DIA BN IN CASA: AGFA SCALA VS KODAK 5052 TMX
Lorenzo Cuciniello, gennaio 2000

PERCHE' QUESTO TEST
Gli appassionati di dia e di bianconero sanno benissimo che l'Agfa Scala è la migliore dia BN presente attualmente sul mercato, ma sanno anche che la politica dell'Agfa (peraltro sempre attenta alle esigenze dei fotografi non professionisti) ha fatto in modo che il procedimento di inversione adottato per questa particolare emulsione non venisse reso noto, rendendo così obbligatorio l'invio dei rulli in uno dei tre laboratori Agfa presenti sul territorio nazionale e autorizzati a trattare questa pellicola. Per cui il cosiddetto "fotoamatore" volenteroso deve applicare il noto processo DIY ("Do It Yourself", ovvero…"arrangiatevi") se vuole evitare una lunga "peregrinatio" con relative abbondanti spese di spedizione (i tre laboratori sono solo a Milano e Roma) e incognite sul risultato finale.

Questo test quindi ha due obiettivi: verificare se è possibile trattare a casa propria questa pellicola "dedicata" che richiede di prassi la spedizione ad un laboratorio specializzato, e metterla a confronto con un'emulsione concepita per ottenere negativi, ma invertita per l'occasione.
E, magari peccando un po' di presunzione, vuole anche illustrare il procedimento di inversione delle pellicole bianco e nero, nonché fornire uno spunto a coloro che sono un po' pratici di camera oscura (ma neanche poi tanto!), per avventurarsi nell'affascinante mondo dello sviluppo delle dia bn.
Vorrei infine far notare che il test non ha alcuna valenza scientifica, non fosse altro per il fatto che la sensibilità effettiva delle pellicole non è stata determinata a norme ISO. Ciò che mi premeva quindi non era effettuare un'analisi precisa del comportamento delle emulsioni, ma semplicemente trovare un trattamento che fornisse i risultati migliori in termini di resa tonale continua.

PERCHE' SCALA E TMAX
Per il test ho scelto di mettere a confronto l'Agfa Scala e la Kodak Tmax 100 in base ad alcune considerazioni.

Innanzitutto la reperibilità sul mercato. Scala e Tmax sono infatti, ognuna per il loro genere, le pellicole che più facilmente si trovano sui banchi del fotonegoziante mediamente fornito.

In secondo luogo, il fatto che per le Tmax sia previsto comunque un trattamento invertibile, tramite un kit (anche questo non facilmente reperibile) prodotto appositamente per queste da mamma Kodak. Tale trattamento e' stato però scartato dai test, dato il costo molto elevato e il fatto che potesse far magari "pendere" il piatto della bilancia a favore della pellicola della casa americana.

Ho perciò deciso di seguire un'altra strada: quella della preparazione dei bagni a partire dai componenti base. In realtà la composizione dei bagni che ho usato e' esattamente quella del kit di inversione sviluppato da O. F. Ghedina e prodotto dalla Ornano con il nome di GHE F215. Per cui il tutto si intende riferito all'uso di tale inversore. Altri inversori possono avere procedimenti leggermente differenti, ma la sostanza, ovvero il procedimento che è alla base, non cambia.

LE PROVE
Per il test ho proceduto nel seguente modo:

Ho fotografato su sfondo grigio al 18% un semplicissimo still-life e una scala di grigi Kodak, illuminati con una luce diffusa a destra e un pannello riflettente sulla sinistra guardando il soggetto. La scena è stata ripresa in due sedute successive con la reflex montata su stativo e obiettivo 50 mm diaframmato a f/8. Sono stati esposti due rullini da 36 pose di Agfa Scala e due di TMax 100, per un totale di 144 diapositive. Con la reflex in automatico ho scattato tre serie da dodici foto per ogni rullino, variando l'esposizione tramite la ghiera di impostazione della sensibilità a passi di 1/3 di stop. Per la Scala sono partito da 50 ISO, arrivando a 640, mentre per la Tmax ho impostato una sensibilità iniziale di 32 ISO e ho concluso con uno scatto a 400 ISO. In seguito ho trattato le pellicole insieme, fino al momento in cui per ogni serie ho differenziato il trattamento nella maniera che vedremo in seguito.

IL TRATTAMENTO
L'inversione di una pellicola bianconero non presenta alcuna complicazione rispetto allo sviluppo classico. Aumenta solo il tempo totale di trattamento e il numero di bagni. Per il resto non vi sono grossi problemi, se non il fatto di maneggiare sostanze un po' rischiose come il bicromato di potassio o il metolo contenuto nello sviluppo. Ad ogni buon conto, con un po' di accortezza (leggi: uso di guanti in gomma) si evitano tutte le spiacevoli conseguenze che possono derivare dal contatto con tali sostanze.

Il procedimento si articola in:
1) sviluppo
2) sbianca
3) schiarimento
4) seconda esposizione
5) secondo sviluppo
6) fissaggio (opzionale)
7) lavaggio finale

Tutti i bagni devono avere una temperatura di 20°C e fra un passaggio e l'altro è necessario un lavaggio in abbondante acqua corrente a non meno di 15°C per 5' buoni. L'agitazione deve essere continua e costante in tutti i passaggi.

Ho quindi fatto così:

Dopo 2 minuti di preimmersione in acqua a 20°C, ho sviluppato la pellicola con un rivelatore molto energico (quelli per carte vanno benissimo) fino a raggiungere il gamma infinito. Questo significa che tutto l'alogenuro colpito dalla luce si è trasformato in argento metallico. Se ciò non avviene, le trasparenze nella diapositiva finale appariranno scialbe e piatte. Per la prova ho usato il Neutol NE dell' Agfa diluito 1+3. La Ornano consiglia per il GHE F215 il suo sviluppo Normaton ST 18 diluito sempre 1+3. I risultati dovrebbero essere identici. Comunque è buona norma rifare le prove se un componente dei bagni varia. In questo caso non ho usato lo sviluppo consigliato, perché avevo in casa una buona scorta di Neutol.

Per quanto riguarda il tempo, bastano i 12 minuti consigliati dalla Ornano. In questo tempo tutte le pellicole di media sensibilità si sviluppano completamente e col massimo contrasto possibile.

Dopo i 12 minuti di sviluppo e il lavaggio di 5' ho proceduto ad una sbianca di 5' (in bicromato acido di potassio), cioè alla eliminazione dell'immagine negativa di argento presente sul supporto.

In tal modo sono rimasti i soli alogenuri non colpiti dalla luce, che formano l'immagine positiva dopo il secondo sviluppo.

Dopo il lavaggio (sempre di 5') sono passato alla fase fondamentale di tutto il processo: lo schiarimento. Questo è il bagno più delicato, perché tramite esso si controllano il contrasto dell'immagine finale e la sua densità. Si può effettuare alla luce (non in pieno sole, per evitare il rischio di solarizzazione).

È essenzialmente un bagno di fissaggio molto diluito (solfito e iposolfito di sodio), che deve assottigliare l'emulsione e sciogliere gli alogenuri fino a portarli ad una quantità tale da rendere le alte luci completamente trasparenti, pur differenziandosi dalla trasparenza del supporto.

In seguito ho lavato ancora la pellicola e proceduto alla seconda esposizione, fatta alla luce di una lampadina domestica da 100 W alla distanza di circa 40 cm e da entrambi i lati del supporto, per un totale di circa 2'.

Ho effettuato poi il secondo sviluppo (sempre nello stesso bagno del primo) per circa 5'-6'.

A questo punto l'immagine è formata dagli alogenuri trasformati in argento dal secondo sviluppo, ed è positiva. Non ci sono più alogenuri perché il secondo sviluppo ha trasformato tutto in argento, per cui il fissaggio è inutile. Ad ogni buon conto non fa male…

Per il test ho trattato Scala e Tmax allo stesso modo, fino al momento dello schiarimento. Qui ho tagliato le pellicole in tre spezzoni ognuno con le dodici esposizioni a differente sensibilità e le ho trattate con sei tempi di schiarimento diversi:4,8,12,15,25 e 35 minuti. In tal modo ho ottenuto sei spezzoni di Agfa Scala e sei di Kodak Tmax esposti da 50 ISO (32 per la Tmax) a 640 ISO (400 per la Tmax) a passi di 1/3 di stop e schiariti ognuno a tempi diversi.

I RISULTATI
I risultati sono stati molto interessanti. Innanzitutto il supporto. Si è visto subito che la Scala è nettamente superiore in quanto a trasparenza del materiale. Il supporto è perfettamente trasparente, mentre la Tmax difetta in questo, ma non al punto da non farla prendere in considerazione come possibile positivo. È vero, la trasparenza di una dia dovrebbe essere perfetta, ma non dimentichiamo che durante la proiezione l'occhio si "abitua", per cui la percezione del velo è nettamente inferiore a quanto si può constatare confrontando le due pellicole in luce incidente. Si potrebbe ovviare in una certa misura al velo della Tmax aggiungendo del bromuro di potassio al bagno di sviluppo, ma ciò potrebbe anche avere altri effetti, come la riduzione del contrasto e una perdita di sensibilità.

Poi: l'intonazione. La Scala ha una intonazione neutra, mentre la Tmax è abbastanza calda nei toni di grigio. Questa prerogativa della pellicola Kodak potrebbe rivelarsi molto interessante dal punto di vista delle applicazioni pratiche.

Ancora, la sensibilità. Le due pellicole hanno dimostrato di possedere, così trattate, un indice di esposizione veramente basso: 50 ISO per la Tmax (con ben 25 minuti di schiarimento) e 64 per la Scala(con 12 minuti).

Salta all'occhio infine la caratteristica della Scala che fa la differenza tra le due: la sua resa tonale. La pellicola dell'Agfa riesce a riprodurre praticamente l'intera scala dei grigi, mentre la Tmax rivela una certa compressione nelle ombre. Tuttavia proprio per questo la Kodak dà un'impressione di nitidezza maggiore rispetto all'Agfa. I grigi sono molto ben separati almeno fino ad un certo punto, dove diventano praticamente neri. Le alte luci per contro si avvantaggiano di questa caratteristica, risultando molto pulite (forse troppo), più che nella Scala.

Per ultimo, la grana: praticamente assente sia nell'Agfa che nella Kodak.

In sostanza si tratta di due pellicole che ben rispondono ad un trattamento "casalingo", tranne per il fatto che si perde più di uno stop di sensibilità per entrambe.

Le immagini sia delle diapositive Agfa che di quelle Kodak (purtroppo entrambe digitalizzate in piccolo per ovvi motivi di comodità e spazio) dimostrano che lo schiarimento è la procedura che influisce sul controllo del contrasto finale dell'immagine e della sensibilità da adottare.

La conclusione è che meno si schiarisce, più contrasto si ha, ma più si deve esporre in fase di ripresa. Viceversa, sottoesponendo si può aumentare il tempo di schiarimento, ma il contrasto si abbassa drasticamente, appiattendo la scala tonale nelle ombre.

La Scala è sicuramente più malleabile della Tmax da questo punto di vista, perché può essere esposta tra 50 e 100 ISO e schiarita tra 12 e 15 minuti senza che vi siano enormi differenze, anche se il risultato migliore si ha, come ho già accennato prima, a 64 ISO e 12 minuti. La Tmax è invece molto più "dura". Il tempo di schiarimento risulta essere molto superiore a quello della Scala, e la giusta combinazione sembra quella a 50 ISO e ben 25 minuti di schiarimento. Appena fuori da questi valori, l'emulsione non è più controllabile. La latitudine di posa infatti è estremamente ristretta, e ogni errore di esposizione è evidenziato al massimo.

Diverso è dunque il comportamento delle due pellicole nei confronti dello schiarimento stesso. Nell'Agfa le alte luci risentono poco delle variazioni di tempo di permanenza in tale bagno, mentre le ombre si appiattiscono molto velocemente. Nella Kodak invece sono le alteluci a cedere, mentre le ombre si mantengono piene, ma comunque meno dettagliate di quelle della Scala.

Si potrebbe affermare che la pellicola della casa tedesca esce vincitrice dal confronto, ma forse sarebbe un tantino azzardato, visto che la Tmax si comporta ugualmente molto bene. Certo, la sua scala tonale è sicuramente ridotta, ma probabilmente si potrebbe trarre giovamento da una esposizione per le ombre, ovvero diminuendo ancora la sensibilità a scapito delle luci.
Bisogna comunque dire che ad un certo punto è solo una questione di gusti.
Optare per l'Agfa piuttosto che per la Kodak significa avere una scala tonale completa, ma una resa un po' piatta su soggetti poco contrastati.
Viceversa scegliere la Tmax invece della Scala conduce ad una resa limitata dei toni, specialmente nelle ombre, ma ciò può rivelarsi utile proprio con quei soggetti con campo di luminanza limitato che la Scala sembra non gradire.

Lorenzo Cuciniello © 01/2000
Riproduzione Riservata

Le tabelle allegate ai due files in formato jpg a completamento dell'articolo vanno lette associando i valori nella griglia al posto che le rispettive riproduzioni delle dia occupano nell' immagine (p.es.: il valore in alto a sinistra nella griglia va associato alla diapositiva in alto a sinistra nell'immagine e così via).

Aggiunta di gennaio 2004
Non essendo più in produzione lo sviluppo Ornano menzionato nell'articolo, ne forniamo qui di seguito la formula per prepararselo in proprio:

Sbianca:
Potassio bicromato: g 5
Sodio bisolfato (NON BISOLFITO!): g 20
Acqua per fare: cc 1000

Schiarimento:
Sodio iposolfito cristalli: g 15 (solo g 10 per rallentarlo)
Sodio solfito *anidro*: g 50
Acqua per fare: cc 1000