Ferdinando 
                Scianna è tra i protagonisti della
                II 
                Settimana della Fotografia Europea di Reggio Emilia, 
                nell'ambito della quale è presente con la mostra "Ti 
                guardo negli occhi, città" (piazza Casotti, fino al 10 
                giugno 2007). Nel corso di uno dei numerosi incontri in 
                programma, è emersa la sua opinione sullo statuto attuale della 
                fotografia.
                Un intervento 'informale' e inevitabilmente 
                sintetico, su cui vale però                la pena fermarsi a 
          riflettere.    
    
  In 
        un'epoca in cui la fotografia è sempre più avvolta da 
        una nube più o meno impenetrabile e asfissiante di 
        paroloni e ragionamenti 'ad effetto', che si contorcono 
        su loro stessi come serpi in agonia fino ad esaurirsi in 
        una vuota autoreferenzialità, sentirne parlare con toni 
        schietti ed immediati fa decisamente tirare un sospiro di 
        sollievo: tanto più se il relatore in questione è 
        un'importante e carismatica personalità come Ferdinando 
        Scianna. Figura di spicco nel panorama internazionale 
        fin dal 1965 - anno in cui, a 21 anni appena, pubblicò 
        il suo primo libro fotografico dedicato alle Feste 
          religiose in Sicilia -, si trasferisce due anni dopo dalla rurale Bagheria 
        alla frenetica Milano per intraprendere la carriera di fotoreporter 
        ed inviato speciale per conto del settimanale "L'Europeo"; divenuto corrispondente estero, si sposta a 
        Parigi, per rimanervi dieci anni: è in questo periodo 
        che, grazie all'interesse di Cartier-Bresson, entra a 
        far parte della Magnum Photos; il resto della sua 
        carriera è storia nota ai più, in un crescendo di 
        celebrità in ambito di fotografia di moda, pubblicitaria 
        e reportagistica di stampo umanistico (sulla scia di 
        un'ideale continuazione dello sguardo bressoniano), in 
        cui tensione drammatica, 'visceralità', ironia acuminata e 
        sincera partecipazione umana si intrecciano fino a dar 
        vita ad una cifra stilistica originale e facilmente 
        riconoscibile. Non è però mia intenzione dilungarmi 
        adesso sulle caratteristiche salienti della sua opera, 
        dato che vorrei qui limitarmi all'esposizione di alcuni 
        punti fondamentali emersi nell'ambito di un incontro che 
        lo ha visto protagonista, svoltosi in seno alla II 
        Settimana della Fotografia Europea organizzata a Reggio 
        Emilia. Consentitemi per prima cosa di consigliarvi 
        caldamente la partecipazione a questo tipo di 
        manifestazioni (tra l'altro sempre più numerose e 
        curate), che danno la possibilità di confrontarsi, anche 
        se indirettamente, con un gran numero di personalità ed 
        opinioni con le quali magari ci si potrà trovare in 
        disaccordo, ma che risultano ad ogni modo fondamentali 
        per costruirsi una propria, autonoma idea 
        sull'argomento. Trovarsi ad ascoltare Scianna, per 
        esempio, che col suo pungente sarcasmo e la sua colorita 
        e sicilianissima spontaneità 
        ragiona di 'peperonità' e di Edward Weston, è 
        un'esperienza unica, che tra una risata e l'altra 
        conduce con leggerezza alla riflessione su alcuni punti 
        nodali intorno allo statuto della fotografia. Vediamo 
        quali.
In 
        un'epoca in cui la fotografia è sempre più avvolta da 
        una nube più o meno impenetrabile e asfissiante di 
        paroloni e ragionamenti 'ad effetto', che si contorcono 
        su loro stessi come serpi in agonia fino ad esaurirsi in 
        una vuota autoreferenzialità, sentirne parlare con toni 
        schietti ed immediati fa decisamente tirare un sospiro di 
        sollievo: tanto più se il relatore in questione è 
        un'importante e carismatica personalità come Ferdinando 
        Scianna. Figura di spicco nel panorama internazionale 
        fin dal 1965 - anno in cui, a 21 anni appena, pubblicò 
        il suo primo libro fotografico dedicato alle Feste 
          religiose in Sicilia -, si trasferisce due anni dopo dalla rurale Bagheria 
        alla frenetica Milano per intraprendere la carriera di fotoreporter 
        ed inviato speciale per conto del settimanale "L'Europeo"; divenuto corrispondente estero, si sposta a 
        Parigi, per rimanervi dieci anni: è in questo periodo 
        che, grazie all'interesse di Cartier-Bresson, entra a 
        far parte della Magnum Photos; il resto della sua 
        carriera è storia nota ai più, in un crescendo di 
        celebrità in ambito di fotografia di moda, pubblicitaria 
        e reportagistica di stampo umanistico (sulla scia di 
        un'ideale continuazione dello sguardo bressoniano), in 
        cui tensione drammatica, 'visceralità', ironia acuminata e 
        sincera partecipazione umana si intrecciano fino a dar 
        vita ad una cifra stilistica originale e facilmente 
        riconoscibile. Non è però mia intenzione dilungarmi 
        adesso sulle caratteristiche salienti della sua opera, 
        dato che vorrei qui limitarmi all'esposizione di alcuni 
        punti fondamentali emersi nell'ambito di un incontro che 
        lo ha visto protagonista, svoltosi in seno alla II 
        Settimana della Fotografia Europea organizzata a Reggio 
        Emilia. Consentitemi per prima cosa di consigliarvi 
        caldamente la partecipazione a questo tipo di 
        manifestazioni (tra l'altro sempre più numerose e 
        curate), che danno la possibilità di confrontarsi, anche 
        se indirettamente, con un gran numero di personalità ed 
        opinioni con le quali magari ci si potrà trovare in 
        disaccordo, ma che risultano ad ogni modo fondamentali 
        per costruirsi una propria, autonoma idea 
        sull'argomento. Trovarsi ad ascoltare Scianna, per 
        esempio, che col suo pungente sarcasmo e la sua colorita 
        e sicilianissima spontaneità 
        ragiona di 'peperonità' e di Edward Weston, è 
        un'esperienza unica, che tra una risata e l'altra 
        conduce con leggerezza alla riflessione su alcuni punti 
        nodali intorno allo statuto della fotografia. Vediamo 
        quali.
    
 
          
Il dibattito "la fotografia è o non è 
          da considerarsi arte?", per esempio, che accompagna la 
          fotografia fin quasi dalla sua nascita facendola 
          fluttuare su inconcludenti fiumi di inchiostro e 
          parole, è risolto da Scianna, sintetizzando al massimo, 
          con un'affermazione tra il risentito e il provocatorio; 
          a chi si azzardi incautamente a definirlo 'artista', 
          Scianna ribatte infatti: "Artista sarà lei! Io sono 
            fotografo. Fotografo. Fotografo". Un fotografo 
          elevato al cubo, quindi, impegnato a difendere con 
          veemenza la 
          propria specificità espressiva (che è poi lo specifico 
          fotografico tout court) da una 'contaminazione' 
          che, secondo la sua opinione, ha finito per snaturare 
          l'identità stessa dell'atto fotografico. Una posizione 
          quantomai controcorrente, estremizzata per necessità, 
          che affonda le sue radici in quegli anni Sessanta che lo 
          videro esordire come fotografo. La sua indagine 
          fotografica sulle feste religiose in Sicilia, una volta 
          pubblicata in volume (libro che ha poi fatto scuola), fu 
          accompagnata da un testo di Leonardo Sciascia che, tra 
          le altre cose, affermava il carattere sostanzialmente 
          materialista della religiosità siciliana: tesi che 
          sollevò un prevedibile polverone di polemiche. Tra i 
          vari giornalisti-intellettuali che criticarono il 
          pensiero di Sciascia, ce ne fu uno che, 
          nonostante ciò, invitò Scianna a tenere una 
          presentazione delle immagini che componevano il libro 
          incriminato: lodando la bellezza di quelle fotografie, 
          considerate alla stregua di opere d'arte, il giornalista 
          le presentò appunto come 'creazioni' di un 'artista', 
          e non come testimonianze veritiere della realtà; la 
          polemica, dunque, non aveva più senso di esistere. Fu 
          allora che Scianna si rese conto che mai e poi mai 
          avrebbe voluto essere considerato un artista, se ciò 
          significava destituire di ogni credibilità le sue 
          fotografie e il suo intero lavoro; tutto ciò lo portò ad 
          individuare nell'ingresso della fotografia nel mondo 
          dell'arte nient'altro che un tetro funerale, una sorta 
          di passaggio dall'onesto campo del reale a quello, in un 
          certo senso menzognero e senz'altro illusorio, dell'immaginario.
          Ecco che, da questo punto di vista, anche l'espressione 
          comune "fare una fotografia" finisce 
          per rivelare il suo ambiguo 
          doppiofondo, costituito da quel "fare" che implica 
          l'esistenza di un atto creativo e, di conseguenza, una 
          sofisticazione del reale che allontana inevitabilmente 
          l'immagine dalla verità. Scianna finisce così per tirare 
          in ballo l'argomento storicamente più utilizzato dai 
          'nemici' della fotografia (nemici nel senso di 'contrari 
          alla sua inclusione nell'ambito delle arti'), ovvero la 
          necessaria vicinanza del referente (del reale 
          fotografato) quale condizione inalienabile per la 
          creazione di un'immagine fotografica. Una 
          caratteristica, questa, che da limite vincolante può 
          tramutarsi in punto di forza, nel momento in cui si 
          smetta di concentrarsi sulla collocazione ad ogni costo 
          della fotografia in un qualsivoglia ambito a lei 
          esterno, per tornare a considerare le sue straordinarie 
          specificità: solo così, probabilmente, si potrà evitare 
          che la fotografia finisca per essere fagocitata 
          dall'arte, fino ad annullarsi in essa.
           
        
 
          
Rifacendosi alle celebri immagini di 
            Weston, Scianna sembra schierarsi contro la presunta 
            capacità di trascendere il reale propria della fotografia, 
            chiarendo come secondo lui Weston fosse ben lungi dal voler 
            (e poter) 
            rappresentare un'ideale ed immateriale "peperonità": fotografava 'quel' 
            peperone, e non certo l'idea trascendente che gli si celava platonicamente 
            dietro. Evocando poi l'ipotetica, spassosa scena di Weston e la Modotti che si 
            cucinano alla griglia quello stesso peperone subito dopo averlo immortalato, 
            Scianna non fa altro che 'desacralizzare' l'atto fotografico, portandoci a 
            riflettere su come questo suo essere poco incline alla deriva filosofica non sia 
            da considerarsi necessariamente un difetto, quanto una sua caratteristica 
            peculiare, che contribuisce a conferirgli un'identità autonoma e che vale dunque 
            la pena preservare. Insomma, una posizione polemica e radicale (esposta con 
            troppo fervore per non incappare in qualche inesorabile contraddizione), che, a fronte di un fumoso ed astratto chiacchiericcio 
            senza fine che ci raggiunge da ogni parte, ci riporta con i piedi per terra, 
            invitandoci a riconsiderare lo statuto della fotografia alla luce di 
            argomentazioni più concrete ed 'elementari': e a dirsi, soprattutto, un po' più 'fotografi' (e 
            ben fieri di esserlo) e un po' meno 'artisti'.
            Lasciandosi per un attimo alle spalle la distinzione tra fotografia 'alta' o 
            'bassa', d'autore o amatoriale, Scianna ci ricorda come alla base di ogni atto 
            fotografico ci sia, in fin dei conti, il prosaico concetto dell'album di 
            famiglia: l'intero percorso di un fotografo si configura così (o almeno: 
            dovrebbe configurarsi) come un incessante tentativo di raggiungere 
            quell'autentico 
            e disinteressato sentimento di necessità, quel bisogno impellente che muove il 
            padre di famiglia nel momento in cui fotografa il figlio che gioca con la sabbia 
            sul bagnasciuga o che spegne le candeline del suo ennesimo compleanno. 
            Riscoprire questa urgenza semplice e genuina potrà forse servire a limitare 
            l'inevitabile inquinamento della pratica fotografica dovuto proprio al suo 
            essere finalmente riuscita a farsi accogliere nel mondo delle arti (e quindi del 
            collezionismo, del blabla di critici e curatori, della musealizzazione, del 
            mercato...). Ed è più chiaro che mai, Scianna, quando senza la benché minima 
            diplomazia afferma: "Alla fin fine, si sa, tutto il gran discutere su quale 
              etichetta appiccicare a una cosa mira soprattutto a decidere che prezzo 
              scriverci sopra".
            
            Serena Effe © 05/2007
            Riproduzione Riservata
            
          
              
   Segnalo, a chi volesse 
                      riscoprire questa immediatezza di approccio anche in 
                      un libro, l'economica raccolta di articoli  "OBIETTIVO AMBIGUO", edita da Rizzoli. 
                      Il volume, curato dallo stesso Scianna, propone una 
                      selezione di interventi pubblicati negli anni su 
                      riviste e cataloghi, nati essenzialmente dalla 
                      necessità di "situarsi rispetto al suo mestiere e 
                        al mondo". Una lettura godibilissima e 
                      scorrevole, sia per l'estrema varietà di argomenti 
                      trattati che per lo stile comunicativo, aperto e 
                      impunemente 'di parte' che abbiamo imparato ad 
                      apprezzare in questo articolo. Non una raccolta di 
                      saggi di critica paludata, dunque, ma un insieme di 
                      divagazioni di un 'semplice' ed appassionato fotografo 
                      che parla con franchezza, esperienza e senza troppa 
                      discrezione di fotografia e del lavoro di altri 
                      fotografi. Emergono temi ricorrenti, piccole 
                      ossessioni, malcelate idiosincrasie e ciechi 
                      innamoramenti: il tutto condito da numerosi 
                      riferimenti 'colti', frutto della sua solida cultura 
                      umanistica. La prima metà del libro, divisa nelle due 
                      sezioni "Piccole polemiche sui massimi sistemi" e "La testimonianza e la menzogna", raccoglie 
                      articoli che toccano i più vari argomenti; qualche 
                      titolo, per darvi un'idea: Il Fotografo e 
                        l'Antropologia - Scanno dei miracoli -  Donna, fotografia e pubblicità - L'invenzione 
                          di Madonna - Magnum oggi - La morale del 
                            fotografo - Holmes e le origini del pensiero 
                              fotografico... Nella seconda parte, 
                      intitolata "La fotografia è i fotografi" (come a dire: bando alle ciance, veniamo al sodo! Ecco 
                      cos'è, alla fin fine, la fotografia: immagine e 
                      sguardo. Solo questo conta davvero), Scianna si 
                      confronta col lavoro di 58 suoi colleghi - e non di 
                      rado amici, o maestri, come nel caso di Giacomelli o 
                      Cartier-Bresson -, raccolti senza presunzione di 
                      esaustività, introducendo il lettore alla loro opera: 
                      da Diane Arbus a Gabriele Basilico, da Bragaglia e i 
                      futuristi a Nadar, da Franco Fontana a Don McCullin, 
                      passando per stili, linguaggi e sensibilità le più 
                      diverse. Davvero una piacevole sorpresa, scoprire 
                      quanto Scianna riesca a comunicare passione ed 
                      emozioni con la penna tanto quanto con la macchina 
                      fotografica! Consigliatissimo anche a coloro che, di 
                      norma, preferiscono mantenere una diffidente distanza 
                      di sicurezza dalla fotografia 'parlata'.
Segnalo, a chi volesse 
                      riscoprire questa immediatezza di approccio anche in 
                      un libro, l'economica raccolta di articoli  "OBIETTIVO AMBIGUO", edita da Rizzoli. 
                      Il volume, curato dallo stesso Scianna, propone una 
                      selezione di interventi pubblicati negli anni su 
                      riviste e cataloghi, nati essenzialmente dalla 
                      necessità di "situarsi rispetto al suo mestiere e 
                        al mondo". Una lettura godibilissima e 
                      scorrevole, sia per l'estrema varietà di argomenti 
                      trattati che per lo stile comunicativo, aperto e 
                      impunemente 'di parte' che abbiamo imparato ad 
                      apprezzare in questo articolo. Non una raccolta di 
                      saggi di critica paludata, dunque, ma un insieme di 
                      divagazioni di un 'semplice' ed appassionato fotografo 
                      che parla con franchezza, esperienza e senza troppa 
                      discrezione di fotografia e del lavoro di altri 
                      fotografi. Emergono temi ricorrenti, piccole 
                      ossessioni, malcelate idiosincrasie e ciechi 
                      innamoramenti: il tutto condito da numerosi 
                      riferimenti 'colti', frutto della sua solida cultura 
                      umanistica. La prima metà del libro, divisa nelle due 
                      sezioni "Piccole polemiche sui massimi sistemi" e "La testimonianza e la menzogna", raccoglie 
                      articoli che toccano i più vari argomenti; qualche 
                      titolo, per darvi un'idea: Il Fotografo e 
                        l'Antropologia - Scanno dei miracoli -  Donna, fotografia e pubblicità - L'invenzione 
                          di Madonna - Magnum oggi - La morale del 
                            fotografo - Holmes e le origini del pensiero 
                              fotografico... Nella seconda parte, 
                      intitolata "La fotografia è i fotografi" (come a dire: bando alle ciance, veniamo al sodo! Ecco 
                      cos'è, alla fin fine, la fotografia: immagine e 
                      sguardo. Solo questo conta davvero), Scianna si 
                      confronta col lavoro di 58 suoi colleghi - e non di 
                      rado amici, o maestri, come nel caso di Giacomelli o 
                      Cartier-Bresson -, raccolti senza presunzione di 
                      esaustività, introducendo il lettore alla loro opera: 
                      da Diane Arbus a Gabriele Basilico, da Bragaglia e i 
                      futuristi a Nadar, da Franco Fontana a Don McCullin, 
                      passando per stili, linguaggi e sensibilità le più 
                      diverse. Davvero una piacevole sorpresa, scoprire 
                      quanto Scianna riesca a comunicare passione ed 
                      emozioni con la penna tanto quanto con la macchina 
                      fotografica! Consigliatissimo anche a coloro che, di 
                      norma, preferiscono mantenere una diffidente distanza 
                      di sicurezza dalla fotografia 'parlata'.