VAJO: L’AUTUNNO IN MONTAGNA CON I COLORI DEL FOVEON

Una mezza giornata libera di metà novembre, attacco il turno di lavoro alle quattro del pomeriggio. Tempi troppo stretti per andare in montagna, ma buoni per fotografare.

Scorcio del Vajo di Squaranto. Fotocamera Sigma Dp3 Quattro.

Così la sera precedente preparo lo zaino fotografico con abbondanza di arnesi. Uno spiegamento di forze impressionante: 2 fotocamere con obiettivi intercambiabili, 5 obiettivi da intercambiare – dal grandangolare decentrabile all’obice per beccare l’aquila che imbecca il pulcino dall’altra parte della valle – le due Sigma dp Quattro, le splendide dp0 e dp3, filtri. Il cavalletto leggero e il cavalletto pesante sono già nel bagagliaio dell’auto.

La foresta nel Vajo di Squaranto. Sigma sd Quattro + Sigma 50-100/1.8 Art.

Andrò in Lessinia a fotografare l’autunno nei selvaggi Vaji di Squaranto e dell’Anguilla, la Casa delle Fade, la teda di Valle, le caverne, gli strapiombi rocciosi in cui sono stratificati milioni di anni di storia geologica.

In questa terra sublime il succedersi di sedimentazioni, orogenesi, slittamenti delle placche ed erosione innalzarono primordiali costiere tropicali fino a mutarle in alture alpine e l’interminabile sconvolgimento produsse e rimodellò senza sosta, nel dilatarsi del tempo e delle ere, scenari sempre nuovi e diversi, abitati da essenze arboree le più svariate, dagli ammoniti dei fondali marini, dai dinosauri che procedevano ponderosi sulle fini rene, dall’urogallo e dall’aquila reale che nidifica nel Vajo.

Un dipinto murale religioso in contrada Squaranto. Sigma sd Quattro + Sigma 50-100/1.8 Art.

E, quando fu il tempo opportuno, vennero gli uomini, dapprima i neanderthaliani, poi i Cro Magnon, le genti italiche e barbariche e infine i rudi e arguti cimbri.

Ed ogni passo del travaglio geo-bio-antropico impresse il suo segno così che negli odierni Vaji e nelle terre alte, da qualche parte - nascoste in un buco carsico, sulla superficie di un’impervia placca rocciosa lambita dai pini mughi, tra i pilastri di una città di roccia - affiorano le memorie di antichi e recenti drammi, le orme dei dini giurassici, gli ammoniti e i paleo-pesci intrappolati nella pietra, i resti di un ovile o di un riparo di pastori, le lacerazioni prodotte nella pietra dai proiettili che i razziatori spararono contro quei ripari e quei pastori, le croci di via di un popolo cristiano.

Tutto questo non lo si può fotografare in quattro ore ma lo si può sognare in una notte.

Il Vajo dell’Anguilla da contrada Valle. Sigma dp0 Quattro con il suo splendido 14mm (21mm equivalente).

Al termine di quella notte, alle porte del giorno, mi alzo presto, presto le dovute cure a Blackie, parto, guido un paio d’ore ed eccomi nel teatro della mia azione bellica e del mio sogno.

Scendo dall’auto, apro il portellone del bagagliaio, mi carico lo zaino in spalla dopo avervi infilato il cavalletto leggero, prendo il cavall… (imprecazione!) il cavalletto pesante non c’è. Scoprirò che l’avevo lasciato al lavoro. Piano B, devo fare tutto col cavalletto leggero, quindi devo mettere le piastre d’attacco Arca Swiss sulle fotocamere… Dove sono le piastre? Nuova esclamazione di disappunto, questa volta in Siculo: ho il cavalletto piccolo senza le piastre e le piastre del cavalletto grande senza il cavalletto.

Scorcio del Vajo dell’Anguilla. Sigma dp3 Quattro con obiettivo fisso da 50mm (75mm equivalente).

A malincuore passo al piano C, fotografare a mano libera ed è quel che faccio per ore fin quando giunge il momento di ripartire. Infilo la mano nella tasca, sento il freddo metallo del portachiavi, estraggo e mi ritrovo tra le dita l’attacco Arca Swiss che non trovavo: un’interminabile serie di imprecazioni ugro-finniche!

Ci sono prestigiatori che studiano anni per ottenere questi risultati, io studio da anni per evitarli. Con scarso successo. Nell’epoca dei diritti civili io reclamo il diritto di divorziare da me stesso. Con addebito.