BOKEH: OVVERO LA RESA DELLO SFOCATO
Rino Giardiello e Agostino Maiello, febbraio 1999

Foto di Rino Giardiello © 1999Definizione: La "resa dello sfocato", definita anche "contributo delle zone fuori fuoco", è sempre stata tra i criteri di valutazione di un obiettivo, ma poiché sono stati i produttori giapponesi a porre l'accento su di essa nella promozione delle loro ottiche sul mercato di massa, per indicarla si è finito con l'utilizzare un termine per l'appunto giapponese: bokeh. A quanto pare, il primo produttore a porre l'accento sulla qualità della riproduzione delle zone fuori fuoco fu Minolta, nei primi anni '80, sebbene in realtà si abbia traccia di una brochure della metà degli anni '70 in cui, nel pubblicizzare le fotocamere HiMatic E ed F, Minolta poneva l'accento sulla qualità dello sfocato, mostrando un ritratto in esterni con lo sfondo (per esempio, un albero) particolarmente fuori fuoco. (Foto a lato di Rino Giardiello).

"Bokeh" è dunque un termine che indica, in una fotografia, le zone sfocate, e per estensione come esse vengono riprodotte dall'obiettivo.

Ho moltissime dia che mettono al confronto lo sfocato di scuola tedesca con quello di scuola giapponese ma, una volta ridotte a dimensioni adatte al web, le differenze tendevano a scomparire.

L'immagine che ho scelto alla fine non ha la sua controparte di scuola giapponese: è stata scattata con l'85/1.4 Zeiss (uno dei primissimi Planar T* ancora Made in Germany) in luce ambiente con una pellicola negativa da 400 ISO.

La situazione era critica: solo 1/30 di secondo a tutta apertura. La luce era solo quella di casa (artificiale, ecco il motivo della dominante calda che però a me piaceva). Ho messo accuratamente a fuoco parte del velo (nella foto se ne distingue perfettamente la trama), il ricciolo e l'occhio. Il resto sfuma nello sfocato con estrema morbidezza e gradualità tanto che la sfocatura non è più un limite ma arricchisce l'immagine che è estremamente plastica e tridimensionale. Purtroppo tutte queste cose non si riescono ad apprezzare se non in minima parte nella piccola foto a lato (per non parlare dei limiti dei monitor). La sfocatura è servita anche per eliminare il solito sfondo domestico (parte di un mobile col televisore e la finestra).

Da cosa dipende il bokeh?

1) Il diaframma

Il bokeh, ovvero - lo ripetiamo - la qualità delle zone sfocate dell'immagine, è determinato da diversi fattori. Innanzitutto, come ben sappiamo la profondità di campo diminuisce (e dunque la zona fuori fuoco aumenta) man mano che si apre il diaframma; e poiché la definizione dei dettagli fuori fuoco è minore man mano che si apre il diaframma, ne consegue che lo sfocato è più morbido quando si lavora a grandi aperture, mentre i passaggi sono più netti se l'apertura diminuisce. A seconda poi del soggetto sfocato, la sua resa può darci alcune informazioni sull'obiettivo. In generale le alte luci sono più sensibili al bokeh del resto; alte luci perfettamente circolari indicano probabilmente che l'obiettivo è stato usato a tutta apertura; se sono poligonali, invece, vuol dire che il diaframma è stato chiuso di almeno un valore, e talvolta è possibile addirittura contare quante sono le lamelle del diaframma dell'obiettivo. Quindi l'apertura del diaframma ha un'influenza sul bokeh, ed il numero delle lamelle un'altra. Anche la posizione del diaframma ha la sua importanza.

Riassumendo: lo sfocato in una fotografia è composto di una molteplicità di punti; ed ognuno di questi punti, in realtà, riproduce la forma del diaframma. Ecco perché usando molte lamelle, la forma finale che si ottiene si avvicina di molto a quella circolare, che è la più gradevole all'occhio.

In generale si ritiene che il numero di lamelle del diaframma sia l'elemento cardine del bokeh, ma in realtà non è così. Obiettivi con numeri di lamelle estremamente diversi possono produrre tranquillamente lo stesso tipo di sfocato. Del resto il bokeh è particolarmente pronunciato a tutta apertura, quando il diaframma non entra in gioco nella formazione dell'immagine sul negativo. Il fattore principale in realtà è un altro: l'aberrazione sferica.

2) L'aberrazione sferica

Come già detto, le alte luci sono i soggetti più critici per giudicare il bokeh. Supponiamo che in una determinata scena, sullo sfondo, vi sia una sorgente di luce (per esempio un lampione stradale), e che l'obiettivo, a tutta apertura, sia focheggiato su un soggetto in primo piano. Dunque avremo il lampione fuori fuoco, che verrà reso come un "cerchio di luce", ma la sua resa può variare notevolmente: potrebbe apparire come un normale disco di luce dall'intensità costante, senza variazioni al suo interno; o potrebbe avere un'intensità maggiore al centro, con i bordi più sfumati; o potrebbe accadere il contrario, con l'intensità della luce che prima aumenta e poi, al centro del disco, decresce. Questo avviene nei catadiottrici e nelle ottiche sovracorrette per l'aberrazione sferica.

L'aberrazione sferica è rilevante perché influisce direttamente sulla profondità di campo, e dunque sul bokeh. Questo avviene per il seguente motivo. Quando un obiettivo è focheggiato su di un determinato oggetto, non tutti i raggi di luce che dall'oggetto arrivano nell'obiettivo sono focheggiati esattamente sullo stesso piano (che poi è il piano pellicola). La luce che passa più o meno al centro dell'obiettivo viene focheggiata precisamente, mentre i raggi via via più distanti sono focheggiati su un punto leggermente diverso, proprio a causa del fatto che le lenti sono di forma circolare, e questo dà luogo all'aberrazione sferica.

Questo spiega anche perché, chiudendo il diaframma, aumenta la profondità di campo: chiudendo il diaframma si usano via via le parti della lente più prossime al centro, escludendo quelle estreme, aumentando così la precisione della focheggiatura del soggetto. (Com'è noto, la profondità di campo aumenta anche perché con valori di diaframma più chiusi diminuisce la dimensione del circolo di confusione, rendendo più distinguibili i dettagli fini sul negativo).

Abbiamo visto che la forma dei punti sfocati dipende dal numero delle lamelle; ma la sfumatura dei contorni di tali punti dipende dalla correzione dell'aberrazione sferica. Sottocorreggendo l'aberrazione sferica, i primi piani vengono resi con contorni più nitidi, mentre lo sfondo avrà uno sfocato più graduale; sovracorreggendola, invece, accade il contrario: sarà il primo piano ad essere più morbido (parliamo sempre del primo piano sfocato, cioè di tutto ciò che si trova prima del piano di messa a fuoco), mentre lo sfondo avrà una sfocatura più dura.

Dunque la correzione dell'aberrazione sferica ha un'influenza notevole sul bokeh; non a caso gli obiettivi Nikkor DC (Defocus Control) includono un selettore che agisce per l'appunto sulla correzione dell'aberrazione sferica, in modo da consentire al fotografo un maggior controllo sulla resa dello sfocato.

La forma del diaframma, invece, è solo uno dei fattori che determinano il bokeh; in molti casi è possibile intuire la forma del diaframma (triangolare, ottagonale, ecc.) osservando le alte luci sfocate sul negativo, ma come abbiamo visto basta un obiettivo poco corretto per l'aberrazione sferica per produrre immagini circolari con il centro più scuro dei bordi, e un obiettivo sovracorretto per produrre risultati opposti (forme circolari ma con i bordi più scuri del centro).

La conclusione dunque è che se da una parte la natura del diaframma determina la forma delle alte luci sfocate, dall'altra è la correzione dell'aberrazione sferica che determina come queste alte luci sono riprodotte in termini di intensità della luminosità.

Considerazioni estetiche

Pensando al bokeh, si può osservare che in quest'ambito la fotografia è un'arte visiva unica, nel senso che per ragioni ottiche deve tener conto del fatto che non sempre è possibile avere a fuoco tutti i piani dell'immagine, a differenza invece della pittura dove la "profondità di campo" è una scelta del pittore.

Ciò che è a fuoco e ciò che non lo è ha un'importanza notevole sul contenuto delle fotografie che realizziamo. Le zone sfocate, anche se tali, sono una parte dell'immagine che produciamo, e perciò devono essere considerate nella composizione così come nella loro qualità finale. Soggetti sfocati in maniera morbida o dura, con dettagli o meno, possono avere un'influenza notevole sull'impatto dell'immagine. Il bokeh da solo non pesa certo quanto la risolvenza o il contrasto di un'ottica, ma in alcuni casi può fare la differenza, può dare quel qualcosa in più ad una foto che la faccia saltare fuori dal mucchio. Ed un pessimo bokeh può tranquillamente rovinare una foto altrimenti gradevole, farci dire "È bella, ma… manca qualcosa".

C'è un altro motivo per cui, forse, oggi usiamo un termine giapponese per indicare le zone fuori fuoco. La valutazione degli spazi "negativi", vuoti, è tradizione dell'estetica giapponese, che tende ad assegnare allo sfondo delle immagini la stessa importanza del soggetto principale, a differenza di quanto avviene nell'estetica occidentale. Noi occidentali diamo più importanza al soggetto in primo piano, la cultura orientale tende ad avere un atteggiamento diverso.

Misurazione e valutazione del bokeh

Nei grafici che descrivono - sulle riviste ma non solo - gli obiettivi dei vari produttori non si parla mai di bokeh, ma solo di valori MTF, risolvenza, distorsione, eccetera, e ciò potrebbe far pensare che la misurazione del bokeh sia qualcosa di poco fattibile. Si potrebbe anche pensare che il bokeh di un determinato obiettivo non faccia parte dei parametri di cui si tenga conto nel progettare l'ottica (laddove, com'è noto, un progetto viene sviluppato avendo come fine determinati livelli di prestazioni nei vari settori: distorsione, nitidezza, caduta di luce, eccetera), ma sia, alla fin fine, un qualcosa di più o meno casuale e imprevedibile che derivi dalla combinazione delle diverse scelte progettuali che caratterizzano lo specifico obiettivo; insomma una "variabile dipendente", per dirla in termini matematici.

L'assenza di informazioni dei produttori a riguardo nasce forse anche dal fatto che la qualità dello sfocato appare essere una caratteristica sempre più trascurata dai moderni fotoamatori (ed in un'epoca di zoom, la cosa non ci stupisce), e ciò spiegherebbe perché i produttori ne parlano poco e, anzi, non se ne curano più di tanto nel realizzare le ottiche.

In realtà, in alcuni numeri dell'estate 1997 la rivista statunitense "Photo Techniques" ha affrontato il tema del bokeh fornendo anche un'idea su come misurarlo: il suggerimento è quello di tracciare l'intensità di un punto di alte luci che sia sfucato e metterla in relazione alla sua luminosità effettiva. Questo grafico consentirebbe in effetti di avere un'idea di quanto "dura" sia la resa dello sfocato di una specifica lente, ma in realtà i parametri in gioco sono troppi perché la cosa abbia un senso pratico: la luminosità dello sfondo, i valori del diaframma, la caduta di luce ed altri fattori renderebbero questo giudizio troppo specifico e perciò inutilizzabile. Né si può pensare di effettuare alcuni milioni di test su una singola ottica a seconda delle condizioni di luce e dell'intensità del soggetto sfuocato, della sua distanza eccetera: si otterrebbero solo migliaia di pagine zeppe di dettagliatissimi grafici dall'utilità pratica pressoché nulla.

La verità è che il bokeh è qualcosa di molto soggettivo, ed uno sfocato che può piacere a Tizio perché "morbido" può non piacere a Caio perché "impastato": è questione di gusti.

Il bokeh non si trova nelle documentazioni degli obiettivi un po' per la mancanza di un pubblico che ne voglia sapere di più, un po' perché, come abbiamo visto, generalmente è migliore se si rinuncia alla correzione giusta dell'aberrazione sferica; e ciò comporterebbe un peggioramento dei valori dei test più comuni che invece il pubblico va a guardare con attenzione e che molto spesso costituiscono il criterio di scelta fondamentale nell'acquisto di un obiettivo.

Rino Giardiello e Agostino Maiello © 02/1999
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