pollock, gli scherzi di un giullaresco Picasso... I circa sessanta ritratti fotografici ad artisti riprodotti all'interno del libro "Faccia d'artista" ci ammaliano con la loro stra-ordinarietà, ci seducono anche grazie a quella certa aura mitica che innalza la figura dell'artista laddove noi, 'comuni mortali', ci siamo rassegnati a non arrivare, limitandoci a contemplarli dal basso, beatamente in attesa dei loro doni.
Ma dopo questa iniziale ed acritica fascinazione, può accadere che sorga nell'osservatore qualche dubbio, qualche fertile incertezza, del tipo: quanto sono veri questi ritratti? Ci avvicinano davvero alle singole individualità dei soggetti rappresentati?, ne sono la testimonianza fedele? Sono immagini che rispondono effettivamente ad un bisogno di andare verso il reale, o imboccano invece strade traverse come quelle dell'idealizzazione, dell'astrazione? E se anche fino ad oggi nessuno di questi interrogativi vi avesse mai sfiorati, state pur certi che dopo la lettura di questo interessante saggio non potrete sottrarvici.
Circoscrivendo il campo della sua indagine al ristretto quanto cardinale ambito del ritratto fotografico agli artisti, Vincenzo Izzo dipana la sua riflessione in modo tale da accompagnare il lettore nel vivo di un percorso quantomai stimolante nei territori della psicologia e sociologia dell'arte, con incursioni nella letteratura e nel cinema, sino a fornirgli molti degli strumenti necessari ad una più attiva, critica e consapevole fruizione delle immagini (e non solo fotografiche). Una volta concluse le doverose considerazioni riguardanti l'ambiguo realismo della fotografia in generale (che, anche nel reportage più programmaticamente obiettivo, presuppone sempre e comunque un'interpretazione soggettiva del mondo), l'Autore si concentra sul ritratto fotografico, inteso qui, sulla scia delle riflessioni di Roland Barthes, come "campo chiuso di forze"; un'appassionante contesa senza vincitori né vinti, in cui ogni parte è però intimamente (e ingenuamente, ci accorgeremo poi) persuasa di condurre il gioco a suo favore: il fotografo, che proietta la propria ombra sulla scena, pre-meditando l'immagine e filtrando il reale attraverso la scelta di inquadratura, scenografia, luce e via dicendo; l'artista-modello, fatalmente spinto dal proprio sovrabbondante ego verso la costruzione di un'immagine autocelebrativa, o che comunque gli garantisca un apparente controllo dell'immagine che ha di sè; il pubblico, infine, che con la sua curiosità e le sue attese condiziona in maniera determinante l'illusoria libertà d'azione degli altri due.
Izzo consacra l'intera prima parte del suo lavoro all'analisi delle dinamiche e strategie che animano questo insolito 'triangolo', e lo fa intessendo un dialogo sinceramente avvincente con i più vari interlocutori: dagli imprescindibili Barthes e Sontag a Kafka, da Man Ray alle teorie psicanalitiche sullo "sguardo dell'altro" di Lacan (in quale misura siamo 'padroni' della nostra identità, e quanto invece essa dipende in un certo senso dal mondo, che, 'guardandoci', ce ne conferisce una?); fino a dipanare il filo rosso che, partendo dalle riflessioni massmediatiche di McLuhan e da quelle sulla realtà contemporanea intesa come 'simulazione' del filosofo Baudrillard, ci conduce nel vivo di un'analisi dei meccanismi percettivi del reale che, tramite l'Alice di Lewis Carroll, approda al film Matrix.
Un percorso, insomma, prodigo di spunti ed interrogativi originali, proposti e rielaborati dall'Autore con estrema freschezza e senza superflua pedanteria; così che, nonostante si tratti di argomenti indubbiamente complessi, la lettura cattura l'attenzione e procede ben più fluida che nella maggior parte dei testi di saggistica.
E' nella seconda parte che, esempi alla mano, Izzo ci svela l'identità del regista-burattinaio che si cela dietro la maggior parte delle immagini fotografiche (e non) che ritraggono gli artisti: si tratta di quell'immaginario collettivo o 'inconscio culturale' nel quale, nel corso dei secoli, si è depositato un sedimento di stereotipi, schemi rappresentativi e iconografie popolari da cui tutti, più o meno inconsciamente, dipendiamo. Qui la tensione si allenta, e, forti delle basi assimilate nella prima parte del libro, ci si abbandona volentieri alla rassegna dei più radicati luoghi comuni e topoi intorno alla figura dell'artista, in base alla classificazione che ne è stata fatta nell'affascinante testo "La leggenda dell'artista" di Kris e Kurz: sofferenza e sacrificio, solitudine e diversità, precocità e insofferenza alle regole, estasi e follia... non sono altro, nella stragrande maggioranza dei casi, che tratti costanti e ripetuti fin dai miti dell'antichità, e che dunque "rispecchiano una reazione umana universale alla misteriosa magia del creare immagini". Gli artisti per primi, allora, si ritrovano ad essere come prigionieri di questo loro "destino tipico" a cui sono chiamati paradossalmente ad adattarsi; e il pubblico, dal canto suo, ha modellato le proprie attese nello stesso identico calco, innescando un circolo vizioso di influenze a catena da cui è, e sarà, arduo sottrarsi.
Il dubbio da cui eravamo partiti pare quindi trovare conferma: poco hanno a che fare con la 'vita vera' di proustiana memoria, queste facce d'artista; ci appaiono piuttosto quali 'artefatti culturali' che accantonano l'interesse per l'individuo a beneficio di una pigra - quanto per gran parte inconscia - osservazione di ciò che è 'tipico' della categoria, dando così vita ad un corpus astratto e idealizzato tanto quanto poté esserlo il monumentale progetto (almeno nelle intenzioni) Uomini del XX secolo di Sander.
A quando un'idea di ritratto che abbia come fine
primario la 'verità vera' dell'individuo-artista
rappresentato? Con questa domanda Izzo si congeda,
lasciandoci però in dono un celebre esempio di ritratto
'smascherato' come quello scattato da Cartier-Bresson
allo scultore Giacometti nel '61: nessuna posa, nessuna
scenografia, nessuna premeditata inquadratura. Solo un
uomo che va verso un altro uomo, attraversando la strada
sotto la pioggia. Solo un marginale, folgorante
frammento di vita colta al volo, alla sprovvista, come
per caso e senza un perché.
Credo che uno dei parametri utili a valutare la validità
di un testo sia anche la sua capacità di 'seminare'
domande nella mente del lettore, generando curiosità e
impellenza di continuare ad interrogarsi su un
determinato argomento; in questi casi la fine di un
libro coincide con l'inizio di un percorso autonomo
fatto di scoperte o ri-scoperte di ulteriori testi,
pensieri, riflessioni e teorie, dall'esito
meravigliosamente imprevedibile. Mi auguro sia superfluo
affermare come questa qualità sia tra quelle possedute
da questo libro. Un testo che vale davvero la pena
accogliere nei nostri scaffali.
Serena Effe © 04/2007
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