 Quando  l’invisibile si è fatto visibile, in quel preciso istante un pezzo di mondo è  morto ed è rinato altrove. È lì che dobbiamo puntare il nostro obiettivo  fotografico se vogliamo scoprire qualcosa di noi. Lo  scatto dell’otturatore è una catastrofe che troppo spesso consumiamo senza la  necessaria sofferenza. Troppi automatismi ci rendono automi. A  pensarla, invece, è una vertigine. Quando la lama di luce fende la bramosa  quiescenza del buio, un oceano di “reale” inonda la stiva, allaga i boccaporti,  sommerge le paratie, mentre miriadi di particelle si liberano a contagiare di  sé lo spazio infinito, ad avviare derive di senso, a fecondare nuovi mondi  possibili. Un evento generativo sconvolgente, concentrato in una frazione di  secondo.
Quando  l’invisibile si è fatto visibile, in quel preciso istante un pezzo di mondo è  morto ed è rinato altrove. È lì che dobbiamo puntare il nostro obiettivo  fotografico se vogliamo scoprire qualcosa di noi. Lo  scatto dell’otturatore è una catastrofe che troppo spesso consumiamo senza la  necessaria sofferenza. Troppi automatismi ci rendono automi. A  pensarla, invece, è una vertigine. Quando la lama di luce fende la bramosa  quiescenza del buio, un oceano di “reale” inonda la stiva, allaga i boccaporti,  sommerge le paratie, mentre miriadi di particelle si liberano a contagiare di  sé lo spazio infinito, ad avviare derive di senso, a fecondare nuovi mondi  possibili. Un evento generativo sconvolgente, concentrato in una frazione di  secondo.
          Così  inizia Carlo Riggi nel suo saggio "L'esuberanza dell'ombra" e, fatte  queste premesse, procede in maniera chiara e scorrevole con le sue  considerazioni sulla fotografia.
          Già,  "in maniera chiara e scorrevole", ed è la verità: per quanti mesi  questo libro è rimasto in attesa di lettura solo a causa del suo titolo che può  spaventare un appassionato di fotografia?
          Non  ho difficoltà ad ammetterlo: le parole "saggio" e  "psicoanalisi" hanno spaventato anche me sino a quando non ho preso  il coraggio a due mani ed ho cominciato a leggerlo. Ebbene, Carlo Riggi è  riuscito a "prendermi" sin dalle prime righe, sorprendendomi man mano  che andavo avanti con le pagine senza intoppi: una lettura fluida, gradevole e,  dopo poche ore, avevo finito il libro.
          
          "Sono  letteralmente un “fotografo della domenica”. Per quanto grande sia la mia  passione, non ricalco minimamente il cliché del fotografo sempre in giro col  suo giubbotto multitasche, ingolfato di obiettivi e fotocamere. Scatto assai di  rado, nei fine settimana o in altri pochi momenti liberi, non amo le  attrezzature ingombranti e spesso porto con me soltanto una piccola macchina  compatta nel taschino. Non è così importante scattare tanto e spesso, più  importante è imparare a guardare con “intenzione” fotografica, esercitare con  continuità questo terzo occhio della mente alla scoperta di nuovi vertici, di  nuove relazioni, di nuovi scenari di senso."
    

E'  "l'intenzione fotografica" che fa diversa l'azione del guardare,  azione che facciamo tutti in maniera spontanea, ma che solo pochi tramutano in  fotografie -belle fotografie, ovviamente - ed anche qui Carlo Riggi esprime con  chiarezza il suo pensiero: "La maggior parte dei fotoamatori pensa che  la propria missione consista nel fotografare dei soggetti, ma quelli stanno lì,  basta passare e fare clic. La fotografia è ben altro, è scoprire il lato oscuro  del mondo, dare rappresentabilità alle emozioni, espandere l’immaginario e il  sogno, e per far questo non occorre poi tanta tecnica, occorre soprattutto  lavorare su se stessi, esercitarsi a pensare. Pensare per immagini, l’elemento  base di tutti i derivati narrativi. In questo il lavoro del fotografo non è  dissimile dal lavoro dello psicoanalista.
          Nella  mia vita Psicoanalisi e Fotografia sono due versanti che si sostengono a  vicenda, si informano, aprono l’un per l’altro nuovi varchi di pensiero.  Talvolta si soccorrono, quando le frustrazioni dell’una o dell’altra si fanno  troppo forti. Cosa che capita piuttosto di frequente".
            
          I  soggetti di Carlo non sono catturati né tanto meno costruiti, sono semmai  “raccolti” e l'Autore insiste molto sul concetto di “ascolto” di una foto.  L'ascoltare è molto meno intrusivo del guardare, meno assertivo. Il fotografo  non crea la foto, la incontra. Attraverso misteriosi interstizi la fotografia intercetta  l’invisibile, sprigionando emozioni imprevedibili. Ci offre di ritrovare quella  soglia in cui sostavamo, da bambini, curiosi di intimità proibite. Qualcuno  entrava, penetrava lo spazio dell’interdetto, qualcun altro aspettava e poi si  addormentava, silenzioso, e sognava: "Quale che sia l’approccio, in  fotografia come in psicoanalisi, occorre sempre preliminarmente “fare  silenzio”. Fare silenzio dentro di sé per potere cogliere le sfumature di quel  che c’è fuori; le sequenze, i ritmi, i battiti del cuore, le infinite eco che  richiamano emozioni profonde e si espandono come cerchi concentrici nell’acqua  di un lago".
            
            Alla  fotografia si contesta di essere essenzialmente un atto di non intervento. I  fotografi sarebbero come i malati di letteratura secondo Kafka: partecipi,  dentro la scena della vita, magari come protagonisti, e al tempo stesso  “spettatori imparziali”, freddi e distaccati, che osservano le cose al sicuro  dietro una barriera di onnipotenza. “Chi interviene non può registrare, chi  registra non può intervenire”, dice la Sontag. Può darsi che sia così ma,  certo, intanto chi fotografa deve trovarsi sul posto.
            
            La  veggenza del Fotografo non consiste tanto nel «vedere» quanto piuttosto  nel  trovarsi là.   R. Barthes
            
            Lo  scrittore pensa e scrive. Il fotografo pensa mentre fotografa e perciò ogni  foto è un pensiero.  M. Vázquez Montalban

          Stefano  Martellucci “Madagascar ‘05”. Il  fotografo occhieggia, come il bambino dal finestrino, a suggerirci l’avvio di  storie possibili nelle quali identificarsi. Fatte di povertà, di dignità, di  speranza, di gioia di vivere. L’armonia delle forme fa sì che le nostre difese  si abbassino e l’immagine ottenga di raggiungere più facilmente le nostre  emozioni.
        Così rimane viva, e noi ne diventiamo i soggetti.
          
La  fotografia nasce al collimare di una “preconcezione” con un evento. Tra l’idea  e il fatto esterno c’è l’apparecchio fotografico: un insieme di fattori propri  del mezzo che influenza il risultato finale facendo emergere dalla fotografia  elementi imprevisti, “casuali”, eppure carichi di significanti capaci di  avviare derive interpretative e aprire nuovi livelli di consapevolezza. La  fotografia è dunque in parte indipendente dalla volontà del soggetto e possiede  una sua propria valenza conoscitiva.
 
 
Carlo Riggi “Santa Lucia del Mela ‘07”. La figura si presenta ogni volta lì dove l’aspetto. La riconosco subito, è sempre lei, mi tormenta fin da quando ero bambino. Non posso fare a meno di fotografarla.

(A sinistra) Carlo Riggi “Palermo ‘01”. Morto o dormiente? Intorno la gente passa indifferente, tutto scorre tranquillo. La tensione si stempera, ma l’attenzione rimane vigile. (A destra) Carlo Riggi “Milazzo ‘07d”. L’immagine “non esisteva” al momento dello scatto. Il suo significato non è precostituito ma prende forma a posteriori, attraverso la visione trasognante del fruitore che, ricostituendo una propria gestalt percettivo-emotiva, ritrova parti sepolte di sé.

Carlo Riggi “Il perturbante”. Il sogno, il gioco e la produzione artistica sono strumenti efficaci per accedere all’inesprimibile.
          La  fotografia e la psicoanalisi - scrive Riggi - sono dimensioni privilegiate da  cui esplorare quelle regioni dell’uomo non governate dalla razionalità. Il loro  delizioso paradosso è che partendo dal dato concreto del reale lo tengono a  distanza permettendoci di restare liberi di fronte ad esso. 
          Il  rischio, come sempre, è quello di annullare i limiti, di celebrare in entrambi  i casi come “arte” fenomeni di dubbia consistenza e scarsa autenticità, di  perdersi nella stravaganza.
          Dovremo  evitare di essere pizie bizzarre, certo, ma senza rinunciare a scorrazzare con  il nostro terzo occhio in quel territorio sospeso tra la terra e il cielo, in  mezzo tra sogno e realtà. Un luogo di grande fascino, di grande seduzione.  Talmente ammaliante che rischiamo a volte di restarci invischiati,  intrappolati, imprigionati. L’enigmistica, grande palestra del caos, ci avverte  di questo rischio concreto: l’anagramma di “sogno + realtà” è “ergastolano”. 
          Tra  sogno e realtà la Fotografia, nostra amata dannazione.
          
          Rino  Giardiello © 01/2009
Riproduzione Riservata
L'autore.
                Carlo  Riggi è psicoterapeuta di formazione psicoanalitica. Vive, pensa e lavora a  Milazzo.
          Ha pubblicato i libri “Fuori di me, indagine sulla periferia umana”  (AA.VV., Ed. Il Punto) e “Non ti dimentico” (Poesie di Giulia Carmen Fasolo,  Ed. Il Foglio).
          Ha collaborato con la rivista “Gente di Fotografia”.
          
          Il libro.
          Titolo: L'esuberanza dell'ombra
          Autore: Carlo Riggi
          Casa editrice: "Le nuvole" collana "Blow Up"
          Dimensioni: 
          15x21 cm
          Pagine: 
          80 pagine con 20 foto bianconero
          Codice ISBN: 978-88-88343-66-2
          Prezzo: 9,00 Euro