"Ripartire dagli addii" è il primo libro pubblicato in Italia che affronti in maniera sistematica il tema della fotografia post-mortem. Nonostante ultimamente sembri essersi rinnovato l'interesse attorno alla pratica, ancora non sono stati chiariti gli snodi fondamentali della sua funzione e perciò resiste ancora, nella maggior parte dei casi, una certa infeconda confusione.
Questo rinnovato interesse (percorribile principalmente attraverso i forum in rete) va inserito nel più vasto recupero del tema della morte e il morire riscontrato, negli ultimi anni, in vari settori di ricerca. Se qui, a partire dagli studi di Ariès, Vovelle, Gorer, Thomas, Remotti e tanti altri, i toni del dibattito prendono forme precise e metodiche, per quel che concerne la fotografia post-mortem sembrerebbe che non si riesca ad uscire dall’ordine dell’aneddotico o viceversa del grottesco, quando non dell’erroneo o dell’azzardo. Evidentemente, all’interno di questo recupero, a cui hanno aderito medici, antropologi, psicologi, sociologi e storici, ancora non si è dato il sostegno dei critici della fotografia realizzando, in qualche modo, l’esclusione di un importante punto di vista, quale appunto può essere il contributo che la fotografia offre ad ogni singola disciplina. Difficile dire se “Ripartire dagli addii” si possa definire un saggio di antropologia visiva, di storia della fotografia, di semiologia quando non di sociologia, e del resto è altrettanto difficile circoscrivere i limiti dell’influenza fotografica, dal momento che l’invenzione di Daguerre ha fin da subito contribuito a rimodellare l’intero orizzonte dall’attività umana. Ad ogni modo, a prescindere da fin troppo facili definizioni di genere, questo saggio rappresenta l’unico contributo italiano ad una sana ricerca dei rapporti tra mezzo fotografico ed espressione cerimoniale, oltre ad ampliare notevolmente una trama che già testi quali “Secure the shadow” di J. Ruby, o “Sleeping beauty” di S. Burns, avevano cominciato ad intessere. Anche l’editoria straniera, infatti, nonostante si sia dimostrata certamente più attenta e puntuale della nostra, non ha mai proposto indagini complete ed esaustive in grado di rispondere a domande fondamentali come:
Perché fotografare le salme dei propri cari e custodire queste immagini come forme di un ormai inusuale memento mori?
Si è davvero estinta la fotografia post-mortem?
E cosa possono mai significare queste immagini per chi le detiene?
In che modo forniscono al cordoglio un valido sostegno?
Qual è il loro ruolo sociale e quale il loro futuro?
Queste sono soltanto alcune delle domande a cui “Ripartire dagli addii” fornisce una risposta chiara e sostenuta da un’ampia documentazione; dunque un’occasione unica per avvicinarsi ad un tema complesso come quello che sposa l’immagine della morte col segno fotografico.
Redazione di Nadir © 04/2010
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Mirko Orlando
Ripartire dagli addii:
uno studio sulla fotografia post-mortem
Milano, MJM editore, 2010.